Davanti al crescente successo dell’e-commerce, il negozio fisico non perde la sua centralità. Diventando anzi lo snodo fondamentale di una strategia di cambiamento che moltiplicherà il flusso di informazioni da e verso i vari luoghi della vendita

A fronte del crescente ruolo dei canali digitali di informazione e decisione d’acquisto, e sotto la spinta verso la piena integrazione delle attività di vendita all’interno dei tradizionali spazi fisici del negozio (opportunamente “digitalizzato”) e dei canali puramente online – la relazione B2C diventa la vera palestra di sperimentazione di un fenomeno che potremmo definire di “hyper-commerce”. Che cosa implica questo concetto? L’idea è che attraverso l’impiego di software, dispositivi mobili e fissi, sistemi di digital signage, sensoristica di georeferenziazione e biometrica e reti di telecomunicazione possiamo arricchire e “aumentare” il viaggio che il cliente di una attività commerciale effettua indossando di volta in volta il cappello di selezionatore, acquirente, utente e – last but not least – ispiratore di prodotti futuri.

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Data Manager ha sempre dedicato molto spazio, nelle sue tavole rotonde, alla trasformazione digitale del retail. Il ritmo dell’evoluzione tecnologica, il mutare dei framework regolatori e l’inventiva degli imprenditori del settore non si fermano mai. In questa occasione, vogliamo affrontare in modo più specifico le strategie adottate dai retailer all’interno dei punti vendita, cercando di rispettare il più possibile la grande diversità che contraddistingue anche questo anello della filiera del commercio al dettaglio: negozi convenzionali, catene, concept store, temporary store, corner in grandi superfici, presenza nei mall, alleanze e accordi con altri operatori. Quali tecnologie contribuiscono alla trasformazione digitale del negozio “brick and mortar” e delle sue numerose declinazioni? Come gli outlet del mondo fisico si inseriscono nella strategia in atto sui canali digitali? Quali sono i principali punti di criticità? Che impatto cominciano ad avere le tecnologie dell’intelligenza artificiale?

Retail, benvenuti nell’era dell’hypercommerce

Ai partecipanti, sono state fornite alcune indicazioni lungo cui orientare una conversazione che tuttavia è subito apparsa ancora più spontanea e interattiva del solito. Il che non ha reso più facile elaborare questo resoconto, o trarre conclusioni precise. È comunque un segnale positivo del livello di metabolizzazione raggiunto da organizzazioni che non si fermano al singolo progetto, non si accontentano di una banale forma di multicanalità, puntando invece sulla capacità di cogliere e valorizzare l’insieme dei canali attraverso i quali i retailer veicolano merci, servizi, comunicazione e soprattutto esperienze ai consumatori.

VERSO L’HYPER-COMMERCE?

I vari attori sono stati chiamati a raccontare le rispettive storie di trasformazione in atto sui punti vendita e si sono soffermati sui vari tipi di progettualità implementate e sul modo di governare l’omnicanalità, superando diversi tipi di ostacoli. Altri punti di interesse riguardano la raccolta e l’uso che viene fatto dei dati generati in sede di monitoraggio del customer journey che la tecnologia dovrebbe aiutare a organizzare. Uno dei primi obiettivi del negozio digitalizzato è un ulteriore approfondimento della conoscenza del cliente, che tradotto significa l’opportunità – sulla base dei comportamenti degli acquirenti – di acquisire informazioni finalizzate all’incremento delle marginalità, di una migliore corrispondenza tra assortimenti e gusti del pubblico, della customer satisfaction e del rapporto di fidelizzazione. Ma è davvero possibile ottenere correlazioni inedite grazie a questo tracciamento? E che cosa si può dire a proposito dell’integrazione tra tecnologie per il point-of-sale e i commessi, gli operatori umani che continuano a rappresentare un touchpoint fondamentale? Il problema della formazione tecnica ma soprattutto delle informazioni che devono pervenire, possibilmente in tempo quasi reale, agli addetti all’interazione con il cliente sta diventando, come si vedrà, molto “caldo”.

