Una rete software defined per l’Internet delle cose

Il fenomeno della virtualizzazione travolge ormai anche le componenti hardware delle reti e le infrastrutture diventano sempre più flessibili e software defined. Una trasformazione indispensabile per cogliere appieno la promessa della Internet of Things. Ma come dovranno adattarsi gli operatori e le aziende loro clienti?

 

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Una rete software defined per l’Internet delle coseOrmai il vento della virtualizzazione – che ha già rivoluzionato il nostro modo di gestire e utilizzare le risorse di calcolo lato server – si scatena anche sull’hardware di rete puntando con decisione alla separazione tra strato fisico e funzionale delle infrastrutture informatiche e di telecomunicazione. È una rivoluzione ancora più radicale perché da un lato – come avviene nel caso dei server – una infrastruttura di rete virtualizzata può servire per rispondere in maniera molto flessibile alle diverse esigenze di banda e connettività da parte degli utenti di una infrastruttura. Dall’altro lato, apre la strada a una realtà di mercato in cui i servizi di rete potranno godere – grazie alle “malleabili” architetture virtuali – di favorevoli condizioni di facilità e rapidità di implementazione dei vari servizi.

Naturalmente un percorso di virtualizzazione così ambizioso ed esteso non sarà facile.

Al contrario di quanto avviene oggi nei data center – dove l’hardware da virtualizzare e gli stessi motori di virtualizzazione rispondono già ai necessari prerequisiti di standardizzazione delle architetture e di interoperabilità – l’hardware degli elementi di rete e il software che ne governa i servizi rappresentano un universo assai più diversificato e condizionato dalle architetture proprietarie.

 

Una rete flessibile di oggetti

L’ulteriore evoluzione delle reti intelligenti verso quelle che gli specialisti chiamano software defined network, i cui aspetti funzionali non siano vincolati a specifici dispositivi, ma a procedure completamente definibili via software con enorme impatto su fattori come la flessibilità, la scalabilità e la rapidità di implementazione dei servizi stessi, è vista da molti come un prerequisito della cosiddetta Internet of Things (ma c’è già chi come Cisco, preferisce chiamarla direttamente Internet of Everything). Questa è la ragione per cui si è cercato di ragionare, con il contributo delle aziende che hanno partecipato a questo speciale, anche sul tema collaterale della Internet degli oggetti.

Come sottolinea Alberto Degradi, infrastructure architecture leader Borderless Network e Data Center di Cisco Italia, «l’Internet delle cose genererà la necessità di avere reti ubique e che siano in grado da un lato di raccogliere le informazioni che arrivano dalla sensoristica e dall’altro di gestire con immediatezza questo tipo di informazioni, anche in termini di quantità».

Sono proprio i numeri di oggetti che dialogheranno tra loro attraverso le infrastrutture del futuro a stupirci. Se la prima generazione architetturale di Internet si limitava a collegare tra loro i personal computer sulle scrivanie e i portatili, l’enorme aumento di dispositivi smartphone e tablet connessi alla rete e l’arrivo sul mercato di una miriade di dispositivi e sensori che fondono connettività e dosi variabili di intelligenza “embedded” porteranno in pochi anni a una infrastruttura popolata da svariati miliardi di oggetti: fino a 20 o addirittura 50 o anche più a seconda delle stime. Idc in un suo recente documento intitolato “Worldwide Internet of Things Spending by Vertical Market 2014-2017 Forecast” traccia i potenziali sviluppi dell’economia degli oggetti interconnessi attraverso diciotto specifiche aree verticali. La verticalizzazione è una chiave di lettura indispensabile per Scott Tiazkun, senior analyst di Idc. «La Internet delle cose non si può comprendere se non in termini di mercati verticali perché il valore economico di questo concetto si basa sulle singole applicazioni attraverso l’intero spettro di potenziali impieghi». Tra componenti, processi e servizi di supporto, questo valore complessivo sarebbe destinato a crescere dai 4.800 miliardi di dollari calcolati nel 2012 a 7.300 miliardi del 2017, con un tasso di crescita annua di circa il 9%. Non sarà però una crescita distribuita equamente su tutti i mercati, come del resto testimoniano – nel limitato contesto italiano – le cifre comunicate in occasione della pubblicazione del report 2014 dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico milanese. Osservatorio parla, per l’Italia, di un valore economico di circa un miliardo di euro di un mercato rappresentato da 6 milioni di oggetti, essenzialmente connessi attraverso una Sim che dialoga con le reti degli operatori cellulari. In Italia, pesano soprattutto i verticals della smart car (due milioni di veicoli in qualche modo “connessi” a servizi di vario genere, con predominanza delle soluzioni assicurative), del metering intelligente e della smart home & building, mentre faticano a decollare le applicazioni della smart city.

