Si potrebbe fare un test per mettere alla prova la nostra capacità di percepire cambiamenti improvvisi nei nostri oggetti di osservazione, senza che il nostro cervello li registri: in altre parole non ce ne accorgiamo, se qualcuno non ce lo fa espressamente notare.
Il cinema è costellato di esempi, voluti o meno, di scene “incoerenti”: la maglietta di Harry Potter, nel film ‘L’Ordine della Fenice’ cambia da girocollo a scollatura in una frazione di secondo, ma vi sfidiamo ad accorgervene senza saperlo prima. E chi si è accorto che il croissant di Julia Roberts in Pretty Woman si trasforma in una frittella?

A quanto pare non c’è nulla di strano nella nostra incapacità di percepire questi macro-cambiamenti nell’arco di pochi secondi. A sostenerlo è un gruppo di ricercatori dell’Università di Firenze e dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Pisa, che ha scoperto i meccanismi cerebrali che ci rendono invisibili piccoli e rapidi cambiamenti nella realtà che osserviamo. Questo si verifica perché – come spiega so studio pubblicato sulla rivista ‘Proceedings of the National Academy of Science’ – il nostro sistema visivo lega costantemente le informazioni presenti con quelle del passato immediato ed è per questa ragione che non siamo in grado di percepire ed avere quindi coscienza di cambiamenti repentini.

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Il cervello ha bisogno di continuità

E’ un po’ come se il nostro cervello si rifiutasse di avere una visione disarmonica di una scena ma desiderasse continuità.

“Questi meccanismi servono ad armonizzare la percezione del mondo che altrimenti sarebbe fortemente discontinua”, spiega David Burr, professore della facoltà di psicologia all’Università di Firenze e coautore dello studio.

“A differenza che nei film, l’ambiente che ci circonda è sostanzialmente stabile, con pochi cambiamenti improvvisi. Il cervello sembra aver imparato che le cose non cambiano improvvisamente e, se un’informazione attuale non è completamente affidabile, ci si può basare su quello che si è visto prima”. “La ragione che sottende questo comportamento, prosegue il coautore Marco Cicchini dell’In-Cnr, è che gli apparati sensoriali non sono perfetti bensì contengono, come tutti i sistemi di comunicazione, fluttazioni casuali e ‘rumore di fondo’. Queste fluttuazioni, se registrate, potrebbero essere interpretate come veri e propri cambiamenti nel mondo esterno. Per questo motivo il sistema visivo cerca continuamente di mettere insieme gli stimoli che sono simili tra di loro e di costruirne una sorta di media”.

Una stabilità rassicurante

In altre parole, sembra che il cervello prediliga la sicurezza di una visione stabile rispetto alla precisione e accuratezza dell’immagine.

“Nel mondo reale, un cornetto non diventa una frittella in una frazione di secondo, quindi il campo di continuità percettiva stabilizza ciò che vediamo nel corso del tempo, portando a una più prevedibile sensazione stabile del mondo”, spiegano i ricercatori. “La risposta non dipende solo dall’intensità dello stimolo ma anche da quella dello stimolo che l’ha preceduto: se quello precedente conteneva 20 oggetti, uno che ne contiene 30 sembra contenerne meno, circa 25; all’opposto, se lo stimolo precedente conteneva 40 oggetti, quello corrente che ne ha 30 sembra averne 35”.

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La ricerca mette in luce un sistema di percezione in cui il presente risulta un tramite di ciò che abbiamo esperito negli ultimi quindici secondi circa.

“Senza questa integrazione degli stimoli nel tempo, saremmo ipersensibili alle fluttuazioni visive innescate da ombre, dal movimento e da una miriade di altri fattori: i volti e gli oggetti potrebbero sembrare trasformarsi da un momento all’altro con un effetto sconvolgente”, conclude Cicchini.