L’IT per la fabbrica smart. I tre fattori chiave del cambiamento

La smart factory a scuola di convergenza

Pensare “lungo” e guardare “altrove”. Avvalersi del territorio come fattore competitivo. Partecipare alla definizione di strategie collettive. Innovazione, sostenibilità e resilienza. La fabbrica smart è molto più di una fabbrica automatizzata. Il rinascimento industriale europeo parte dalle fabbriche smart. Come realizzare il potenziale della fabbrica intelligente, ridefinendo il ruolo di CIO e COO come leader del cambiamento

L’ultimo rapporto “Smart Factories, Clean Tech and Customer Experience dell’Osservatorio Business Innovation della Commissione Europea evidenzia in modo dettagliato come la fabbrica smart sia un obiettivo prioritario per il tessuto economico e produttivo continentale. Data Manager parte proprio da queste valutazioni su scala europea per tracciare insieme agli analisti di IDC ed esperti del settore il percorso di digital transformation. Ma che cosa significa “fabbrica smart”? Secondo il rapporto europeo, si definiscono “smart” quelle fabbriche che sono in grado di collegare tra loro in un modello a “rete” business process e processi produttivi, attingendo ai sistemi IT per ottimizzare l’utilizzo e la capacità produttiva delle macchine e minimizzare in tempo reale difetti di produzione e impatti negativi. Le fabbriche intelligenti si avvantaggiano di applicazioni smart process per supportare le attività di business che sono “people intensive”, altamente variabili, debolmente strutturate e soggette a modifiche frequenti. Le fabbriche smart sono in grado di combinare sostenibilità, resilienza e vantaggi di business, integrando soluzioni di efficientamento energetico e prevenzione dell’inquinamento nella progettazione dei propri sistemi di elaborazione. I processi produttivi combinano sempre più spesso brevetti proprietari, servizi e idee crowdsourced con finalità di co-design e di test dei prodotti su ambienti reali e/o virtuali. L’ottimizzazione della capacity è il processo con cui le aziende manifatturiere mirano a ridurre l’utilizzo sub-ottimo delle proprie risorse produttive. A tal fine, utilizzano sempre più e meglio l’ICT in modo da progettare piani di produzione per migliorare la reale capacità produttiva, il tempo di set-up, la flessibilità e i vincoli di produzione.

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SMART MANUFACTURING

Nell’ultimo decennio, i posti di lavoro nell’industria manifatturiera europea sono diminuiti del 20 per cento. La trasformazione digitale che impatta il settore manufacturing è una tendenza che deve essere compresa nelle sue fondamenta per invertire questa tendenza, se si vogliono gettare le basi di quello che nel Rapporto della Commissione viene definito “Rinascimento industriale europeo”, mediante la creazione di nuovi posti di lavoro e opportunità di crescita sostenibile. Si tratta di una sfida che coinvolge in modo particolare CIO e HR. La sfida all’inizio può apparire scoraggiante per il management e in particolare per l’IT. Le configurazioni pressoché illimitate di soluzioni per la fabbrica smart si traducono in una serie di percorsi che devono essere definiti, pianificati ed eseguiti a un ritmo adeguato all’organizzazione. La velocità di adattamento al cambiamento non può essere compresso e deve tenere conto delle singole realtà produttive, sempre che l’obiettivo sia la “trasformazione” digitale e non la “distruzione” del know-how acquisito.

PRODUZIONE E CONVERGENZA

Il processo di produzione è il cuore di ogni azienda manifatturiera. La convergenza delle tecnologie fisiche e virtuali sta rivoluzionando le logiche della fabbrica. Macchine intelligenti e co-bot possono adattarsi in modo flessibile senza la necessità dell’intervento umano. Stanno emergendo un insieme di applicazioni aziendali che sfruttano in tempo reale il cloud e i dati dell’Internet of Things (IoT). I “Digital Twins” consentono una replicazione realistica di prodotti, macchine e processi. Nuove tecnologie e standard – dalla Blockchain al Time Sensitive Networks, passando per le architetture OPC UA – rivoluzioneranno il modo di utilizzare i dati. Per Lorenzo Veronesi, research manager, IDC Manufacturing Insights EMEA, la necessità di governare questi processi sta portando all’emergere di nuovi paradigmi organizzativi incentrati sull’integrazione delle competenze e delle pratiche IT e OT. L’opportunità è enorme, così come lo è il rischio derivato dall’inazione. Secondo IDC, il 25% dei COO nelle grandi aziende non si limiterà a essere solo il “re della fabbrica”, ma ha e avrà sempre più un ruolo di change leader, con un coinvolgimento in molte decisioni strategiche aziendali. Tuttavia, le aziende spesso hanno difficoltà a capire come questi principi e iniziative possano essere applicati alle loro organizzazioni. In che modo la fabbrica può contribuire a rendere praticabile il nostro modello di business? Quali funzionalità e capacità ci mancano per riuscire ad avere successo in un mondo sempre più digitale? La nostra cultura è in grado di supportare e sopportare la trasformazione digitale? Sono queste le domande più frequenti che le aziende si stanno facendo – ci spiega Veronesi. «Per rispondere a queste esigenze, IDC ha creato un modello di maturità per lo Smart Manufacturing. Questo modello nasce per fornire una struttura per identificare le fasi, i KPI, i risultati attesi e le azioni necessarie a seconda del percorso di crescita peculiare di ciascuna organizzazione».