La convergenza dell’hyper-commerce ha infine anche una valenza logistica se è vero che molti proprietari di insegne riescono oggi a far leva sulla presenza della merce in punti vendita diversi per soddisfare più tempestivamente i desideri d’acquisto dei loro clienti. I negozi diventano in pratica dei piccoli hub periferici che accorciano il percorso di vendita. I siti di e-commerce possono indirizzare i compratori presso un negozio adeguatamente rifornito, e gli oggetti possono essere spediti da un negozio all’altro per essere consegnati a domicilio o ritirati personalmente. Come si progetta una rete di consegna efficiente e in grado di fare la delivery indipendentemente dai canali su cui viaggiano le decisioni di acquisto?

IL CLIENTE CHIEDE CAMBIAMENTO

«Il cliente continua a essere il motore principale del cambiamento» – esordisce Fabio Rizzotto, associate VP, head of research and consulting di IDC Italia, aprendo la consueta introduzione analitica. «La customer satisfaction è infatti in cima alla classifica delle priorità elencate dal 59% dei retailer italiani consultati, seguita a breve distanza (47%) dalla riduzione dei costi». Meno impattante, come movente di trasformazione, è lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, ma le tecnologie – sottolinea Rizzotto – non smettono di modificare il modo in cui aziende e clienti “si vedono”. In parallelo – aggiunge l’esperto – le tecnologie diventano pervasive e ci si preoccupa meno della dicotomia tra centro e periferia, quando si tratta di IT. «Possiamo dimenticarci dove risiedono le nostre risorse, per farci piuttosto trainare dal disegno di un nuovo spazio che non è più solo fisico, per far parlare – attraverso le tecnologie – i vari touchpoint che abbiamo identificato».

È dentro questo spazio che si andrà ad articolare la customer experience nell’ampio contesto del “commerce everywhere”. «Commerce everywhere – interviene Ornella Urso, research analyst di IDC Retail Insights Europe Insights – è l’evoluzione del concetto stesso di omnicanalità. Parlare oggi di singoli canali è limitante quando si pensa ai numerosi momenti di interazione che i brand costruiscono con i loro clienti. Dentro al nuovo concetto di “commerce everywhere” c’è il forte legame fra trasformazione digitale e innovazione del modello di business. Tutto deve quindi partire da una nuova cultura dei processi di business basata sull’adozione di tecnologie di frontiera come i microservizi e sulla capacità di far leva su questi asset informativi, aggregati in una piattaforma digitale omogenea, per creare una customer experience multicanale da inventare continuamente, in real-time, anche sulla scorta dell’analisi dei dati. «Alla base di tutte le priorità – prosegue Ornella Urso – c’è la realizzazione di un ecosistema dinamico costituito da più attori e stakeholders, che interagiscono tra loro per crescere ed espandersi tutti insieme».

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TUTTO È COMMERCIO

Tutto questo porta a rivedere anche le singole dimensioni del “commerce everywhere”. Tra i tanti aspetti citati, Ornella Urso mette per esempio in evidenza il ruolo di nuove forme di interazione come la ricerca vocale, o l’uso di agenti e assistenti virtuali basati sull’intelligenza artificiale. Oppure, la possibilità di convertire i contenuti e gli asset digitali in nuove forme di monetizzazione, che influiscono tra l’altro sul modo di concepire oggi la “loyalty” nei confronti di un brand: una fedeltà che Ornella Urso definisce “beyond reward”, ovvero non più legata alle tradizionali forme di compensazione. Infine, c’è il negozio fisico, che diventa sempre più un hub di servizio, al centro dello stesso sistema della logistica del retailer. Ornella Urso conclude la sua introduzione visualizzando una slide che riassume le tre grandi categorie di tecnologie “trasformazionali” (dalla robotica in-store, agli analytics applicati alla customer experience), “incrementali” (destinate cioè a ottimizzare i risultati di processi già in atto, come la marketing automation) e “opportunistiche” (quelle che intervengono a potenziare determinati aspetti, come la realtà virtuale usata per rafforzare l’ingaggio con il cliente, o la blockchain applicata, per esempio, alla contrattualistica tra i partecipanti a un programma di loyalty). Uno spettro tecnologico molto ampio che ha un unico punto in comune: il dato, dal cui trattamento in una modalità sempre più olistica dipende l’efficacia e la continuità della relazione con il cliente.

