Un’Agenda che riguarda tutti

Sono molto poco incoraggianti i dati contenuti nel rapporto Assinform 2012 presentato il mese scorso a Milano. Il valore del mercato italiano dell’ICT ha perso 3,6 punti percentuali nel confronto tra 2011 e 2010. Non solo non si è verificato alcun rimbalzo rispetto al confronto 2010/2009, ma la derivata è diventata ancora più negativa. Le stime per quest’anno sono più ottimistiche, ma si parla solo di frenare la discesa, non di uscire dal rosso di bilancio.

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Un po’ per cercare di smussare la drammaticità dei toni e soprattutto per indicare una possibile “exit strategy”, in questa edizione del Rapporto spunta un nuovo modello di riferimento. Si passa dal “mercato dell’ICT” tout court al cosiddetto Global Digital Market (Gdm). I conti, dice in pratica Assinform, non si possono più fare sulla tassonomia tradizionale, oggi l’industria digitale è dominata da una spinta individuale e familistica alimentata a sua volta dall’interesse nei confronti di dispositivi nuovi e di un mondo di contenuti digitali che impongono l’adozione di nuove metriche.

Lo sforzo è apprezzabile perché grazie alla “ricapitalizzazione” (se il mercato tradizionale vale poco più di 58 miliardi di euro nel 2012, il Gdm supera abbondantemente i 69 miliardi) Assinform riesce a individuare comparti ancora piccoli ma – persino in questo momento – in forte crescita. Difficile trovare molta consolazione, in un’industria che nel 2011 si è contratta per più di 2 miliardi, nei 131 milioni di euro (+718,8%) raggiunti dal mercato degli e-reader.

Dati che devono diventare uno stimolo ad affrontare con tenacia quella che il presidente dell’associazione confindustriale ha definito la “duplice discontinuità”. Un cambiamento di natura economica, con la comparsa di fenomeni come la decrescita che già cominciamo a misurare nelle nazioni emergenti, o la reindustrializzazione che caratterizza economie un tempo fortemente orientate ai servizi. Ma anche di natura tecnologica, con una informatica che si trasforma a ritmi sempre più sostenuti, mandando in pensione paradigmi consolidati (i personal computer che non fanno più da traino) e spostando il fulcro decisionale fuori dai confini delle aziende e delle soluzioni professionali.

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Riducendo tutto il discorso a un paio di semplici numeri, il sistema Italia deve colmare un gap di capacità di innovazione che si misura in quei 300 euro di spesa pro capite in informatica contro la spesa quattro volte superiore degli Stati Uniti. Noi spendiamo in informatica l’1,8% del nostro Pil, gli americani il 4,2%. Considerando l’impatto che l’informatica e il digitale hanno sull’intero ventaglio delle attività economiche, è su questo gap che dobbiamo intervenire. Ma come? Certamente, risponde Assinform, affrettandosi a implementare – e finanziare adeguatamente – la promessa Agenda Digitale Italiana e attuando una volta per tutte una seria politica industriale per un settore che occupa 400mila persone (che diventano 700mila con i lavoratori delle Tlc e un milione se includiamo i ruoli ICT nelle aziende non di settore).

Questo però è un requisito di contesto, che non esime l’industria stessa dal farsi carico di una drastica rifocalizzazione sulle aree più innovative del Cloud e della mobilità, sull’R&D e sulla crescita dimensionale, anche attraverso l’adozione di modelli di azienda-rete, degli operatori. Per riprendere la domanda conclusiva di Antonio Palmieri, uno dei deputati che sta portando avanti in Parlamento la discussione sulla Adi e ha partecipato insieme a Paolo Gentiloni al convegno Assinform… «Che cosa c’è da cambiare? Noi».