La rivoluzione digitale è il motore dell’epoca che stiamo vivendo, ma quali sono i valori che dovranno orientare le scelte future? Antonio Pilati è un profondo conoscitore del mondo dei media e dei suoi protagonisti. Oltre a essere consigliere d’amministrazione RAI dal 2012 al 2015, e componente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Pilati è stato direttore dell’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli.

Il suo ultimo lavoro dal titolo “Rivoluzione digitale e disordine politico” (Guerini e Associati) gli somiglia molto. Non solo perché, come commissario antitrust e dell’authority delle comunicazioni ha saputo prevedere la convergenza dei mezzi, ma anche perché ha saputo cogliere il senso di un cambiamento che stava trasformando i rapporti di forza tra potere politico e potere finanziario.

Da oltre un quarto di secolo, uno straordinario vento di innovazione impatta in tutto il mondo la vita di miliardi di persone, spiega Pilati. Lo alimentano due processi epocali diversi, eppure legati da affinità e influenze reciproche. «Uno è la rivoluzione digitale che sovverte economia e società. L’altro è il crollo dell’ordine politico che dalla fine della seconda guerra mondiale dava stabilità alle relazioni internazionali».

A prima vista poco o nulla li unisce: uno attiene allo sviluppo della tecnologia, l’altro alle complicate vicissitudini della politica. Tuttavia, li lega una stretta dipendenza, come spiega Antonio Pilati. Il disordine politico di oggi deriva da premesse maturate negli ultimi vent’anni proprio grazie alle innovazioni della tecnologia: l’estensione dei mercati su scala mondiale, il potenziamento delle capacità organizzative, il cambio radicale dell’interazione sociale. Secondo Antonio Pilati, in Occidente, il grande progresso tecnico si è tramutato in una drammatica crisi della politica. Il mondo cambia, la società sopravanza e la politica non riesce a stargli dietro. Ma non è il cambiamento in sé a creare disordine, ma la velocità del cambiamento.

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La globalizzazione dei mercati e la velocità delle connessioni hanno permesso l’enorme espansione della finanza, che da strumento dell’economia ha finito per influenzare l’intero sistema, condizionando la vita di miliardi di persone. La finanza non ha più bisogno della politica come intermediario ma agisce direttamente sugli equilibri di forza. E il disordine che ne deriva si somma all’incapacità della classe dirigente di guidare il cambiamento.