Quante volte durante un concerto o un evento importante o semplicemente durante un viaggio con gli amici o la dolce metà, si viene assaliti dall’irrefrenabile smania di estrarre lo smartphone e immortalare il momento con una foto o un video?
La fotocamera a portata di mano e l’esistenza di una vita parallela sui social network ci spinge più spesso di quanto crediamo a vivere istanti della nostra vita in funzione dello scatto perfetto, che sia un selfie o una foto di evento che vogliamo condividere con i nostri amici, il pensiero di immortalarlo ci impedisce di godere della situazione che la vita reale ci sta regalando. Invece che abbandonarci al flusso della vita vera, vivendola pienamente senza preoccuparci di “registrarla”, siamo assaliti da stress e tensione per paura che qualcosa di importante sfugga all’obiettivo del nostro smartphone. Il risultato? Quello che stiamo vivendo sfugge ai nostri ricordi e non viene impresso nella memoria come dovrebbe, rovinato dall’interferenza delle preoccupazioni legate alla mania di fotografare tutto.

I selfie aggravano l’alienazione

E’ questa l’inquietante tesi sostenuta da uno studio coordinato da Maryanne Garry, docente di Psicologia alla Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda.

Questo problema tende ad aggravarsi nel caso dei selfie, che secondo uno studio dell’American Psychiatric Association sarebbe indice di un vero e proprio disturbo mentale: la ricerca dell’inquadratura perfetta, che restituisca un’immagine di sé ideale, è al centro dei pensieri di chi soffre di “selfite”, condizione che rivela una più o meno grave mancanza di autostima e spesso anche problemi legati all’intimità.

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Sembra che fotografare continuamente un momento importante ci dia l’erronea sensazione di parteciparvi in modo più attivo: in realtà così facendo lo si vive meno, creando una sorta di distacco che impedisce di godersi l’esperienza pienamente.

L’era della dematerializzazione cancella i ricordi

Le ricerche di Garry sul rapporto tra tecnologie digitali e cervello vanno avanti da tempo, ma ora si sta concentrando sull’approfondimento degli effetti della fotografia sui ricordi d’infanzia. La studiosa sottolinea sopratutto i rischi insiti nei nuovi mezzi di arichiviazione digitale, che spesso finiscono con il volatilizzare i nostri ricordi più belli, come spiega Garry: “Le persone fanno mille foto e poi le scaricano da qualche parte e in realtà non hanno il tempo di guardarle molto perché è troppo difficile etichettarle e organizzarle. Questa mi sembra una perdita”.

Il desiderio di voler immortalare i momenti più importanti della nostra vita con uno scatto fotografico è legittimo. Ma se diventa un impulso frenetico, allora rischiamo di dimenticare tutto in un attimo, secondo la psicologa. In passato la stampa delle fotografie e l’esistenza di album di ricordi tangibili, ci regalava il piacere di sfogliarli di tanto in tanto. Adesso i nostri computer e dispositivi mobili sono affollati e in alcuni casi letteralmente intasati di migliaia di fotografie, spesso disperse senza che siano mai state archiviate in alcun modo. L’amaro risultato è che spesso, nell’era della dematerializzazione, i nostri album dei ricordi scompaiono nel nulla.

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Gli scatti digitali nemici dei dettagli

Già in precedenza, con  uno studio della Fairfield University in Connecticut, pubblicato su Psycological Science, si era indagato sul rapporto tra foto digitali e memoria: troppe foto, secondo la ricerca, danneggiano la nitidezza dei ricordi, cancellandone i dettagli.

I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di studenti di visitare un museo e fotografare alcune opere. Il giorno seguente i ragazzi hanno rivelato della lacune nella memoria di quadri e sculture che avevano fotografato, mentre conservavano maggiormente i dettagli delle opere che si erano limitati ad osservare.

“La gente spesso tira fuori le macchine fotografiche senza pensarci. Quando però si affidano alla tecnologia per ricordare, questo può avere un impatto negativo sul modo in cui si memorizzano le esperienze”, spiega Linda Henkel, autrice dello studio. Altri studi precedenti hanno dimostrato che riguardare vecchie foto può aiutarci nel ricordo, ma solo se ci si immerge nell’esperienza dell’evocare attraverso le immagini, dedicandoci un po’ di tempo. “Per ricordare – ha detto Henkel – dobbiamo accedere e interagire con le foto, e non solo accumularle”.

Per completare il quadro, uno studio della Harvard University, della University of Wisconsin-Madison e della Columbia University ha invece messo in luce che molti sostituiscono i propri ricordi con Internet, utilizzandolo come una sorta di memoria esterna da consultare di volta in volta, in caso di necessità. A volte la dipendenza dai device mobili quali smartphone e tablet ci fa desistere dalla ricerca su un determinato argomento se non otteniamo una risposta sul web in tempi rapidi.