Le donne subiscono peggio degli uomini gli effetti del lavoro precario sulla salute fisica e mentale: secondo una ricerca dell’Università di Firenze, sono le più ansiose, stressate e depresse

Lo studio, pubblicato sulla rivista Social Science & Medicine, rivela come il precariato abbia le peggiori ripercussioni sul gentil sesso: probabilità maggiori di 5 volte di ammalarsi o di soffrire di disturbi d’ansia, attacchi di panico fino a sprofondare in stati di depressione più o meno graveSe le conseguenze della crisi economica sulla salute si fanno già sentire con l’aumento preoccupante dei disturbi del sonno, il lavoro precario non è da meno: tra gli altri rischi, la paura di perdere il proprio impiego ha aumentato in modo significativo quello di sviluppare l’asma.

Le peggiori condizioni contrattuali

Sotto analisi circa 625 soggetti, di cui 278 uomini e 347 donne, di età compresa tra i 16 e i 64 anni, tutti lavoratori con diversi tipi di contratto, sia a tempo determinato che occasionali. Ne è emerso un quadro che vede le donne conquistare il primato negativo di lavoro con le peggiori condizioni contrattuali, che spesso si accompagnano con stati di salute cagionevoli. Per quantificare i dati, le donne che hanno avuto ripercussioni negative sulla salute sono risultate cinque volte di più di quelle con contratto fisso.

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Perché le donne subiscono di più

Elena Pirani, titolare della ricerca, ha dichiarato: “Più perdura il precariato, peggiori sono gli effetti sulla salute, se un contratto temporaneo è seguito l’anno successivo da uno permanente, gli effetti negativi sulla salute spariscono”.

Sorge spontaneo chiedersi quale sia il motivo per cui le donne subiscano in modo più significativo gli effetti negativi del precariato sulla salute.

Gli studiosi rispondono così:

“Secondo noi dipende dal fatto che le donne italiane sono più impegnate in lavori di cura dei figli e compiti domestici e il carico di lavoro doppio può generare stress e abbassarne la percezione di salute. La gestione della famiglia e la situazione di iniquità nella divisione dei ruoli alla quale assistiamo nel contesto italiano può contribuire al risultato“.