Cultura e lavoro. La fabbrica al tempo di Olivetti

Molte aziende chiudono e altre trasferiscono all’estero la produzione. Aumentano la flessibilità nel mercato del lavoro in uscita, il numero dei lavoratori precari e degli operai in cassa integrazione e le criticità sulla sicurezza. La cultura del lavoro – e con essa la dignità del lavoro – sta attraversando una crisi profonda. È realistico, nel contesto di una recessione internazionale, mettere al centro del sistema economico le persone e le loro capacità? È possibile, in una realtà di economia globalizzata, stimolare la competitività nel rispetto dei diritti dei lavoratori e delle istanze sociali e di giustizia? È fattibile un approccio più umanista, dove la fabbrica non sia profitto e guadagno per pochi, ma coinvolgimento di una comunità verso uno sviluppo effettivamente sostenibile? È possibile applicare alla moderna produzione industriale quell’attenzione alla qualità del lavoro, alla persona e al territorio, perseguita più di cinquant’anni fa da Adriano Olivetti? La Fabbrica di Adriano e la Fiat di Sergio Marchionne sono i termini di una dialettica industriale, che non possono avere un punto di mediazione? Questi interrogativi sullo stato della cultura del lavoro sono stati messi al centro del convegno “La Fabbrica ai tempi di Adriano Olivetti”. «Dedicare una giornata ad Adriano Olivetti e alla sua fabbrica – hanno spiegato gli ideatori del convegno Caterina Bottari Lattes e Paolo Mauri – significa innanzitutto ribadire, che un progetto originale e articolato come il suo è ancora perfettamente attuale. Il convegno ha voluto promuovere la difesa di un patrimonio inalienabile, raggiunto a prezzo di lotte ormai secolari e – oggi – da molte parti minacciato: la dignità del lavoro».

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