Chi ha il primato sulla tecnologia ha il potere su tutto

Chi ha il primato sulla tecnologia ha il potere su tutto

Le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale applicata. Dai droni biologici utilizzati dai servizi di intelligence alla cybersecurity, verso un futuro dove la finzione imita già la realtà

Non basta un articolo. L’argomento è talmente vasto ma estremamente interessante. Quindi, non sarà l’ultimo. Trump e la Cina combattono da mesi una guerra, quella dei dazi, ma in verità le ragioni dello scontro sembrano più vicine a un conflitto sulla tecnologia. Perché chi ha il primato sulla tecnologia ha il potere. Ed è quello che la storia ci ha insegnato da sempre. Ve lo immaginate un paese che ha il pieno controllo di una tecnologia super intelligente? Insomma, più efficace ed efficiente dell’intelligenza umana?

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Ma andiamoci piano. Qualche anno fa, ero su Netflix a vedere Black Mirror – la serie tv americana – e un episodio mi è venuto in mente per iniziare questo articolo. Siamo nel futuro e milioni e milioni di api impollinano i fiori. Fanno il miele e si comportano come le api che conosciamo oggi, ma in realtà si tratta di insetti-droni automatizzati. Un giorno, un uomo trova una vulnerabilità nel software di gestione delle api e inizia a prendere il comando dello sciame, che può essere utilizzato non solo per finalità di controllo ma anche per eliminare alcuni esseri umani. L’hacker in questione non entra nella testa delle api una per una, ma nell’algoritmo che gestisce l’intera filiera. Perché l’intelligenza delle api, come lo è anche in natura, segue le regole della swarm intelligence: le informazioni vengono condivise istantaneamente tra le varie api.

Ma è tutta finzione? No. E se lo afferma Franco Iacch – analista accreditato al Ministero della Difesa e alla NATO ed esperto di sistemi d’arma e sicurezza – che usa l’intelligenza artificiale anche per prevedere eventuali attentati – io ci credo. Perché come racconta la stesso Iacch – la proposta per la creazione di un UAV biologico dotato di una suite di sensori risale al 2007. Infatti, la sfida della DARPA fu vinta dall’Università della California, che nel 2009 riuscì a radiocomandare a distanza un coleottero scarabeide, tramite sei elettrodi installati nel cervello e nel sistema nervoso dell’insetto, che fu scelto dai ricercatori per la sua capacità di trasportare fino a tre grammi di peso. «Dall’esperienza del programma Micro Air Vehicle, nacque l’idea della DARPA per sfruttare i sensori chimici degli insetti per rilevare tracce di esplosivi negli edifici o nelle remote grotte di un paese ostile. Dopo aver mappato per anni la biologia degli insetti – continua Franco Iacch – i ricercatori hanno iniziato a modificare chirurgicamente il loro sistema nervoso, collegandolo a una minuscola stazione di ricezione wireless che avrebbe trasmesso le istruzioni dell’operatore direttamente agli insetti attraverso impulsi radio. Per esempio, gli scienziati possono già controllare il volo delle farfalle, ma appare evidente che tali insetti-cyborg potrebbero essere impiegati in una grande varietà di usi, dallo spionaggio alle missioni di ricerca e soccorso. Gli insetti sono piattaforme ready-made, consumano 100 volte meno energia di un robot delle stesse dimensioni e non hanno bisogno di un codice precaricato per compiere un determinato movimento complesso».