EVOLUZIONE E RESISTENZA

Ci sono cinque fasi nel modello di maturità per lo Smart Manufacturing proposto da IDC, che vanno dallo stadio meno maturo a quello più evoluto. La prima fase è caratterizzata da una forma di resistenza a queste iniziative. «Ci possono essere situazioni in cui questo può essere accettabile – spiega Veronesi – per esempio, quando una società ha una visione a lungo termine di diventare un produttore “virtuale” che esternalizza e mira quindi a ridurre al minimo i rischi e gli investimenti costi a breve termine. Ma in tutte le altre situazioni, le aziende che rimangono troppo a lungo in questa fase possono essere lasciate indietro, in quanto non riescono a stabilire gli investimenti e le azioni necessari per garantire e sostenere le prestazioni di produzione richieste dal mercato». Nella seconda fase della maturità, l’azienda comprende l’importanza della trasformazione digitale nella produzione, ma la capacità di andare oltre i silos funzionali è limitata. «Per le aziende in questa fase – continua Veronesi – si può assistere a dei fenomeni di trasformazione positiva, ma spesso in modo casuale. Il processo di produzione rischia di non reggere il passo con i trend e le opportunità tecnologiche». Nella terza fase, la produzione intelligente è un’iniziativa ricercata in tutta l’organizzazione in modo attivo.

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«Esiste un consenso diffuso, ma informale, sull’importanza di queste pratiche – fa notare Veronesi – pertanto la maggior parte delle unità aziendali o delle fabbriche è impegnata in questi tipi di progetti. Ciononostante, il rischio di condurre iniziative parallele e ridondanti è ancora alto in quanto nessun allineamento è promosso a livello centrale. In alcuni casi, ci sono delle risorse organizzative che sono identificate per consentire uno sviluppo più rapido delle capacità digitali, sebbene persista la natura essenzialmente individuale delle iniziative». La quarta fase, vede la produzione intelligente come il principio guida di tutti i processi di miglioramento della fabbrica. «L’allineamento inter-funzionale è abilitato da una solida piattaforma per la gestione delle informazioni, le competenze digitali sono ricercate e ben retribuite, e l’efficienza complessiva del processo è massimizzata» – continua Veronesi. «L’iniziativa è guidata a livello strategico da cima a fondo ed è ampiamente supportata in tutte le business unit. Pertanto, la società che si trova a questo livello tipicamente gode e dispone di un set di implementazioni coerente e strategicamente valido». Infine, nella quinta e ultima fase, la produzione intelligente è considerata non solo l’iniziativa strategica principale nella fabbrica, ma anche il gateway per l’innovazione per tutta l’azienda. «In questa fase di maturità – spiega Veronesi – vengono sfruttati modelli di business innovativi basati su iniziative quali “loT size 1” e customizzazione di massa. La produzione intelligente consente alle aziende di plasmare il mercato da leader digitale. In ogni caso, la chiave del successo in questo “viaggio” – sottolinea Veronesi – «è la capacità di spostarsi da un approccio che vede le iniziative di produzione intelligente come “una tantum”, a uno che le mette al centro della strategia aziendale». E questo sarà essenziale per padroneggiare la trasformazione aziendale e bilanciare costi, qualità, velocità, agilità e innovazione.