La titolarità del primo intervento spetta a Francesco Cavarero, CIO di Miroglio Group, nel cui showroom milanese si è svolto l’incontro. «Spesso – ribadisce Cavarero – il tema della multicanalità prende come esempio i progetti portati avanti dalle aziende del fashion. A proposito del nuovo ruolo dei negozi fisici, ho verificato un cambiamento significativo rispetto alle discussioni che facevamo dodici, diciotto mesi fa, quando molte organizzazioni parlavano solo di digitale». Cavarero cita a questo punto una intervista al fondatore della piattaforma Farfetch, un punto di riferimento globale per il commercio elettronico dell’abbigliamento “luxury”. «Secondo questo pioniere della multicanalità, possiamo aspettarci che tra cinque anni il 20% delle vendite passerà attraverso canali elettronici, con una crescita ancora consistente rispetto alla situazione di oggi. Ma per l’80% ritorneremo sempre sui punti di vendita fisici».

IL CONCORRENTE “IMPROPRIO”

Secondo Cavarero, si tratta di una narrazione ormai molto consolidata: «Con gli store devono fare i conti tutti, proprio per i volumi che continuano e continueranno a esprimere». Questo non impedisce al canale digitale di essere sempre più presente nella chiave di ecosistema, proposto da Ornella Urso. Una “nuvola” di esperienze in cui il CIO di Miroglio identifica, in modo molto visionario, la figura del concorrente “improprio”. Chi è il concorrente “improprio”? Per Cavarero, è il retailer che attraverso una esperienza d’acquisto soddisfacente anche sul piano emozionale, compete per distogliere l’attenzione e il tempo che i consumatori possono dedicare ai suoi avversari. «Se Amazon non vendesse anche abbigliamento – spiega Cavarero – sarebbe un mio competitor improprio perché i suoi clienti sono disposti ad acquistare su Amazon qualcosa di diverso dal fashion, solo per merito di una esperienza a loro più gradita di quella che potrei costruire io». La battaglia tra esperienze, al di là della specifica merce venduta, si aggiunge a un problema di asimmetria informativa che riguarda il gioco di sponda tra canali fisici e online. «Il canale fisico, lo creo io e lo conosco in dettaglio, ma i volumi sono molto limitati rispetto a un canale esterno che è grande ma di cui conosco molto poco».

Che cosa significa quindi portare sul punto fisico quella parte di esperienze digitali che il pubblico sembra apprezzare in modo particolare? La difficoltà consiste nel passare da un ambiente che viene progettato in ogni minimo particolare, attraverso accurate procedure di A/B testing sulle pagine da presentare, a un altro – il negozio – dove c’è molta meno possibilità di controllare le reazioni. «Tuttavia, sul punto fisico – osserva Cavarero – il digitale ha un potenziale importante, perché da un lato consente di ampliare la conoscenza lato supply chain, dall’altro permette di adattare alle necessità del negozio funzioni di raccolta dati che altrimenti non sarebbero disponibili». La tecnologia può in altre parole servire sia per riequilibrare i disallineamenti informativi messi in evidenza da Cavarero sia per realizzare, a proposito di “customer experience”, quel concetto di vicinanza o empatia “at scale”, modulata attraverso i diversi canali di relazione che IDC utilizza per definire l’ideale punto di convergenza dei nuovi modelli che il mondo del retail dovrebbe adottare. «Mi piace questo concetto di “empathy at scale” perché la chiave – afferma Cavarero – è ripetere le peculiarità del digitale senza sacrificare le peculiarità del fisico: il prodotto che si può toccare, la relazione diretta con le persone».

