L’embrione non è stato generato da ovuli e spermatozoi ma da cellule staminali

Presso l’Istituto di Medicina rigenerativa dell’Università di Maastricht è stato raggiunto un risultato incredibile: la creazione del primo embrione del tutto artificiale, cioè non generato a partire da ovuli e spermatozoi ma da cellule staminali. Per la sperimentazione è stato usato un embrione di topo, che ha continuato a svilupparsi nell’utero, non riuscendo però a raggiungere la fase matura. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, consente di analizzare e approfondire il primo stadio di sviluppo di un essere vivente, aprendo la strada i ad un futuro finora solo fantascientifico in cui si potrebbe arrivare a creare esseri viventi artificiali.

Struttura simile all’embrione

Il team di ricerca, guidato da Nicolas Rivron, è partito da due famiglie di cellule staminali: quelle che danno origine alla placenta e quelle da cui si forma l’organismo. Le cellule hanno formato una struttura simile a quella di un embrione nella fase iniziale dello sviluppo chiamata blastocisti, in cui si forma la sacca che contiene le cellule staminali.
L’embrione artificiale che ha raggiunto questa struttura è stato chiamato “blastoide”, una sferetta fatta di sottili strati. Al di là di possibili applicazioni future, al momento lo studio rappresenta un laboratorio dove poter studiare le fasi iniziali dello sviluppo dell’embrione, durante le quali si forma la placenta e avviene l’impianto nell’utero; quelle delicate fasi in cui spesso si determina l’insuccesso o il buon esito di una gravidanza.

“È un bellissimo risultato per i biologi”, ha commentato il genetista Edoardo Boncinelli. “Le applicazioni sono di là da venire, ma si può immaginare, in un futuro lontano, un bambino nati da un insieme totalmente artificiale”. Non è comunque questo l’obiettivo: per il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’università di Roma Tor Vergata, l’esperimento “per la prima volta studia da vicino un organo straordinariamente importante della riproduzione, ossia la placenta”. È un passo in avanti, ha aggiunto, per “comprendere i meccanismi dell’infertilità che nasce da un difetto nell’impianto dell’embrione”.

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