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Trasformazione necessaria

Difficile pensare che le attuali architetture possano sobbarcarsi il carico gestionale di un numero così elevato di apparati, ciascuno con le proprie esigenze di banda e qualità di servizio. Gli operatori – però – dovranno poter far fronte a un’esplosione di servizi e applicazioni che le imprese e le pubbliche amministrazioni svilupperanno per la futura, pervasiva rete di persone, computer e oggetti.

L’obiettivo del servizio è fare chiarezza sulle promesse delle reti virtuali e della Network Function Virtualization, i percorsi di standardizzazione, i potenziali vantaggi dal punto di vista dell’utenza e il modo in cui questo tema va a inserirsi nei modelli di adozione e impiego delle architetture cloud e della Internet of Everything.

 

Il panel di questo speciale è stato chiamato innanzitutto a rispondere a una domanda relativa al significato della trasformazione delle architetture di rete e ai cambiamenti che la virtualizzazione dei servizi comporterà per le aziende utilizzatrici di servizi di banda e connettività: su quali tecnologie, dispositivi, competenze sarà necessario investire e come deve avvenire la scelta dei nuovi service provider.

 

Per Massimo Ceresoli, head of Global Services – Southern and Central Europe di Orange Business Services (www.orange-business.com) si tratta di un cambio tecnologico importante che richiederà investimenti soprattutto da parte dei service provider, chiamati a dare ai clienti funzionalità affidabili e sicure. «In quest’ambito, Orange riserva da anni importanti risorse alla Ricerca e Sviluppo, con oltre 400 brevetti conseguiti all’anno. Investimenti che coinvolgono diversi settori in maniera multidisciplinare ed esaltano le caratteristiche di service provider internazionali come Orange, sollevando il cliente dall’onere costituito da investimenti, competenze settoriali e tempi altrimenti proibitivi».

Anche nel caso dei servizi di rete, in altre parole, la virtualizzazione ha un ruolo di disintermediazione e alleggerimento dell’impegno richiesto al cliente dei servizi di connettività, (siano essi rivolti alla comunicazione tra persone sia nel differente contesto della Machine to Machine (M2M) communications proprio delle Internet delle cose), dando così l’opportunità di concentrarsi sul business che questi servizi di comunicazione devono supportare. Ceresoli conclude il suo primo intervento sottolineando anche l’aspetto della copertura globale che un provider come Orange può assicurare in caso di applicazioni che non sono limitate a una specifica geografia.

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Astrarre le funzioni dai “fili”

Paolo Fasano, responsabile Data Networks Innovation di Telecom Italia (www.telecomitalia.it) affronta anche alcune tecnicalità che sono alla base del processo di trasformazione delle infrastrutture. La virtualizzazione delle reti è, secondo il responsabile Data Networks Innovation di Telecom, un processo in tre fasi: «Separazione degli strati di instradamento, i “fili” della rete da quelli che controllano questo instradamento; la implementazione via software delle funzionalità sino ad oggi realizzate da apparati hardware; e la totale apertura delle interfacce verso lo strato applicativo. «Il software – spiega Fasano – è già oggi un elemento essenziale in una rete di telecomunicazioni, ma hardware e software sono prodotti integrati e le applicazioni non interagiscono direttamente con le reti». Le nuove tecnologie permetteranno invece l’orchestrazione di tutte le funzionalità di rete (quelle di connettività e trasmissione ma anche quelle di calcolo e storage tipiche del mondo IT) consentendo un dialogo con le applicazioni. «In questa nuova dimensione, saranno vincenti i fornitori di tecnologia che sapranno fornire componenti facilmente integrabili e più flessibili. Oggi – conclude Fasano – Telecom Italia con Nuvola Italiana sta già offrendo soluzioni integrate per diversi “verticals” applicativi (la domotica, l’educational, la sanità…) e sta conducendo anche in collaborazione con università italiane progetti pilota come JOLnet, rivolto alla sperimentazione di tecnologie d’avanguardia e nel campo delle Software Defined Networks e della Network Function Virtualization».

Anche nei confronti dei nuovi utilizzatori di servizi IoT, l’operatore nazionale ha del resto attivato una linea d’offerta specifica. Il responsabile di questa business unit dedicata alla M2M e a IoT, Vittorio Consolo, è intervenuto in occasione della presentazione del rapporto Osservartori.net sulla Internet of Things italiana, annunciando l’intenzione di presidiare non solo il mercato dei grandi utilizzatori o delle municipalità, ma anche quello delle piccole imprese e delle startup con servizi accessibili attraverso le interfacce programmabili standard per i più classici protocolli di prossimità e una serie di app di postelaborazione rivolte espressamente al mondo della sensoristica, con un particolare interesse verso il mondo automotive e dei servizi rivolti ai consumatori.

