IBM, Microsoft e Google i brand di maggior valore

I brand del mercato Ict hanno dato l’ennesima prova di una maggiore resistenza ai mutamenti economici e hanno dimostrato di saper gestire in modo coerente ed efficiente il loro principale asset: il brand.

Questo è quanto emerge dall’undicesima edizione della classifica “Best Global Brands”, stilata ogni anno da Interbrand, la maggiore brand consultancy a livello internazionale.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Nei primi 10 posti di questa graduatoria troviamo, infatti, 5 rappresentanti del mondo della tecnologia: si tratta di IBM, Microsoft, Google, Intel e HP, rispettivamente al secondo, terzo, quarto, settimo e decimo posto, dietro a Coca-Cola che si conferma al n. 1 con un valore del brand di oltre 70 miliardi di dollari.

«È il ritratto dei nuovi modi di lavorare, informarsi, comunicare e divertirsi che caratterizza la nostra quotidianità. Ma è anche il riflesso della capacità che questi brand hanno avuto, e hanno, di anticipare i tempi», spiega Manfredi Ricca, managing Director di Interbrand Italia.

Non stupiscono i risultati di Apple e Samsung. Il valore brand della “mela” cresce infatti del 37% fino ad arrivare a circa 21 miliardi di dollari, successo raggiunto grazie a una strategia di assoluta coerenza tra comunicazione, prodotto e canali che le ha permesso di far fronte anche gli “scivoloni tecnologici” dell’iPhone4. Samsung (n.19, oltre 19 miliardi, +11%), invece, si conferma in prima linea grazie al design, alle soluzioni digital e a una pipeline di prodotto che non sembra mai esaurirsi.

Una menzione d’onore va anche a IBM che continua a reinventarsi mantenendo un posizionamento coerente: dalla consulenza all’innovazione. Strategia che ha portato il brand a crescere del 7% fino a 64.757 miliardi di dollari.

Ma è anche curioso vedere come la sfida tra Microsoft e Google, che periodicamente batte banco su tutti i media, sia percepibile anche attraverso l’andamento del valore economico di questi brand. Google, infatti, continua la sua strepitosa ascesa posizionandosi al 4. posto, proprio a ridosso di Microsoft, registrando un valore del brand pari a 43,5 miliardi di dollari e un incremento del 36% rispetto all’anno scorso. Solo pochi anni fa Google non era neppure in classifica. D’altro canto Microsoft (60 miliardi di dollari) ha dimostrato di saper tener testa a diversi concorrente in più settori (motori di ricerca, software, telefonia…).

Leggi anche:  SAP acquisisce LeanIX

Va segnalato, infine, l’ingresso di HP nella top ten (n.10, 26 milioni, +12%), frutto di una convincente diversificazione nei servizi e nel software.

L’unica nota negativa del comparto va a Dell: il brand ha perso posizioni e valore (n. 41, -14% rispetto al 2008). Si continua a percepire una sensibile incertezza nello sviluppo di brand e sub-brand. Inoltre, il lodevole sforzo di produrre macchine compatibili al 100% con gli standard di efficienza energetica, purtroppo, non è ancora sufficiente per scalare posizioni in classifica.

«La classifica ha premiato quei marchi per i quali la brand strategy è difficilmente scindibile dalla strategia di business. Oggi chi vede il brand come una sottocategoria del marketing o, addirittura, della comunicazione, non ha alcuna speranza di successo, e forse nemmeno di sopravvivenza.

Casi come quelli di Google, Apple e Samsung mostrano chiaramente come il brand sia il filo di Arianna che unisce prodotto, comunicazione, canali, comportamenti: come, in altre parole, il brand incorpori la visione di ampio respiro di queste aziende, diventandone l’asset principale», conclude Ricca.

La metodologia

Lo studio di Interbrand si basa sulla omonima metodologia che è da oltre vent’anni lo standard indiscusso nella valutazione dei brand. È però importante notare come, con quest’anno, vi sia stata un’ulteriore evoluzione dei principi per la determinazione della Brand Strength Score, ossia profilo di rischio del brand.

Un affinamento volto a riflettere quei fattori che stanno rapidamente ridefinendo i settori: dalla proliferazione dei social media alle politiche ESG, dalla capacità di attrarre e capitalizzare il talento alla frammentazione del pubblico di riferimento.