L’ICT come leva competitiva


«C’è bisogno di una “riconquista verso il basso” del know-how riguardante le tecnologie applicative da usarsi in modo quasi “sartoriale”, su specifici segmenti di processo nei quali queste ultime possono effettivamente costituire un “differenziale competitivo”»

L’omogeneità dei processi va sempre rapportata ai concreti scenari di business in cui le aziende operano e che si declinano in prodotti, servizi, mercati domestici e internazionali, che possono anche essere molto diversificati. Selex Elsag (www.selexelsag.com) opera attraverso un certo numero di business unit che si rivolgono a mercati di prodotti e servizi differenti, dalla Network Security all’Integrazione dei Sistemi, con diverse aspettative di time-to-market, di organizzazione, di livello di servizio che richiedono quindi soluzioni flessibili nei processi e nei sistemi che li supportano. Ne abbiamo parlato con Gianantonio Rui, ICT manager for subsidiaries di Selex Elsag.

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Data Manager: Come si gestisce una realtà così complessa garantendo l’omogeneità dei processi?

Rui: Le metodologie e i modelli di processo più diffusi che rappresentano “standard” per tutto il Gruppo Finmeccanica, riguardano principalmente i processi di governo del business e delle commesse (per esempio la metodologia Life Cycle Management & Project Control) mentre i modelli della Supply Chain e le corrispondenti soluzioni applicative in relazione a differenti prodotti e mercati devono necessariamente essere più flessibili e diversificati (per esempio: modelli Engineering To Order piuttosto che Assembly To Order comportano regole di pianificazione ed esecuzione dei cicli di acquisto e di produzione molto diverse).

È stato Cio di grandi aziende, quali sono le difficoltà a operare in contesti e scenari complessi?

Una prima difficoltà è stata la gestione di un grande numero di “process owner” portatori di un esteso portafoglio di requisiti operativi, organizzativi e funzionali che andavano resi reciprocamente coerenti e integrati, a partire dai processi per arrivare alle soluzioni applicative. A volte si ha una visione irrealistica delle possibilità che ha un sistema Erp “integrato” di condurre i processi aziendali all’integrazione: in realtà un’azienda che non fosse in grado di stabilire le “regole” di integrazione alla fonte, cioè tra processi, produrrà facilmente tali e tante “storture” nell’implementazione del sistema, da introdurre, fatalmente, inefficienze anziché benefici.

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Una seconda, rilevante, difficoltà incontrata è costituita da un limite che definirei “culturale” e che, a mio avviso, caratterizza in modo diffuso, a tutti i livelli, l’approccio ai processi operativi di molte aziende manifatturiere italiane: mi riferisco alla scarsa propensione a pianificare e alla scarsa trasparenza nella gestione delle informazioni rilevanti per il controllo. Le conseguenze sono presto dette: l’assenza o la scarsa affidabilità dei dati di pianificazione in un sistema Erp ne vanifica qualsiasi capacità di supportare proattivamente i processi logistico-produttivi e di controllo e lo riduce, di fatto, a un sistema contabile “a babbo morto”; la scarsa trasparenza sui dati di gestione porta a interrompere il flusso normale delle informazioni e delle funzionalità con conseguente mancato guadagno di efficienza nei processi.

Fuori dal contesto dei grandi progetti, in un quadro, quindi, di recuperata “normalità aziendale”, la più grande difficoltà resta, a mio avviso, nello svolgere proattivamente, in contesti così ampi che tendono “naturalmente” a frazionarsi e a divergere, un ruolo “aziendale” di sviluppo, efficientamento e integrazione dei processi di business e dei sistemi informatici. Allo scopo è fondamentale poter contare sul sostegno e sull’attenzione continuativa da parte del top management ma qui, spesso, si trova scarso appoggio o un’attenzione intermittente.

In una situazione di profonda crisi economica in cui gli investimenti si contraggono, quale può e deve essere il contributo dell’ICT?

L’ICT dovrebbe indirizzare più percorsi: il primo consiste nel porre attenzione, grazie anche al minore impegno sui nuovi progetti di investimento, all’ottimizzazione di tutti i processi che offrono margini di efficientamento mantenendo le piattaforme applicative in uso. Può forse sembrare una considerazione ovvia ma, a mio avviso, va letta invece in chiave più strategica, consistendo in una sorta di “riconquista verso il basso” di know-how riguardante tecnologie applicative da usarsi in modo quasi “sartoriale”, su specifici segmenti di processo nei quali queste ultime possono effettivamente costituire un “differenziale competitivo”.