 

Vince l’approccio unificato

In conclusione del primo giro di pareri, Alberto Degradi di Cisco richiama l’attenzione sui collegamenti tra il fenomeno IoT, i parametri di velocità, variabilità, volume e valore delle informazioni che lo accompagnano, a un altro tema importante di questa fase tecnologica: big data. Un collegamento che implica la necessità di potenza di calcolo sempre più distribuita, adeguata al modo di trattare le informazioni dell’IoT, dove le informazioni viaggiano distribuite e non risiedono più nella stessa soluzione. «Per Cisco, questo rappresenta una crescita rilevante di un mercato già importante per la società, come quello di Ucs, Unified Computing System, soluzioni che integrano elaborazione, networking, gestione e virtualizzazione. Con l’obiettivo che i dispositivi raggiungano le informazioni che desiderano, ma soprattutto quelle che le aziende intendono mettere a disposizione».

 

La seconda parte della tavola rotonda è dedicata alle opportunità più significative offerte dalle architetture della Internet of Things a imprese, startup e amministrazioni e agli ostacoli da superare in termini di orchestrazione, sicurezza e governance.

A fornire un’ampia panoramica dello scenario applicativo e degli spazi che si aprono davanti ai business più innovativi è Luca Rossetti, senior business technology architect di CA Technologies (www.ca.com/it). 

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Rossetti cita per esempio settori come il manifatturiero, che può trarre vantaggio dalla miniaturizzazione e l’efficienza di miliardi di nuovi dispositivi ma soprattutto dal costante monitoraggio e tracciamento di materiali e componenti, con miglioramento di efficienza dei costi legati alla logistica e supply chain.

Molte novità si registreranno nel campo dei servizi per la salute, grazie a sensori e dispositivi “wearable” che permetteranno di estendere fuori dai tradizionali contesti ospedalieri cure e interventi medici molto avanzati. «Nike – ricorda Rossetti – si sta muovendo al confine con il comparto sanitario con il suo abbigliamento tecnico e gli accessori dotati di sensori per il monitoraggio delle condizioni fisiche e delle prestazioni sportive».

 

Smartcar ad alto potenziale

Nella macroarea della “smart car”, hanno successo proprio in Italia soluzioni rivolte al mondo assicurativo, che sfruttano sensori installati a bordo dei veicoli per monitorare lo stile di guida e le abitudini del conducente, ricavando profili molto personalizzati su cui adattare i prezzi delle polizze di copertura. Ma l’auto in rete non è solo polizza. Google sta lavorando per stabilire una presenza nel settore dei veicoli autonomi, senza guidatore, la “autonomous car”, un altro orizzonte che realtà italiane come VisLab hanno esplorato prima di molti concorrenti. «L’unione di Internet of Things e del cosiddetto “Nexus of Forces”, la convergenza di social, mobility, cloud e informazioni, spingeranno le aziende e i loro Cio verso un futuro digitale a 360 gradi».

Come hanno sottolineato altri interventi, l’Internet delle cose sarà accessibile attraverso Api che saranno il fondamento delle nuove piattaforme di connettività fra i dispositivi device. «Le Api connettono e abilitano, arricchiscono l’esperienza mobile e di m2m, consentono ai dispositivi connessi a Internet di comunicare. Tutte le organizzazioni interessate – conclude l’esperto di CA Technologies – devono pensare a una strategia che metta al centro la gestione e la sicurezza di queste interfacce, anche attraverso l’adozione di piattaforme standard de-facto che ne facilitino l’attivazione e la realizzazione».

Questo incredibile potenziale applicativo, spiega Alberto Degradi (Cisco), sarà possibile proprio perché le infrastrutture del futuro saranno sempre meno orientate all’instradamento del singolo pacchetto e sempre più orientate invece a supportare il traffico applicativo, grazie a una maggiore capacità di analisi del traffico e al software centralizzato. «Saranno reti in grado di agire sulla base delle esigenze – anche istantanee – che il traffico in quel momento presenta. Reti dove l’intelligenza è centralizzata, ma la velocità di esecuzione distribuita, capace di adeguarsi in modo dinamico alle applicazioni dell’utente».

Qual è il punto di vista conclusivo degli operatori? Flessibilità. Per aziende e startup che hanno necessità di competere in un mercato globale, potendo contare su rapidità di esecuzione, investimenti allineati alle dimensioni dell’impegno e possibilità di accesso a servizi aperti a una molteplicità di settori, la risposta migliore secondo Massimo Ceresoli di Orange è flessibilità e capacità di risposta. «Molto spesso le aziende sanno che cosa serve al loro business: compito dei service provider è ascoltarli e identificare il miglior percorso evolutivo. Ci sono certamente alcuni vincoli da considerare: proteggere il business delle aziende durante la trasformazione dell’IT, la migrazione ai nuovi sistemi e la sicurezza dei dati; in una sola parola, la tutela del brand». Ma questo, sulla Internet delle persone e degli oggetti, è il mestiere del provider e Orange Business Services si è attrezzato per svolgerlo al meglio.