Spiritualità nell’impresa. L’economia buona e le virtù dello spirito


Le imprese, i mercati, le banche sono fatte di persone. Quando la speculazione piega la sovranità di un Paese, quando una compagnia sposta la produzione e licenzia i dipendenti, quando una banca chiude la linea di credito a una piccola impresa, è difficile pensare che, dietro a queste scelte, ci siano persone, che decidono il destino di altre persone. Per qualcuno, le imprese devono solo massimizzare la produzione di ricchezza per gli azionisti. Meglio non confondere vocazione e mestiere. Le imprese – allora – non possono permettersi di avere un’anima? Nell’era dell’intelligenza e della collaborazione, dovremmo chiudere lo “spirito” nel cassetto della scrivania? Ma è possibile credere di superare la crisi se non impariamo che il profitto è lo strumento e l’uomo è il fine? Questi interrogativi sono stati gettati sul tavolo dei “Lunedì dell’Impresa”, che Inaz promuove ormai da sette anni. I fili della riflessione sul modo di essere e fare impresa, sono stati intrecciati da Marco Vitale, uno dei più noti e apprezzati economisti d’azienda, con Giorgio Carbone, padre domenicano e docente di teologia morale e Angelo Ferro, docente di economia. Per Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro presidente e amministratore delegato di Inaz, questo è il momento di mettere al centro «valori forti per affrontare questo momento di grave difficoltà economica». La “fotografia” proposta da Marco Vitale – però – è spietata: «Si parla di creazione del valore, ma la realtà è che quest’economia è dominata dall’idea del capital gain, anche a costo di costruire un’economia fondata sul debito». Conoscenza e ricerca del bene comune sono le coordinate per uscire dal tunnel. Utopia? «No, a condizione di riscoprire il linguaggio della verità, della speranza e della conoscenza». Parola di economista.

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