ACCELERARE LO SVILUPPO

L’IoT, l’automazione e l’intelligenza artificiale stanno ridefinendo le “global value chains” e le stesse opportunità di business. Oltre alle competenze e al know-how delle persone, l’innovazione richiede coraggio, determinazione, struttura e volontà per vincere la sfida. Occorre concentrare il focus sulle esigenze del cliente per migliorare la sua capacità di ottimizzare i processi ed essere più competitivo. Molto dipende dall’approccio che deve essere rapido, continuo e autenticamente “smart”. Le organizzazioni non possono più permettersi un approccio sequenziale lento. In molti casi, questo significa mettere in discussione continuamente lo status quo e la “saggezza” aziendale consolidata. Servono connessioni profonde tra i diversi dipartimenti all’interno delle organizzazioni. E serve anche la capacità di guardare avanti. Ma siamo sicuri che questi principi siano già una realtà nelle imprese? Per rispondere a questa domanda, Data Manager ha seguito Uwe Scharf, executive vice president Global Business Unit Industry di Rittal GmbH & Co. KG nel suo intervento alla Smart Industry Conference 2018 di settembre dal titolo “Accelerating Product Development In An Industry 4.0 World”.

Secondo Scharf, l’innovazione è l’epitome del cambiamento. «Per avere successo nell’innovazione e superare le barriere e le abitudini radicate, occorre una prospettiva che supera le quattro mura dell’organizzazione» – spiega Scharf. «Quando Rittal ha cercato di riprogettare la sua linea di armadi di punta, siamo partiti dai clienti e abbiamo scelto di esaminare ciò di cui avevano bisogno oggi e nel futuro. Il processo ha riportato la nostra azienda alle sue origini, nell’ascoltare i nostri clienti in tutto il mondo per imparare da loro che cosa funziona. È stato studiato ogni tipo di contatto sull’involucro, dall’ingegneria e logistica alla messa in servizio e alla manutenzione. Sono stati consultati gli attori procedurali, compresi responsabili approvvigionamento e i gestori degli asset. La società ha perfino ingaggiato un team di antropologi, psicologi e specialisti organizzativi per garantire addirittura che l’armadio si chiudesse facendo il “tic” giusto». Lo studio delle esigenze dei clienti è il primo passo verso l’innovazione. «Prima che un team inizi a sviluppare un nuovo prodotto – spiega Scharf – deve scoprire quali sono le sfide che i suoi clienti stanno affrontando e analizzarne i problemi. Nel caso di sviluppo del nostro enclosure VX25 di grandi dimensioni, per esempio, Rittal ha inviato ricercatori in dieci società industriali in Germania, otto negli Stati Uniti e sei in Cina comprendendo aziende piccole, medie e grandi. Abbiamo trascorso tre giorni in ciascuna azienda e documentato la vita lavorativa quotidiana per iscritto, in foto e video. Questa analisi ha fornito spunti inarrivabili diversamente e ha consentito di raccogliere un totale di 150 requisiti specifici per il nuovo involucro». Uno studio di usabilità, che si è avvalso anche del contributo di antropologi e psicologi che hanno lavorato per un anno sul campo in tre continenti, e che è andato ben oltre la semplice user experience e ha permesso di comprendere come le persone lavorano. «Sono queste le informazioni che ci guidano nella giusta direzione» – spiega Scharf. «Dopo la documentazione e la valutazione, abbiamo spostato l’attenzione sull’engineering delle specifiche. Quando abbiamo capito esattamente le specifiche, i nostri dipartimenti di ricerca e sviluppo hanno avuto una guida approfondita per il loro lavoro di sviluppo prodotto». L’Industria 4.0 è la quarta rivoluzione industriale, in questa convergenza e interconnessione di prodotti, value chain e modelli di business, le imprese hanno bisogno di un perimetro per ridurre la complessità e i tempi di throughput tra ingegneria e assemblaggio».

LE SCELTE FUTURE

Alle persone non piace il cambiamento. L’innovazione richiede una dose di curiosità per il nuovo, coraggio e volontà di successo. Le imprese devono essere in grado di anticipare il cambiamento e pensare a soluzioni a prova di futuro. Dalla lezione di Uwe Scharf ci appare evidente come l’innovazione preveda oltre a progettisti e direttori operativi (COO) anche il contributo da parte dei CIO come esperti nel processo di sviluppo del prodotto, non come entità a sé, ma integrato nel processo di business. Le tecnologie digitali permeano e trasformano la produzione e il consumo a un ritmo vertiginoso. E noi torniamo a parlare di manifattura, fabbriche e lavoro. Annalisa Primi, alla guida del Centro di politiche strutturali e di innovazione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), raggiunta da Data Manager al termine del decimo Plenary Meeting OECD di Parigi (27-28 giugno), ha spiegato in dettaglio quali sono i tre principi fondamentali che i CIO devono sempre tenere a mente nel viaggio verso la fabbrica smart. Per Annalisa Primi, non c’è una ricetta unica per trasformare la propria attività in una smart factory, ma per realizzare il potenziale della fabbrica intelligente ci sono tre elementi da tenere a mente per orientare le proprie scelte strategiche future: 1) Pensare “lungo” e guardare “altrove”; 2) Avvalersi del territorio come fattore competitivo; 3) Partecipare alla definizione di strategie collettive.

