Inaz, guardare oltre la crisi

Economia sociale di mercato e umanesimo d’impresa: per uscire dalla crisi bisogna abbandonare idee vecchie e pericolose

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Economisti senza appello? L’interrogativo è rimbalzato sul tavolo dell’incontro organizzato da Inaz (www.inaz.it), dal titolo “Economia sociale di mercato e umanesimo d’impresa” che ha visto protagonisti Marco Vitale, economista d’impresa, Vera Negri Zamagni, che insegna storia economica e integrazione economica europea all’Università di Bologna e Alberto Quadrio Curzio, accademico dei Lincei e professore emerito di Economia politica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La sentenza della crisi che non passa, lascia alla sbarra la maggioranza degli economisti, non solo responsabili di non aver previsto la crisi, ma – cosa ancora più grave – di continuare a negarla, dimostrando di non avere imparato la lezione.

L’incontro promosso da Inaz ha segnato l’inizio di una nuova riflessione sul mondo imprenditoriale, non più rivolta solo all’interno dell’universo aziendale, ma proiettata verso l’esterno, dove l’azione degli imprenditori diventa azione “politica” e “sociale”, nel senso di una visione multifattoriale della società e della storia. «Da sempre Inaz crede in un’azienda responsabile e fatta da persone responsabili nei loro diversi ruoli: un’azienda che ha obiettivi di business, senza dimenticare il suo impegno verso la società» ha spiegato Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro e presidente e amministratore delegato di Inaz.

NUOVE IDEE E NUOVE PRATICHE?

Per Marco Vitale «il 90% degli economisti sono colpevoli di non aver compreso con sufficiente rapidità le conseguenze del tracollo del credito sull’economia reale». La lezione che dobbiamo affrontare è di natura culturale. Per Vera Negri Zamagni, la giustizia sociale, la legalità e la responsabilità esercitata dai cittadini sono la chiave di volta di un sistema economico di tipo sociale. «La cittadinanza sociale deve precedere quella economica. Bisogna uscire dalla contrapposizione tra Stato e Mercato, per recuperare il ruolo attivo della società nel processo democratico di decisione. Bisogna uscire dalla visione risarcitoria di un “welfare state” in grado di intervenire solo dopo e anche male, per porre rimedi a situazioni che si sarebbero potute evitare, con un maggior controllo sul rispetto delle regole». Forse, per questo in Italia non esiste una parola per tradurre in modo efficace “accountability”?

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Per Marco Vitale, uscire dalla crisi significa abbandonare idee vecchie e pericolose come l’ossessione per il valore dei dividenti degli azionisti. «È caduta l’economia di carta, che non era frutto del lavoro, della produttività, della creatività e dell’impegno dell’uomo. L’economia di carta ha avuto molti sacerdoti e ha avuto anche i suoi premi Nobel. Ci hanno detto che il darwinismo sociale era il motore dello sviluppo e che la solidarietà sociale era un freno. Ci hanno raccontato che la divaricazione tra ricchi, sempre più ricchi, e poveri, sempre più poveri, sarebbe stato uno stimolo all’economia (trickle-down economics). Ci hanno fatto credere che la privatizzazione di tutti i beni e servizi, anche quelli essenziali, era l’unico modo per difenderci dall’inefficienza dello Stato sprecone». Dopo la nazionalizzazione di gruppi bancari privatissimi, possiamo ancora credere che sia così?  Per Alberto Quadrio Curzio «i valori della sussidiarietà e la solidarietà per lo sviluppo devono essere al centro dell’agenda italiana ed europea. I capitani di industria e i manager devono essere consapevoli di essere attori del cambiamento, perché l’umanesimo imprenditoriale non sia un ossimoro, ma un modo di concepire l’attività di impresa nella storia».