Tradurre per crescere

In collaborazione con la piattaforma americana di videosottotitolatura DotSub, l’italiana DotWords offre un approccio tecnologico – e condiviso – alla localizzazione della comunicazione di prodotto

Gabriella Soldadino, AD e cofondatrice di DotWords

È inevitabile. Ogni volta che ti metti a parlare con David Orban ti sembra di essere finito nella sala teletrasporto dell’astronave Enterprise, sapendo che alla fine della conversazione avrai voglia di esclamare: «Beam me up, David»! Gli dai la mano e lui ti invita a tastare il punto, tra indice e pollice, in cui si è fatto impiantare sottopelle un chip Nfc in cui custodisce la password della sua personale “blockchain” di Bitcoin. Pensi di aver esaurito ogni possibile argomento futuristico e lui comincia a sciorinare i dati che dimostrano come le automobili driverless siano già dietro l’angolo (ma non ti metteranno sotto quando attraversi sulle strisce). Distributore di prodotti informatici, advisor della Singularity University, serial entrepreneur, innovation officer, consulente, tecno-evangelista poliglotta, grande pioniere della Internet delle cose, visionario delle cryptocurrency e della shared economy, Orban è un ambasciatore del futuro accreditato presso il presente.

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Questa volta lo incontro, in una delle sue incursioni milanesi, per farmi raccontare la sua nuova avventura imprenditoriale, il “language service provider” DotWords. Sembra quasi un passo indietro rispetto ai suoi orizzonti ipertecnologici, eppure con Orban anche la traduzione – forse uno dei mestieri più antichi del mondo insieme allo spionaggio (e a quell’altra cosa che non diciamo ma che genera parecchi soldi sul web) – entra in un contesto tipicamente cyber grazie all’uso di strumenti “computer assisted” e a una buona dose dei concetti – openness, standardizzazione, workflow management, crowdsourcing, condivisione della conoscenza – che caratterizzano l’era digitale.

I servizi erogati da DotWords non si fermano alle traduzioni dei testi realizzate grazie a un network di esperti madre lingua che – come sottolinea la cofondatrice della società e AD, Gabriella Soldadino – «devono anche risiedere nella nazione di cui parlano la lingua per mantenerne la freschezza e l’attualità». Orban preferisce parlare di localizzazione, la capacità di muoversi da un contesto linguistico a un altro, rispettando non solo il senso delle parole, ma l’intera forza semantica di tutto ciò che si sta comunicando. Più che un traduttore molto efficiente, DotWords è un partner che affianca i suoi clienti in un discorso strategico, di crescita condivisa basata sulla comunicazione multilingue. Tutto questo da un lato, servendosi di avanzate tecnologie di traduzione automatica (sempre governate dai traduttori umani) affiancate da strumenti che aiutano a gestire e ottimizzare il lavoro. Dall’altro, trasferendo verso il cliente – sottoforma di quelle che Orban chiama «translation memories” – dei veri e propri database lessicali specializzati da riutilizzare per le traduzioni future. Un arsenale di competenze su cui DotWords non vuole creare il solito effetto lock-in, ma che viene invece sfruttato per generare nuova comunicazione in un’ottica di piena condivisione tra provider e cliente.

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La cultura della traduzione

«Il nostro – dice la Soldadino – è un principio molto innovativo dal punto di vista dei tradizionali fornitori di questi servizi. DotWords nasce con l’intento di utilizzare in modo estensivo le tecnologie di sottotitolatura e traduzione automatica. Ma è anche un approccio culturale ed etico: oltre a mettere a disposizione del cliente questa lettura più rigorosa del concetto di localizzazione – con un aumento di efficienza dei flussi di lavoro che nasce proprio dalla nostra capacità di riutilizzare i materiali già elaborati – lo rendiamo sempre più autonomo restituendogli le conoscenze che insieme abbiamo accumulato».

I sottotitoli cui si riferisce la responsabile di DotWords sono quelli di DotSub, l’azienda software newyorkese che ha sviluppato una piattaforma web collaborativa per la sottotitolazione e la traduzione dei video online, di cui Orban è CEO dal 2011. «Anche il sistema DotSub, utilizzato per sottotitolare i video pubblicati su YouTube, Vimeo e Facebook, mette le proprie Api a disposizione di tutti, consentendo poi la condivisione sui social dei contenuti tradotti» – spiega Orban. Definita complementare all’offerta DotWords, DotSub diventa così uno degli strumenti di “computer aided translation” che il provider mette a disposizione dei clienti. Un altro dei suoi plus è la presenza, nello staff, di due project manager che si occupano dell’aspetto fondamentale: la “industrializzazione” del lavoro grazie anche qui all’uso di strumenti ad hoc come la piattaforma Plunet, un “business and translation management system” rivolto a operatori come DotWords. «Un approccio – spiega ancora una volta Gabriella Soldadino – che deriva dalla volontà di far crescere la cultura della traduzione in Italia, dove l’uso di questi strumenti è poco diffuso e le traduzioni tecniche, imposte per esempio dalle normative europee, vengono ancora considerate un costo, non un investimento».

Comunicazione integrata

I legami professionali tra Orban e Soldadino risalgono ai tempi di Questar, distributore a valore aggiunto che Orban ha fondato agli inizi degli anni Novanta. «Ai nostri clienti fornivamo veri e propri servizi di presenza commerciale virtuale, localizzando le interfacce, i comandi, i manuali, i package dei software» – racconta Orban. DotWords rappresenta un’estensione di questo concetto in una chiave comunicativa ancora più strategica. «La nostra missione consiste anche nell’educare il cliente ad approfittare dei vantaggi legati alla localizzazione dei suoi prodotti e della documentazione associata». Vantaggi che le metodiche usate rendono molto cost-effective. La società, fondata a fine 2014 e operativa solo dallo scorso febbraio, ha già conquistato clienti internazionali importanti nel campo del lusso, delle assicurazioni, della farmaceutica. Ma il target che DotWords ha in mente include anche le aziende italiane, che grazie alla localizzazione potrebbero muovere alla conquista di un mercato ormai globalizzato. Le cui opportunità si nascondono in aree linguistiche non necessariamente anglosassoni. «Il costruttore di smartphone cinese, Xiaomi ha da poco lanciato il suo ultimo modello in India, un mercato da un miliardo di persone, riuscendo in tre settimane a superare Samsung e Apple» – osserva Orban. Quante piccole “Xiaomi” italiane potrebbero emulare questo successo parlando la lingua giusta?

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La strategia DotWords, conclude Gabriella Soldadino, prevede anche la partecipazione a eventi e conferenze globali e la collaborazione, oltre che con le associazioni di categoria, con enti e istituzioni a progetti che possano sensibilizzare il mondo imprenditoriale e il pubblico all’importanza di una comunicazione aziendale poliglotta. Il progetto DotWords di comunicazione integrata è candidato all’iniziativa Smart&Start Italia, promossa dal ministero dello Sviluppo economico per sostenere la nascita di startup ad alto contenuto tecnologico e una nuova cultura imprenditoriale. Potrebbe essere un volano importante per un’impresa che parla già i (molti) linguaggi dell’innovazione.