AAA… Cercasi

Più che creare valore, l’economia digitale sembra trasferirlo, tra aziende vincenti e perdenti. Il differenziale è fatto, oggi più che ieri, dalla capacità non solo di sfornare prodotti e servizi d’avanguardia, ma di interpretare la domanda di una nuova clientela. Senza di questo, anche idee come quelle del Cloud rischiano di trasformarsi in un boomerang. L’insegnamento dell’insuccesso nel mondo di tablet dei produttori tradizionali di Pc

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Autunno 2008: a Madrid, l’allora capo operativo indiscusso di Acer, Gianfranco Lanci, spiega le ragioni dell’ultimo acquisto di un’Acer che è arrivata sul podio del mercato dei Pc, pronta a scavalcare di lì a poco Dell in seconda posizione. L’azienda di Taiwan ha appena comprato per 291 milioni di dollari la connazionale Eten, nota per i suoi smartphone “Glofiish”. L’obiettivo, per un’azienda che ha fatto della “mobility” la sua forza, è aggiungere al Pc che si tiene sulle ginocchia, il “laptop” appunto, il dispositivo che si tiene con una mano, lo smartphone, e anche quello, tutto da inventare, da tenere con due mani.

L’intuizione è giusta, l’azione che ne consegue un po’ meno. Ma non solo per Acer. L’anno prima, Apple, che già viaggia sul successo dell’iPod, ha introdotto l’iPhone e a quel punto le cose non sarebbero più state come prima. Nel 2007, la casa della mela riportava ricavi per 24 miliardi di dollari, Acer 15, l’altro grande dei Pc, Dell, 61. Lo scorso anno i ricavi sono stati 130 miliardi per Apple, 16 per Acer, dopo che la fiammata dei notebook nei due anni precedenti le aveva consentito di arrivare a 20, Dell è sempre stabile al livello dei 61 miliardi, ma con una contrazione del peso complessivo, attorno ai tre quinti, dei Pc (desktop più quelli che l’azienda texana chiama “prodotti per la mobilità”, soprattutto i notebook). Nel confronto non abbiamo inserito il market leader dei Pc, cioè HP, ma le vicissitudini della scorsa estate – restare o non restare nel mercato? – insieme con una Pc-dipendenza nettamente minore rispetto agli altri marchi citati, meriterebbe un discorso a parte. Stessa cosa per Lenovo, che si trova nella condizione unica di essere “seduta” sul vulcano del mercato cinese.

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Alla ricerca del post-Pc

Di Eten, nel frattempo si è persa traccia: prodotti particolarmente innovativi non si sono visti e la presenza di Acer nel nuovo settore dei mobile device “non Pc” è oggi marginale. Tanto che sul finire dello scorso dicembre un articolo del quotidiano economico di Taiwan adombrava il disimpegno dell’azienda dal settore, provocando un immediato intervento dello stesso fondatore ormai (quasi) a riposo, Stan Shih, per smentire la notizia, anche se l’azienda ammetteva il ridimensionamento del team dedicato.

Al di là delle cattive gestioni di questa o quell’azienda (Acer è scivolata dal secondo al quarto posto tra i fornitori di Pc, con una flessione dei ricavi e conti in rosso), c’è un aspetto più generale: il mercato si sta rimescolando, con la “con–fusione” di informatica, TLC ed elettronica di consumo. I meriti conquistati in un settore non garantiscono di eccellere altrove. L’insuccesso del matrimonio Acer–Eten fa il paio con le nozze tardive e da 1,2 miliardi di dollari, tra HP e Palm. Il progetto WebOS è rimasto congelato, perdendo ovviamente valore residuo mese dopo mese. La stessa Palm, nel 2007, aveva dovuto accantonare, quando già era pronta alla produzione e commercializzazione, il suo progetto “Foleo” di un prodotto a metà strada tra il netbook e il tablet, un apparecchio che per andare in rete doveva però necessariamente connettersi con uno smartphone Palm. Un déjà vu che avrebbe dovuto suonare l’allarme anche per l’altra nobile decaduta: la canadese RIM con il suo PlayBook da collegarsi al BlackBerry.

