Redmond,
Mountain View, Pescia Romana
Nel continuo
contrapporsi tra Microsoft e Google, ecco l’uscita, in versione beta,
del browser Google Chrome. Come sempre i primi dubbi sono legati all’ambito
sicurezza
di Umberto
Rapetto
La sfida per assicurarsi
il mercato evoca inevitabilmente memorabili campi di battaglia ed è corredata
da una cartografia indispensabile per scoprire dove sia dislocato il quartier
generale di questo o quel contendente.
In tempi recenti il duello per il software di navigazione online di quotidiano
utilizzo ha visto contrapporsi l’immancabile Microsoft e Google, i cui
“Capi di Stato Maggiore” siedono rispettivamente a Redmond e a Mountain
View. L’attacco al mercato, sferrato dai “padroni” delle risposte
che ogni utente si aspetta da un motore di ricerca, si chiama “Google
Chrome” ed è il rivoluzionario browser che milioni di utenti dal
2 settembre hanno cominciato a scaricare sul proprio Pc – come direbbe
Enzo Jannacci – “per vedere di nascosto l’effetto che fa”.
La versione beta e il primo
assaggio di release definitiva, more solito, hanno diviso il pubblico nei consueti
partiti degli entusiasti e degli scettici, mentre gli esperti non si sono ancora
sbilanciati in diagnosi chirurgiche e hanno preferito limitarsi a qualche commento
“ambulatoriale”. Le uniche cose che si sono lette o si ha avuto
la fortuna di sentir dire riguardano – manco a farlo apposta – qualche
dubbio in ordine alla sicurezza. Anche stavolta un gran sciupio di opzioni e
gadgets destinati a rimanere per la quasi totalità inutilizzati e –
staremo comunque a vedere – poche attenzioni per la protezione di chi,
bighellonando in Rete senza troppe cautele comportamentali, è sempre
nel mirino degli infaticabili e geniali furbetti in costante agguato.
La ridondanza di funzioni
e caratteristiche di un prodotto software costituisce uno dei principali appeal
per una clientela che, naso contro la vetrina, è abituata a guardar prezzi
e prestazioni senza lasciarsi solleticare dalla voglia di saperne qualcosa di
più, dal desiderio di scoprire davvero cosa c’è dentro.
Succede la stessa cosa quando
ci si mette a tavola, specie quando si decide di andar fuori e assaggiare nuove
pietanze. Gli occhi sgranati davanti al menu, si scorre l’interminabile
elenco di piatti sovente “battezzati” da estrosi maestri della raffinatezza
verbale e non sempre corrispondente all’idea che si innesca nella fantasia
del commensale. La scelta al computer o al desco è similare: affidarsi
alle elegiache espressioni stampate per il consumatore oppure vincere la ritrosia
e chiedere qualche fatidica confidenza? Fidarsi di quel che dice il depliant
aziendale o domandare al cuoco? Scelgo, quasi fossi Guzzanti, “la seconda
che hai detto”.
Continua
la lettura integrale nella sezione Security di DMO a cura del Colonnello Umberto
Rapetto