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PENSARE “LUNGO” E GUARDARE “ALTROVE”

Il contesto attuale è caratterizzato da cambiamenti profondi ed estremamente veloci. L’applicazione delle tecnologie digitali, dall’intelligenza artificiale al big data, può riconfigurare un business massimizzandone i rendimenti. «Questo però dovrebbe essere solo il primo passo» – spiega Annalisa Primi. «Il grande impatto della transizione alla smart factory deriva dalla possibilità di ri-immaginare completamente il mondo della produzione, del consumo e, quindi del lavoro. È proprio questa capacità di guardare al di là dell’immediato e identificare opportunità di cambiamenti radicali che caratterizza le imprese leader. Le istituzioni intermedie e di settore, per esempio, diventano spazi importanti per identificare rischi e opportunità, definire esigenze ed elaborare strategie a futuro. Innovazioni e idee nuove possono sorgere oltre i percorsi innovativi tradizionali. In questo contesto, risulta determinante saper cogliere cambiamenti e novità lungo l’intera filiera produttiva locale e globale e creare connessioni strategiche per sperimentare nuove soluzioni. Le partnership sono all’ordine del giorno nel mondo dell’industria 4.0. E non solo tra grandi imprese. Così come Barilla sta collaborando con CISCO per sperimentare un nuovo sistema di tracciabilità dei suoi sughi usando blockchain, una azienda tessile di medie dimensioni a Shenzhen, in Cina, collabora con una startup specializzata in servizi di intelligenza artificiale per automatizzare il processo di identificazione dei tessuti».

IL TERRITORIO COME FATTORE COMPETITIVO

Un rischio insito nella digitalizzazione è l’omologazione e la perdita del vantaggio competitivo. La sfida invece è proprio mantenere identità e unicità nella transizione verso la smart factory. Nel declinare la propria versione di fabbrica intelligente, il territorio appare come una rinnovata fonte di competitività. «È portatore di identità e unicità che danno valore all’attività produttiva ed è fonte di domanda e opportunità di mercato» – continua Annalisa Primi. «Le fabbriche intelligenti, più pulite, silenziose e a volte di dimensioni ridotte tornano in città. Qui possono innovare e sperimentare nuove soluzioni attingendo a patrimoni e saperi del territorio e a nuovi servizi offerti dagli “smart districts”, contribuendo anche a nuovi processi di sviluppo locale e riqualificazione. In Cina, ad esempio, sono molteplici le smart cities, dove nuove industrie intelligenti operano, innovano e sviluppano prodotti e servizi per il mercato locale come fase pilota per eventuali, successivi sviluppi nazionali e globali. È così che a Shenzhen i giganti dell’elettronica lavorano con la municipalità locale per definire nuovi sistemi di gestione intelligente del traffico e della fornitura di energia. Negli Stati Uniti, piattaforme manifatturiere come lo stato del Michigan, da dove si diffuse la Ford, si stanno oggi ri-inventando utilizzando il potenziale del digitale applicato al manifatturiero avvalendosi di acceleratori pubblici-privati che facilitano connessioni tra università, imprese e agenzie pubbliche statali per favorire innovazione e sperimentazione in smart factories».

PARTECIPARE ALLA DEFINIZIONE DI STRATEGIE COLLETTIVE

I confini della smart factory vanno ben al di là della fabbrica stessa. La fabbrica intelligente opera in sistemi connessi di filiere produttive. «È parte di un sistema produttivo ampio» – spiega Annalisa Primi. «Si alimenta di dati generati prima, durante e dopo la produzione, e genera informazioni di valore non solo per se stessa ma per l’economia globale e locale, per le istituzioni, i consumatori e i cittadini. Questo espandersi della frontiera dell’impresa richiede una nuova forma di interagire e partecipare alla definizione del sistema di governance dell’economia. Le tecnologie digitali sono in piena evoluzione, e così lo è il sistema di regole che ne governeranno lo sviluppo, accesso e diffusione. Il punto di vista delle imprese, di tutte le dimensioni, e degli imprenditori è fondamentale non solo per ridefinire i percorsi formativi per rispondere alle esigenze produttive del futuro, e per identificare come modernizzare infrastrutture e servizi digitali per operare in condizioni di uguaglianza con i sistemi produttivi più avanzati, ma anche per chiarire il nuovo ruolo che la fabbrica digitale può compiere nel sistema socio-economico e per chiarire quali nuove regole e incentivi siano necessari per favorirne la crescita e lo sviluppo. In Germania, dove si è originato il concetto di industria 4.0, il dialogo imprese, stato, società è alla base delle azioni di sostegno alla diffusione delle fabbriche intelligenti. In particolare si avvale di strumenti per favorire la partecipazione ai processi di decisione strategica delle piccole e medie imprese».