L’errore delle vecchie ricette

In sintesi: i grandi dei Pc – un mercato che oggi “tiene” soprattutto per la spinta dei mercati emergenti – non sono riusciti a sfondare nel mondo degli smartphone prima e, peggio ancora, in quello dei tablet poi (anche Dell ha staccato la spina). Le attese residue sono rinviate a Windows 8, ma per il momento vanno prese con beneficio d’inventario. Al contrario, gli attuali protagonisti del “mobile” vengono da un mondo che non è quello dell’IT. Il sorpasso di Samsung ai danni di Nokia, l’uscita di Ericsson, la cessione di Motorola Device, fanno dire che è l’elettronica di consumo ad avere il sopravvento (iPad e iPhone sono figli dell’iPod e di iTunes, non del Mac). Un’elettronica di consumo dove pure tutto sta cambiando (Philips che non produce più i Tv, Sony che si ridimensiona dopo quattro anni di perdite di gruppo e otto di settore, Panasonic e Sharp pure in difficoltà).

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Che lezioni trarne allora? Il grande mondo dell’economia digitale, più che “generare” valore sembra trasferirlo: dai carrier – grandi vincitori del 2000 – agli OTT (Over The Top), dal Pc al post–Pc. Anche l’ex gallina delle uova d’oro – il mondo dei servizi – fa uova sempre più stiracchiate, in attesa di vedere se il Cloud potrà essere effettivamente un business, ma per chi?

I casi che abbiamo raccontato sono sintomatici. Almeno fino a oggi, considerato che i produttori di Pc sembravano i naturali protagonisti designati del mondo di tablet e dintorni. Non era stato Bill Gates tra il 2000 e il 2001 a lanciare il Tablet PC su Windows XP? Ma Windows, frutto di decenni di strati di software, con la sua fame di risorse e complessità, era ciò che l’utente voleva? Stan Shih, il fondatore di Acer, ha raccontato la sua biografia nel libro “Me Too is not my Style”, ma tutti i produttori di Pc, alla fine, sono stati dei “me too”. Peggio ancora, quando non hanno capito che, oltre a nuovi prodotti, occorrevano anche nuovi modelli di business e anche commerciali.

In breve: vince chi inventa cose nuove che piacciono al pubblico. Non chi trova modi nuovi per far le stesse cose di prima, perché in questo caso l’effetto sarà una continua compressione sui prezzi.

Ne sanno qualcosa gli operatori di comunicazioni, i quali – è vero – hanno trovato la loro strada disseminata di paletti normativi che, in nome della “irripetibilità dell’offerta” o dei timori di abuso di posizione dominante, hanno messo molto “olio” nelle reti, per farle correre di più, ma hanno lasciato che la “benzina”, cioè i nuovi business, la mettessero gli altri. Salvo poi regolarmente lamentarsene.

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L’ultima scommessa, naturalmente, riguarda il Cloud. Finora i suoi propositori hanno fatto leva su un solo argomento: i minori costi. Qualcosa che non è esattamente eccitante per lo sviluppo del business. Per questo, tutti i maggiori vendor sono in realtà a favore di un tipo di Cloud, quello privato, perché è l’occasione per una bella riorganizzazione dei sistemi, mentre vedono quello pubblico come un probabile rischio, se non come un male necessario: se l’utente spende meno, diminuiscono anche gli incassi. La speranza, allora, è che entrino in gioco nuovi business, soprattutto legati al mondo consumer, a partire dallo storage domestico o dei piccoli uffici in rete. Sarà la prossima mossa di Apple (già annunciata), di Google, di Amazon o di specialisti come Dropbox? E se fosse la carta vincente di un mondo troppo sonnacchioso come quello degli operatori di TLC che, nello stesso tempo, hanno davanti a sé una partita dal notevole potenziale che è quella non tanto del Cloud computing (ofelè fa el to mesté…. dicono a Milano) quanto della Cloud communications, portando alle aziende e anche alla famiglie un nuovo tipo di comunicazione, dalla virtualizzazione degli apparati alla videocomunicazione?

I nuovi clienti

Certo, per ogni successo ci sono dieci casi di insuccesso. L’inventare cose nuove non è di per sé una garanzia. Alcune idee richiedono più tempo per affermarsi (la TV su Internet è un esempio, a dieci anni dai suoi primi passi, ma l’interesse sta rapidamente montando), altre sono state o saranno un flop. Anche l’euforia per i super-collocamenti aziendali di questi tempi non sono garanzie di successo economico delle stesse aziende. In attesa di vedere che cosa combinerà Facebook, non si possono scordare i 3 milioni di adesioni, con prezzi post-Ipo stratosferici, per il collocamento di eBiscom/Fastweb nel 2000, azienda che, pur avendo dato dividendi, non ha mai consegnato veri utili ai suoi azionisti. Morale: per crescere, questo settore ha bisogno di cose nuove per clienti nuovi: un’accoppiata che, anche quando si stanziano fondi a sostegno delle varie iniziative, è bene non scordare e che, in fondo, si traduce in una sola parola: innovazione.