Il secondo percorso consiste nel ripensare l’intero portafoglio di servizi infrastrutturali e applicativi secondo i nuovi paradigmi del Cloud computing, con l’obiettivo palese di declinare assieme la minore disponibilità di budget con il mantenimento di livelli di servizio e di prestazioni accettabili. Bisogna però indirizzare questa scelta con molta attenzione perché, a oggi, il mercato stesso dei provider non è ancora del tutto pronto a offrire realmente quanto promette, cioè risorse infrastrutturali e applicative pagate a consumo e computate secondo metriche semplici e controllabili dagli utilizzatori.

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Tale approccio è particolarmente vantaggioso per il tessuto industriale italiano, costituito da piccole e medie aziende che, a differenza dei grandi gruppi che continueranno a preferire il Cloud privato, potranno beneficiare con il Cloud pubblico di un supporto tecnologico e di competenze applicative delle quali spesso difettano per le loro limitate dimensioni e la cui mancanza le tiene lontane da tecnologie innovative e utili per il loro business.

I Cio saranno meno tecnologi e più manager?

No, credo che l’evoluzione del ruolo dei Cio in molte aziende, non dipenda sostanzialmente da deficit di managerialità, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. La situazione è più complessa e, paradossalmente, richiederà una nuova iniezione di tecnologia, ritagliata su misura per specifici processi.

Bisogna che i Cio prendano atto che una lunga stagione è trascorsa, quella dei grandi progetti che coniugavano trasformazioni strategiche di processi e sistemi informatici “abilitanti”, lasciando sul campo risultati contraddittori: non solo è stato spesso difficile dare evidenza e quantificare, a cose fatte, i benefici raggiunti, ma anche la soddisfazione degli utenti circa i risultati e la loro stessa disponibilità alla partecipazione attiva sono venute meno negli ultimi anni. Le cause sono molteplici e certamente non ascrivibili al solo settore IT, tutt’altro; tuttavia mi interessa porre l’accento sulla sensazione di scarsa efficacia dei progetti svolti che, spesso, è rimasta la sensazione prevalente e che, a mio parere, spiega più di tutto l’atteggiamento attuale del top management verso l’ICT aziendale, decisamente avverso ad assecondarne i nuovi progetti di investimento e portato a riconsiderare lo stesso ruolo del Cio in chiave meno strategica e più “tecnica”.

Ora, se invece un ruolo “strategico” del Cio deve rimanere, cosa della quale sono convinto, tale ruolo va “recuperato” proprio a partire da una rifondazione della capacità del Cio e della sua organizzazione di conoscere, ritagliare e utilizzare le opportune tecnologie di processo nei segmenti “strategici” dei processi aziendali, dove, accanto alla capacità d’innovare il prodotto, la competitività del processo continua a rappresentare il secondo fattore chiave che contribuisce a fare differenza sul mercato.

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Quali saranno le tecnologie su cui le aziende dovranno puntare per uscire dalla crisi?

Credo che un comune denominatore tecnologico sul quale puntare vada indicato nelle tecnologie che aiuteranno le aziende a superare quei deficit di previsione, pianificazione e controllo in tempo reale del proprio business che costituiscono quasi carenze “storiche” della nostra cultura industriale.

Si tratta, in qualche modo, di passare dall’uso delle tecnologie e delle applicazioni ICT in chiave soprattutto di efficienza, a un loro uso in chiave eminentemente di efficacia. È come se si dovesse passare dalla costruzione del dato univoco e delle sue correlazioni, allo sfruttamento intensivo delle informazioni che ne scaturiscono. E questo sfruttamento va perseguito ovunque i processi siano “dislocati”; dunque con una forte accentuazione delle tecnologie di connettività e degli apparati di mobilità e con un forte incremento delle applicazioni capaci di supportare la modellizzazione e l’analisi delle informazioni e la loro rappresentazione per aiutare l’analisi predittiva, la pianificazione o il controllo in tempo reale del business, ovunque questo possa avvenire.

D’altro canto lo sfruttamento intensivo, con dispositivi ovunque e comunque dislocati, di informazioni di business complesse e di alto livello, comporta la necessità di utilizzare tecnologie di comunicazione sempre più efficaci, sempre più interoperabili tra dispositivi e applicazioni, sempre più sicure.

Gianantonio Rui story

Gianantonio Rui opera da oltre 35 anni nel settore ICT, a partire dal conseguimento della laurea in Fisica a Milano. Dopo avere maturato esperienze iniziali nella system integration e nella consulenza di direzione in Italia e all’estero, è stato Cio di Fincantieri dal 2000 al 2006 e Cio di Selex Communications (gruppo Finmeccanica) fino alla fusione con Elsag Datamat. In qualità di membro dello Steering Committee della famiglia professionale ICT di Finmeccanica ha contribuito a promuovere le strategie e le metodologie ICT e la loro diffusione a livello delle aziende del Gruppo Finmeccanica.