ESPERIENZA ALL DIGITAL

Sulla relazione con tutto il personale del negozio e sul ruolo che gli assistenti alla vendita possono avere nel trasmettere al cliente le informazioni giuste, si è svolta una parte importante della discussione. Una di queste suggestioni è l’esperienza all-digital, ma calata intelligentemente nella realtà fisica, addirittura esterna alle pareti del punto vendita, raccontata in un collegamento video da Pasquale Testa, CIO di Sole 365. Testa rappresenta una giovane insegna di supermercati della provincia di Napoli e il suo sintetico contributo riguarda una nuova iniziativa click-and-collect che i negozi del gruppo hanno attivato, rendendo possibile la spesa anche attraverso una serie di totem digitali installati nelle aree di parcheggio, una sorta di spesa “drive by”. Passando dalla GDO al fashion, Cavarero riferisce del completo stravolgimento che Miroglio ha portato nelle modalità di allocare e riallocare la merce nei suoi punti vendita. «A differenza di chi vende merce di tipo “continuativo” come Sole 365 – evidenzia il CIO di Miroglio – i nostri negozi hanno una finestra espositiva di otto settimane al massimo. Le nostre decisioni si basano su algoritmi decisionali ma non possiamo evitare di ascoltare le indicazioni degli store manager, che rappresentano una parte importante dell’azienda». Tra i sistemi adottati per facilitare questo coinvolgimento e avvicinare sempre più “centro” e “periferia” lungo la catena della distribuzione fisica – spiega Cavarero – Miroglio ha puntato molto sullo strumento del social network aziendale, nonché su impiego massiccio di tecnologia di business intelligence per programmare le attività sul punto vendita.

UN MIX DI FISICO E VIRTUALE

La convergenza tra e-commerce e canali più convenzionali è strategica anche per Woolrich, un brand ricco di storia (le origini risalgono a un paio di secoli fa) che si è affermato prima con gli indumenti di lana grezza di tradizione “coloniale” americana e con l’abbigliamento invernale per eccellenza, il soprabito “parka”. Woolrich oggi è una società europea, rilevata da chi un tempo importava e distribuiva il brand sul continente. Storicamente – racconta Francesco Del Bosco, head of Global e-Commerce & Omnichannel di Woolrich – il primo canale di vendita era il catalogo per corrispondenza. Oggi, la forza del brand risiede nella capacità di mescolare in modo ottimale la vetrina sul Web che ha preso il posto del catalogo e i negozi fisici, in un continuo gioco di sponda in cui il sito è anche un potente strumento di indirizzamento verso il negozio. «Spesso mi sorprendo nel notare, nella concorrenza, carenze in apparenza banali che tuttavia possono fare la differenza» – osserva Del Bosco. «Le informazioni sulla posizione e gli orari di apertura dei negozi, le indicazioni sulla reale disponibilità della merce nei vari punti, sono fondamentali perché più un oggetto è fashion o sconfina addirittura nel luxury, più le aspettative del cliente cambiano e diventa prioritario toccare con mano, interagire con il personale di vendita». I gusti del pubblico evolvono insieme alla cultura e alle possibilità degli acquirenti. «Online hai tanti strumenti tecnologici che ti supportano – afferma Del Bosco – ma alla fine solo l’integrazione fisico-virtuale funziona davvero».

La distanza dai complementi di moda o dalla merce continuativa del supermercato ai servizi bancari e assicurativi sembrerebbe incolmabile. Eppure, molte delle considerazioni espresse dal mondo retail sul ruolo irrinunciabile dell’esperienza in negozio si ritrovano nelle parole di Giuseppe Argirò, responsabile Project Lead Innovation Sandbox all’interno della Direzione Centrale Innovazione area Chief IT, Digital & Innovation Officer di Intesa Sanpaolo. Parlando della riduzione del numero di filiali e sportelli avvenuta nel corso degli ultimi anni per tutti i maggiori gruppi bancari europei, Argirò precisa che – «la rete fisica viene considerata in Intesa Sanpaolo un asset di valore e, infatti, non c’è un problema di esuberi, ma di specializzazione e, se mai, riconversione. La controprova è che molti dei brand nati come banche solo digital, nel tempo, hanno creato una propria rete fisica». Per Argirò, si tratta di un grande processo di cambiamento in cui la banca eroga servizi innovativi di qualità, in una logica di multicanalità integrata. Tra questi, spiccano – per esempio – l’offerta verticale per le piccole e medie imprese, i servizi per la gestione dei patrimoni, il cui modello non è dissimile da quello del luxury, o ancora l’offerta ormai completa di servizi assicurativi.

