Manco fossi Stefano Garoffi…

Cultura e formazione sono gli unici strumenti per evitare le frodi informatiche. Anche questa

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Il principio “facite ‘a faccia feroce” di franceschielliana memoria funziona sempre. L’aggressività si rivela vincente perché c’è sempre un pavido o un inconsapevole masochista disposto a subire questa o quella prepotenza.

Il timore di un’azione legale serpeggia tra chi vive la Rete per professione o per passatempo. E molti security manager, responsabili Epd (vi ricordate quando si chiamavano così?) e dirigenti di vario genere si sono recentemente fatti carico dell’ansia degli interlocutori aziendali di ogni livello e grado ossessionati da uno specifico incubo: le pretese della fantomatica “Italia-Programmi.net”.

L’angoscia comincia con una lettera cartacea inviata a una pletora di indistinti cybernauti da un fantomatico ufficio legale che cura gli interessi di un’ancor più misteriosa azienda della …“new economy”. L’impresa in questione ha un sito Web in cui non vende nulla, ma offre – a pagamento – un servizio consistente nell’indirizzare chi naviga verso pagine altrui che permettono di scaricare software gratuito. In poche parole una sorta di posteggiatore abusivo che chiede un pedaggio per qualcosa che non è suo. Quel che è peggio, la “società” non mette in alcuna evidenza il costo del …servizio, ma nel frattempo memorizza tutti i dati che i malcapitati digitano nel corso della compilazione del modulo elettronico di registrazione al sito: proprio l’identificazione puntuale dei tizi finiti in trappola (che non hanno esitato a riportare ogni informazione sul proprio conto) ha permesso di mandare a segno l’abile mossa fraudolenta della intimazione scritta.

Parecchie persone, legittimamente spaventate, hanno così creduto di rivolgersi a esperti a portata di mano (in pole position gli addetti alla sicurezza e quelli che lavorano “all’informatica”) oppure di scapicollarsi presso il più vicino ufficio di Polizia, in entrambi i casi con la ferrea intenzione di risolvere – quale ne sia il prezzo – questa situazione imbarazzante e preoccupante.

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Tra le sventurate vittime di questa bricconata i soggetti più disparati: ci sono caduti professionisti e studenti, pensionati e imprenditori, casalinghe e funzionari pubblici e – quasi non bastasse – il portiere dello stabile in cui vive mia suocera. Quest’ultimo, disperatissimo, ha pensato di rivolgersi a me confidando in improbabili doti taumaturgiche di cui purtroppo non dispongo. Il buon Andrea mi telefona trapelato sul cellulare e mi spiega la sua disavventura.

Cerco di tranquillizzarlo spiegandogli che può fare a meno di versare la somma richiesta. Non faccio in tempo a dirgli che si tratta di una truffa. Mi interrompe subito. Ha già pagato.

Non solo non ha esitato a effettuare il versamento, ma già gli è arrivata una seconda missiva che chiede altro denaro.

Mi sembra strano e non faccio mistero delle mie perplessità. «Sì, un’altra lettera – insiste – e pure con toni minacciosi!». Riprovo a chetare la sua agitazione. Niente da fare.

«Ho pagato subito, saranno passati due, forse tre giorni dall’arrivo della loro richiesta… E adesso mi minacciano pure… Manco fossi Stefano Garoffi!».

«Mi scusi Andrea, ma chi è Stefano Garoffi?».

«È quello a cui hanno chiesto i soldi. L’indirizzo però è il mio: è per questo che ho fatto immediatamente il bonifico…».

Sono riuscito a non esplodere in una risata e ho cominciato a guardare nel vuoto. In quel momento ho capito perché il mio mestiere di “sbirro digitale” è destinato a non conoscere crisi. Ho anche compreso perché furbi e malandrini sovente hanno la meglio.

Il problema è l’educazione, la preparazione a quel che può capitare.

E il discorso su cultura e formazione vale ancor più nel settore della sicurezza, dove non sarebbe ammessa alcuna forma di analfabetismo e purtroppo episodi eclatanti continuano a ripetersi a dispetto persino del semplice buon senso.

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