Misurare lo spreco

Dal primo maggio al 31 ottobre 2015, Expo Milano 2015 sarà il grande laboratorio per sviluppare, approfondire e analizzare il tema: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”

Furio Camillo, esperto statistico di Waste WatcherIntorno al cibo e alla disponibilità si concentrano le contraddizioni più forti della società occidentale contemporanea. L’Osservatorio Waste Watcher mette al servizio di Expo 2015 l’attività di ricerca e di monitoraggio per offrire una prospettiva socio-culturale e una valutazione di impatto economico sullo spreco da legare a filo doppio al tema centrale di Expo. Ogni anno, lo spreco domestico costa agli italiani 8,7 miliardi di euro: una cifra vertiginosa, che costa in media sette euro settimanali a famiglia, più di mezzo punto del PIL 2012. Le cifre sono quelle del Rapporto 2013 sullo spreco domestico realizzato per Expo 2015, grazie all’Osservatorio nazionale sugli sprechi Waste Watcher. La crisi – però – ha prodotto un forte aumento nella sensibilità e nell’attenzione degli italiani. E parallelamente è aumentata la sensibilità ambientale. Infatti, il 72% degli italiani ritiene che lo sviluppo economico e l’occupazione debbano passare dalla tutela dell’ambiente (nel 2007 la percentuale era del 57%).

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Bisogna rifondare modelli di produzione per assicurare che le risorse del Pianeta siano accessibili a tutti grazie anche all’uso della tecnologia. Dare una definizione di spreco alimentare però non è facile. Ma anche essere virtuosi potrebbe esporre a rischi difficili da calcolare. Già da fine Ottocento, gli economisti avevano teorizzato il sovraconsumo come elemento connaturato del sistema capitalistico. Tagliare lo spreco ha inevitabilmente un impatto anche sulla produzione industriale e quindi sull’occupazione.

Ma qui emerge la contraddizione di fondo: più elevata è la partecipazione a modalità attive e moderne di vita sociale e maggiore sembra “il rischio” di generare spreco. La relazione tra spreco medio e spesa media è infatti positiva: all’aumentare della spesa aumenta la quantità di spreco generato. Stessa cosa accade per il numero di componenti della famiglia, con un’intensità della relazione però più bassa. Fa aumentare lo spreco anche l’aumentare della quota degli acquisti di cibo pronto, consumato al bar e al ristorante. La relazione è negativa invece con l’età: più si invecchia meno si spreca. La relazione tra lo spreco pro-capite e la spesa per consumi (entrambe settimanali) rileva che a livelli di spesa pari a 100 euro corrisponde uno spreco pro-capite di poco più di 1,5 euro. All’aumentare della spesa, aumenta lo spreco pro-capite, con un’elasticità via via crescente fino ad arrivare a un punto di “saturazione”, corrispondente circa ai 350 euro di spesa media settimanale; oltre tale soglia lo spreco diventa costante e indipendente dall’incremento della spesa, ovvero verosimilmente del reddito. Ne deriva che una politica di redistribuzione del reddito potrebbe sostenere la riduzione dello spreco tra le fasce più abbienti, ma allo stesso tempo favorirne l’aumento tra le classi più povere che, con una maggiore disponibilità di reddito, potrebbero iniziare a “sprecare”, forse in quantità ridotte perché coscienti, attenti e praticanti da sempre la “non-generazione” dello spreco.

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In questa prospettiva di ricerca, il ruolo degli analitycs è fondamentale perché permette di mettere in luce le relazioni tra stili di vita e consumi, contribuendo a rendere il sistema più efficiente, equilibrato e quindi più sostenibile.

Furio Camillo, esperto statistico di Waste Watcher