 

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KNOWLEDGE WORKER MULTICANALI

Il settore bancario è divenuto ormai un’arena ultra-competitiva, anche a fronte di spinte normative liberalizzatrici come la PSD2. La cosiddetta “innovation sandbox” nell’area digitale di Intesa Sanpaolo è finalizzata alla sperimentazione Agile di tecnologie e servizi applicativi, che potranno andare a supporto di una multicanalità incentrata, da una parte, sui canali digitali e, dall’altra sui knowledge worker che presidiano fisicamente la relazione con i clienti. «Ormai, più dell’80% delle transazioni di base avviene sui canali digitali, cosicché il collega in filiale può concentrarsi su attività consulenziali e di valore differenziante per la nostra offerta, disponendo di efficienti strumenti di conoscenza e interazione col cliente». Per quanto riguarda i dati – spiega Argirò – «la Banca li gestisce con la massima tutela della privacy personale, valorizzandoli nella creazione di servizi sempre più personalizzati ed efficaci per i nostri clienti».

Ritroviamo qui il concetto di “empathy at scale” formulato da IDC e tanto apprezzato dal CIO di Miroglio? Questa la nuova opportunità di integrazione di funzionalità data-driven nella relazione che intercorre tra venditore e acquirente? Certamente esercita un fascino straordinario questa figura di addetto alle vendite capace di fungere da orchestratore di proposte e suggerimenti basati da un lato su una approfondita conoscenza dei beni e dei servizi che il retailer oggi è in grado di offrire, magari combinando i propri cataloghi con quelli dei eventuali partner; dall’altro sul puntuale tracciamento dei comportamenti della clientela dentro e fuori la sfera proprietaria della multicanalità e conseguente analisi predittiva della richiesta che tale clientela può esprimere. Ma tale fascinazione – secondo Antongiulio Donà, vice president sales Italy di Talend, leader globale della qualità e la governance dei dati – presuppone una cultura del dato che al di là di tanti esempi virtuosi, è ancora in gran parte tutta da costruire. «Se i dati, le informazioni digitali, non vengono integrati come si deve, non c’è cambiamento culturale che tenga: il nuovo ruolo dell’addetto alle vendite dipende molto da questo» – avverte Donà.

La situazione descritta da Marco Brachini, direttore marketing, brand e customer relationship in Sara Assicurazioni, è in un certo senso speculare a molti dei casi descritti finora, dove il problema sta nel portare nello spazio dei negozi le esperienze e le informazioni generate online. Vista la centralità dell’agenzia intermediaria nel mercato assicurativo – osserva Brachini – questo settore, a parte la specifica casistica del segmento RCA, l’assicurazione dell’auto, vanta pochi esempi di attività “solo online”. La relazione digitale esiste – conferma il CMO di Sara – ma in generale si ferma alla definizione di un preventivo. «Nel complesso, con l’e-commerce le compagnie generano meno dell’1% del loro fatturato. Quello che fa la differenza è la qualità della produzione commerciale in agenzia, nella capacità di far emergere un bisogno latente, neanche immaginato, e che quindi non viene neppure cercato su Internet». Fuori dai segmenti più tradizionali come il ramo vita, la percezione del rischio, che può per esempio riguardare la nostra salute o i nostri beni materiali, è scarsa al punto da generare poca curiosità e di conseguenza poca richiesta di prodotti assicurativi. La rete fisica diventa un asset fondamentale per stimolare questa curiosità.

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ECOSISTEMA DI TOUCHPOINT

Nel caso di Sara – prosegue Brachini – l’aspettativa è un’altra: occorre costruire un dialogo tra una molteplicità di touchpoint. «Puntiamo a costruire un ecosistema che renda disponibile servizio, qualità di dati e strumenti sul punto vendita fisico e una serie di touchpoint digitali che siano governati in modo da avvantaggiare il punto fisico stesso ovvero l’agenzia sul territorio». Si tratta insomma di far leva sulle esperienze digitali esterne alle agenzie, o su possibili accordi con operatori extra-settore che consentano di escogitare formule di abbinamento, di “pacchettizzazione” tra determinate tipologie di prodotto e la polizza dell’assicuratore. Una sfida che è al tempo stesso tecnologica, per la necessità di dover incrociare informazioni appartenenti a stakeholder diversi. Ma soprattutto culturale – sostiene Brachini, che sottolinea anche lo scarso ritorno di formule come le “instant insurance” che si possono ordinare online. «Con la geolocalizzazione potrei effettuare una comunicazione molto mirata, per esempio inviando ai clienti che si trovano in una stazione sciistica un messaggio promozionale per una polizza sugli infortuni. I margini di risposta dei test svolti su tali strumenti sono ancora molto bassi – rivela Brachini. «Il fattore umano, un consiglio fornito al botteghino dove si acquista lo skipass è più efficace».

