Verso la prossima wave del cloud. Equinix, il network che connette il mondo

Equinix gestisce 200 data center, sparsi per tutti e cinque i continenti. Ognuno di questi serve clienti di dimensioni differenti, con diverse esigenze di business. L’Italia è sicuramente uno spartiacque per la compagnia, un mercato florido e in via di definizione, per quanto riguarda l’IT, una porta di ingresso verso tutto il Mediterraneo. Ci siamo dunque fatti spiegare da Emmanuel Becker, managing director Italia di Equinix, qual è la situazione attuale della trasformazione digitale nel nostro Paese, quale scenario e le tendenze che si affermeranno, dal punto di vista delle reti, da qui ai prossimi anni. «Guardando in media ai dati diffusi dagli analisti e a quelli del nostro osservatorio – a cavallo tra il 2017 e il 2018 – possiamo affermare che siamo di fronte a una crescita sostanziale del cloud. L’interesse maggiore è sul virtual cloud, cresciuto da 660 milioni a 1,1 miliardi di dollari, in due anni». Come si interpretano questi numeri in termini di evoluzione? Secondo Equinix, le prime imprese italiane a effettuare lo switch verso il digitale sono state le PMI, grazie a un’informatica più semplice, un ciclo flessibile e poco complesso, a fronte di investimenti minori. «Cambiare è sicuramente più facile qui che altrove, e ciò ha permesso alle PMI di affrontare la disruption in modo più agile. Le grandi aziende hanno organizzazioni piramidali, complesse, che causano una lentezza maggiore nell’affrontare dinamiche di cambiamento concrete».

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Ma il successo del cloud è evidente: secondo recenti report, l’hybrid è oggi un servizio fornito da circa 2,8 provider rispetto al dato di 1,5 del 2017. Siamo ancora sotto la media europea di 4,2 ma il panorama su cui si confronta quotidianamente Equinix è promettente. «I nostri clienti, all’inizio, partono con il digitalizzare processi semplici, di sicuro non strategici, che non sono a rischio. Alla fine, quello a cui vogliono giungere è la semplificazione dei processi, l’opportunità di accedere immediatamente e con pochi clic ai diversi provider cloud, e ottenere un deployment allargato, interno ed esterno, con la possibilità di interagire con partner e altri mercati. L’importante è non bloccare il loro business e lasciare che sappiano cosa sta avvenendo e perché. A volte, vanno spiegati i vantaggi e i passi obbligati a cui si va incontro. L’unica possibilità di garantire la business continuity durante la migrazione è contare su una piattaforma cloud che virtualizzi il lavoro. La “cloudificazione” è anche questione di obsolescenza: quando non comprese direttamente, le potenzialità latenti escono allo scoperto in maniera quasi automatica e finiscono con il soddisfare necessità reali».

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«NOI SIAMO IL BACKUP»

Cosa prevede il futuro? «Dal primo gennaio 2019, abbiamo più operazioni rivolte al machine-to-machine che allo human-to-machine. Questo vuol dire che le connessioni tra sistemi sono diventate più importanti di quelle tra utente e sistema. La prossima wave del cloud richiederà quindi sistemi più complessi e qualitativamente consolidati. Quando la stragrande maggioranza della produzione sarà automatizzata, le imprese non potranno permettersi downtime. Immaginiamo un mondo al quale viene staccata la presa di corrente. Noi siamo il backup che fa sì che le luci restino accese, mentre qualcuno interviene per aggiustarle».