PRODUZIONE, AMBIENTE E SOCIETÀ

«Il termine “smart factory” evoca immagini lontane dalla fabbrica tradizionale. La “smart factory” è silenziosa, pulita, “digitale”. Opera in rete, gestisce processi complessi in modo autonomo, o semi-autonomo, richiedendo nuove competenze tanto ai suoi manager quanto ai suoi lavoratori» – spiega Annalisa Primi. «Una fabbrica intelligente è molto più di una fabbrica automatizzata. Le macchine e i robot industriali si sono diffusi nelle aziende sin dagli anni 70. La novità oggi risiede nella capacità delle nuove tecnologie di dotare i macchinari di “intelligenza” e capacità di apprendere e comunicare, di creare sistemi iperconnessi in grado di gestire transazioni, come nel caso della blockchain, senza la necessità di un’autorità centrale, di permettere interazioni dirette e sicure tra consumatori, clienti, produttori e fornitori». In questa nuova realtà industriale cambia tutto: gli input, il processo produttivo e l’output. Cambia dunque l’organizzazione produttiva, il layout della fabbrica stessa, le sue funzioni e le relazioni con le parti terze sia a monte che a valle, dai fornitori ai clienti.

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«A livello internazionale il dibattito su queste nuove forme di organizzazione della produzione e del lavoro e sui conseguenti nuovi fattori di competitività è intenso» – continua Annalisa Primi. «La Cina, con la sua strategia industriale Made in China 2025 sta puntando sulla complementarietà tra capacità manifatturiere tradizionali e intelligenza artificiale e tecnologie digitali. In Brasile, la Confederazione Nazionale dell’Industria (CNI) sta mappando i cambiamenti nelle sue imprese per identificare l’uso attuale e potenziale delle tecnologie digitali nel business con l’obiettivo di fornire input alla definizione di una nuova politica produttiva nazionale che rilanci l’industria e gli permetta di operare in un contesto globale e digitalizzato». La smart factory è interessante non (solo) perché è più produttiva, ma perché, e soprattutto, può trasformare la relazione produzione-ambiente-società, in meglio. «Le fabbriche intelligenti sono rilevanti perché possono essere energeticamente efficienti, con minimo impatto ambientale, con gradi di sicurezza sul lavoro totali, perché i sensori intelligenti delle macchine possono prevedere i movimenti umani e attivarsi per salvaguardare l’incolumità delle persone. Le smart factories possono essere delle human factories» – mette in evidenza Annalisa Primi.

Il contesto attuale è caratterizzato da elevata incertezza sulle future tecnologie dominanti, altissima velocità nei cambiamenti e nell’apertura e chiusura di finestre di opportunità e da grandi vantaggi di base per i player dominanti. Le smart factories non sono il futuro, sono il presente per molti, e rappresentano una realtà in continua evoluzione. Pensare a come trasformare e gestire la propria attività in un’ottica digitale è oggi una scelta obbligata. «Le potenzialità e le opzioni sono molteplici a patto di non considerare il digitale come una soluzione “chiavi in mano” per razionalizzare e massimizzare i processi esistenti» – avverte Annalisa Primi. Quando il digitale entra e ridisegna la fabbrica ci permette di ridefinire le logiche del business andando al di là della mera logica tradizionale di produttività (per esempio, stesso output con minor input) per passare a logiche superiori che tengano in conto i valori di oggi, come per esempio un prodotto e servizio migliore, personalizzato, con minor impatto ambientale, con ritorni sociali, e prodotto in base a remunerazioni eque.

Nei prossimi anni, la transizione al digitale continuerà a trasformare in maniera radicale produzione, consumo, lavoro, territorio e società. Assisteremo a molteplici sperimentazioni e innovazioni. Imprenditori visionari e capaci di sperimentare, e investimenti e politiche sostenuti da una visione di sviluppo inclusivo e sostenibile, e non meramente produttivo, sono necessari per facilitare questa evoluzione e garantire che le smart factories siano human factories – come evidenzia Annalisa Primi. «Attori di una trasformazione sociale e produttiva in grado di garantire il progresso, offrendo nuovi prodotti e servizi, ridefinendo la relazione tra produzione e territorio e generando nuove e migliori opportunità lavorative e condizioni di vita, per tutti».