Gabriele Obino, country manager Italia, Sud Europa e Medio Oriente di Denodo – l’azienda che con la sua piattaforma di virtualizzazione dei dati è in grado di accelerare e ridurre i costi dei processi analitici alla base di molte delle sperimentazioni discusse intorno alla tavola rotonda – raccoglie gli spunti forniti da Sara Assicurazioni per ribadire che in questa inarrestabile spinta di attrazione tra e-commerce e negozio, anche una piccola percentuale può essere sintomo di un importante cambiamento. «Inizialmente, si è discusso anche del problema della mancanza di coerenza che spesso caratterizza il rapporto tra sito Web e il messaggio che il retailer manda attraverso i suoi punti vendita. Io credo che per ottenere una buona integrazione, è fondamentale riuscire a portare dentro il sistema i dati che vengono raccolti».

Molti interrogativi restano aperti su come raccogliere questi dati e con quali finalità, ma nel racconto delle varie esperienze, la fantasia nello sperimentare non manca. «Il primo desiderio, anche emozionale, è conoscere meglio il nostro cliente» – conferma Francesco Cavarero di Miroglio. «Il problema è che non basta che il cerimoniale di vendita venga ripensato nell’ottica della centralità del dato. Nei negozi Miroglio, la merce è tutta etichettata RFID. La priorità è avere un controllo ottimale sulle giacenze, ma non ci siamo fermati a quello. Abbiamo dotato di antenne i camerini di prova, per vedere che cosa entra. In mente, avevamo un parallelo con il carrello dell’e-commerce, dove è importante l’informazione sugli acquisti che non vengono perfezionati. Progetto però rimasto in sospeso». La morale – secondo Cavarero – è che il cambiamento insiste sui processi: bisogna comprendere i punti critici dei processi decisionali per capire dove il dato riesce a incidere meglio.

Un buon messaggio finale di questa tavola rotonda è quello fornito da Romeo Quartiero, CEO di DS Group, system integrator e consulente specializzato in retail, pioniere dei dispositivi mobili utilizzati a supporto della vendita in negozio. «La missione di DS Group è una radicale trasformazione di questo comparto, esattamente per il motivo illustrato da Cavarero: la nostra conoscenza di ciò che avviene dentro ai negozi, non è mai sufficiente». Questo non è un problema di poco conto perché – aggiunge Quartiero – «non è vero che l’e-commerce prima o poi spazzerà via tutto». Anche dalle informazioni emerse nel corso della discussione, la curva di crescita dei canali online sembra attestarsi su un limite asintotico: il 20, forse il 25% dei volumi complessivi. Il punto vendita mantiene tutta la sua critica importanza. E nel mercato del fashion – sottolinea Quartiero – c’è un aspetto in più: forse oltre il 50% dei prodotti venduti percorrono il canale indiretto dei negozi multimarca e delle piccole catene indipendenti. Luoghi fisici che, a parte qualche lodevole eccezione, non hanno molte possibilità di far leva sull’e-commerce e sulle strategie multicanale. «Noi di DS Group cerchiamo di ovviare a questo problema, portando le tecnologie digitali più avanzate direttamente sul punto vendita. Cerchiamo di misurare l’esperienza nel punto vendita, di tracciare e riconoscere le persone, affrontando problematiche notevoli». Il principio di DS Group per rivoluzionare il fondamentale “ultimo miglio”, che spesso rimane estraneo agli investimenti in marketing dei grandi retailer, è che acquirenti e venditori devono poter giocare alla pari. «Lo smartphone ha cambiato la vita dei loro clienti? Adesso si tratta di far arrivare la stessa tecnologia nelle mani dei negozianti».


Le videointerviste ai protagonisti

Gabriele Obino, Denodo: i vantaggi della virtualizzazione dei dati per i retailer

Romeo Quartiero, DS Group: l’ultimo miglio della relazione con il cliente

Antongiulio Donà, Talend: come coniugare velocità, affidabilità, self-service e governance