Giovani e futuro, la scommessa del Mezzogiorno che non riesce a cambiare

L’Università del Salento compie 60 anni e il rettore, Vincenzo Zara, ha avuto una grande idea. Niente lezioni magistrali che sfidano la forza di gravità. E neppure baroni in naftalina. Spazio, invece ai giovani che ce l’hanno fatta, con un programma di iniziative per tutto il 2015. Il primo di questi eventi è stato quello di Ecotekne (nella zona di Monteroni), con la Conferenza di Ateneo sul tema “Uni-Salento prossimo venturo”.

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Per rifondare il patto tra università e territorio bisogna partire dal talento. Non si può parlare dei giovani – però – come se fossero una categoria omogena, votati a una sola causa e a una sola idea. I giovani non sono tutti uguali. I giovani italiani, soprattutto quelli del Mezzogiorno, hanno conosciuto la metamorfosi dei padri contadini in metallurgici e colletti bianchi. Sono figli della convergenza tecnologica, abituati alla precarietà dei ruoli, delle situazioni, degli affetti, viaggiatori nello spaesamento geografico ed emotivo, dove il mondo non conosce più confini. Tra i tanti talenti costretti a cercare altrove opportunità di lavoro c’è Francesco Ria. Classe 1972, una laurea in fisica nucleare nell’ateneo salentino, specializzazione in fisica medica all’Università degli Studi di Milano. Oggi, è fisico medico presso il Centro Diagnostico Italiano del Gruppo Bracco e alumnus della fondazione omonima. Mettersi alla prova è il segreto del successo. Senza arrendersi, anche se con un po’ di amarezza in tasca. Per fare crescere il Paese bisogna creare le condizioni per l’accesso al lavoro con la nascita di punti di eccellenza, puntando sull’innovazione.

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«Non credo che la condizione della nostra terra sia opera del fato: piuttosto di una classe dirigente incapace di confrontarsi col resto d’Europa e che, per conservare la propria posizione, impedisce al territorio di crescere. È molto più facile essere eletti in un contesto di scarso sviluppo, dove bastano poche prebende per conquistare il favore di una persona, piuttosto che una realtà economicamente più emancipata, dove il consenso si gioca sul terreno della proposta politica e non su quello del clientelismo».