MELE, Nespole e more


Anno 1989. In Italia, ai vertici di Apple, Honeywell Bull e Microsoft c’erano, nell’ordine, Sergio Nanni, Carlo Peretti e Umberto Paolucci. Dall’albero della conoscenza cadeva sul mercato dell’informatica il frutto ibrido della partnership tra Honeywell e Nec. Il pomo in questione rappresentava una vera primizia transgenica dalla polpa globale, la forma di nespola e la resistenza taurina (Bull). Con “i frutti dell’informatica”, Bull Italia prometteva – alla lettera – di ricoprire “un ruolo da protagonista nell’informatica nazionale”. La famosa campagna pubblicitaria “Il computer è il nocciolo, noi vi diamo anche la polpa” (nella foto) strizzava l’occhio ai creativi della Apple, che giocavano già a spaventare l’elefante (Microsoft) con il topo (mouse) e si preparavano – sempre nel segno della mela – ad evangelizzare il mondo a morsi (“bite that Apple”) all’insegna del pensiero laterale (“think different”, 1998). Tra il campo semantico della tecnologia e quello dell’ortofrutta sembra esserci una simbolica e fatale attrazione o contiguità. Niente cavoli o melanzane, però. L’informatica sembra prediligere frutti a pomo, come mele, o a grappolo, come nespole e more (blackberry), per qualche strana coincidenza, appartenenti – però – alla famiglia delle Rosacee. Per la stessa casualità, forse, la mela si trova al centro di molte vicende umane, vere o presunte. Secondo la tradizione, infatti, grazie a una mela caduta dall’albero, il grande fisico Isaac Newton riuscì a elaborare la legge di gravitazione universale. Non solo. Accanto al cadavere del padre dell’intelligenza artificiale, Alan Turing, trovato morto a Cambridge, l’8 giugno 1954, manco a dirlo, c’era una mela con un morso, avvelenata con cianuro di potassio.

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