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APPLICAZIONI MILITARI

Da quel che so le tecnologie militari sono sempre molto avanti rispetto a quelle alla portata di tutti. E Franco Iacch, ascolta le mie riflessioni e continua a parlarmi di insetti geneticamente modificati e di droni da usare in campo militare. «Le macchine più versatili e robuste sono ancora quelle prodotte dalla natura attraverso l’evoluzione» – mi spiega Iacch. «Attualmente, l’uomo non ha ancora eguagliato – per esempio – le capacità olfattive dei cani, ma continua a modificare il sistema neurologico degli insetti per controllarli in remoto. Nel 2016, il Naval Research della US Navy ha assegnato un finanziamento di 750mila dollari all’Università di Washington di St. Louis, per alterare chirurgicamente le locuste così da percepire a distanza possibili ordigni esplosivi, rilevando i cambiamenti chimici nell’ambiente. La chimica di rilevamento di questi insetti è molto ben sviluppata, riuscendo a percepire uno stimolo olfattivo in millisecondi. Il senso dell’olfatto è la capacità di percepire diversi tipi di sostanze chimiche nell’aria. Nonostante i progressi della tecnologia artificiale, le capacità olfattive degli animali sono ancora ben lungi dall’essere eguagliate dall’uomo. Il sistema neurologico delle locuste, relativamente semplice, permette agli scienziati di modificarle chirurgicamente, rendendole in grado di trasmettere i dati sensoriali. La trasformazione in UAV biologico avviene in pochi minuti: le locuste sono già pronte per il volo 24 ore dopo l’intervento senza alcuna limitazione. Per dirigere gli insetti, i ricercatori hanno creato una sorta di membrana in grado di convertire la luce laser in calore. Un piccolo elettrodo impiantato nel cervello della locusta consente all’operatore di capire ciò che l’antenna dell’insetto sta captando. Sul dorso della locusta è impiantato un piccolo dispositivo in grado di trasmettere i dati raccolti. La Marina americana – mi rivela Iacch – dovrebbe ricevere il primo UAV biologico operativo basato sulla locusta entro la fine dell’anno».

AI E SERVIZI SEGRETI

Ma che ruolo ha l’intelligenza artificiale per i servizi segreti di un paese? Cosa fanno le agenzie di intelligence? Analizzano milioni di dati al giorno, nel tentativo di risolvere crimini e prevenirli in modo proattivo. Il processo di revisione dei dati richiede molto tempo agli analisti umani. Questi ultimi sono anche responsabili della produzione dei rapporti classificati. Per esempio la comunità di intelligence degli Stati Uniti investe fondi e risorse per sviluppare un’intelligenza artificiale che possa coadiuvare gli analisti nel valutare in modo più efficiente ed efficace i dati. L’obiettivo è migliorare il processo di analisi di grandi quantità di dati. Le immagini provenienti dai droni e dai satelliti permettono di identificare interventi e cambiamenti in una particolare area geografica. Cambiamenti che potrebbero indicare potenziali minacce, come i test militari. Una tecnologia di apprendimento automatico potrebbe interpretare le immagini in modo più efficiente e veloce. Esistono centinaia di progetti pilota in atto con queste finalità e che funzionano come quelli per identificare i malware in tempo reale, eseguire ricerche automatizzate di riconoscimento facciale o riconoscere gli oggetti in un video per prevedere eventi futuri basati su big data e prove correlazionali. L’intelligenza artificiale potrebbe incrementare le capacità e le conoscenze degli analisti umani, con questi ultimi responsabili della supervisione e del pensiero strategico».

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ARMI NON CONVENZIONALI

Pensiamo alla tanto pubblicizzata automazione. Tesla è un esempio oramai classico. E ritorniamo a Black Mirror. Non è anch’essa una potenziale arma? Non potrebbe essere dirottata in remoto così come già avvenuto? Otto anni fa, i ricercatori dell’Università di Washington e della California riuscirono ad hackerare le automobili in modalità wireless. Vi immaginate un giorno un attacco terroristico controllato da remoto su un’automobile guidata dall’intelligenza artificiale? Difficile in realtà, perché una macchina di questo tipo sarebbe in stretto contatto con la centrale operativa e magari sarebbe maggiormente controllata rispetto a quelle che non inviano alcun segnale o guidate da noi “semplici umani”.

Recentemente, secondo il Financial Times, dietro il malware che ha infettato WhatsApp (nonostante la tanto decantata crittografia), ci sarebbe una società israeliana, specializzata in cybersecurity e lotta al terrorismo. Sempre su Netflix mi sono appassionato al tema – in verità lo sono sempre stato – e mi sono visto il documentario sul Mossad, l’agenzia di intelligence e servizi segreti dello Stato di Israele. Nel documentario,  gli ex membri del servizio segreto più efficiente del Pianeta fanno luce sulle intricate trame del potere. Ma perché si sono prestati a fare un documentario? Risponderò a questa domanda con il prossimo articolo. E vi parlerò di psicologia, ma artificiale.