COLLABORATION & ENTERPRISE 2.0


La sfida dell’impresa 2.0 consiste nello sviluppare – grazie al software collaborativo e alle reti – intorno alle proprie sedi centrali e locali, e persino all’interno di campus aziendali molto complessi, luoghi virtuali e occasioni di scambio, collaborazione a progetti, relazione con clienti e fornitori

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Una delle ricadute più interessanti della spinta verso la virtualizzazione, con la netta separazione tra livello fisico delle risorse di calcolo e funzionalità e servizi resi da esse possibili, è un ulteriore passo avanti nella direzione di un’impresa più flessibile e distribuita, di una organizzazione del lavoro liberata dai tradizionali vincoli di tempo e spazio. Gli uffici, le stanze adibite al lavoro, anche quando questo è basato sulla conoscenza e non sulla produzione di beni fisici, rappresentavano una scelta obbligata quando all’interno di quelle stanze risiedevano anche i computer e i server, gli strumenti di lavoro. Con la virtualizzazione questo abbinamento forzato viene a cadere, il posto di lavoro si crea dinamicamente ogni volta che un punto di accesso a un’infrastruttura pubblica o privata di rete mi permette di utilizzare un qualsiasi dispositivo, dal notebook al telefonino, come porta di accesso a un deposito di informazioni centralizzate. Questo non vuole assolutamente dire che gli uffici smettono di esistere. Piuttosto, la sfida dell’impresa 2.0 consiste nello sviluppare – grazie al software collaborativo e alle reti – intorno alle proprie sedi centrali e locali, e persino all’interno di campus aziendali molto complessi, luoghi virtuali e occasioni di scambio, collaborazione a progetti, relazione con clienti e fornitori. È un mondo di applicazioni, di strumenti di visualizzazione e remotizzazione, che consente di organizzare meeting virtuali, o di estendere applicazioni come la videoconferenza inglobando attività di tipo partecipativo, come la visione o l’editing di documenti in un team di lavoro che non richiede di sedersi fisicamente allo stesso tavolo.

 

Quali sono i principali vantaggi, in termini di riduzione dei costi, di razionalizzazione, di efficienza delle moderne piattaforme collaborative? Cogliere tali vantaggi comporta investimenti onerosi, una radicale trasformazione infrastrutturale?

Esordisce sul tema Laura Passa, manager of social business & collaboration solution di IBM Italia (www.ibm.com/it), con una panoramica molto efficace dei benefici e dei costi della collaborazione. «Vi sono diversi tipi di vantaggi – afferma Passa -. Innanzitutto grazie alle nuove modalità di collaborazione online, al VoIP e alla possibilità di organizzare meeting virtuali vengono ridotti drasticamente i costi legati a viaggi e trasferte ottimizzando, contemporaneamente, anche i costi delle telecomunicazioni tradizionali. Inoltre viene incrementata produttività ed efficienza». Ma, aggiunge l’esperta, come per tutti i nuovi progetti infrastrutturali, anche quelli legati all’Enterprise 2.0 e alla social collaboration richiedono investimenti. Al contrario di quanto accade in ambiti applicativi più complessi, tuttavia, «non solo sono di modesta entità, ma nel caso delle soluzioni IBM per il social buinsess possono essere gestiti in modo progressivo e graduale con la possibilità di eventuali successivi ampliamenti».

Sulla gradualità concorda Stefano Nocentini, responsabile marketing top clients di Telecom Italia (www.telecom.it), ricordando che, se fino a ieri «realizzare una soluzione di collaboration richiedeva molto tempo e importanti investimenti, oggi il Cloud computing rappresenta un cambiamento di paradigma fondamentale: le risorse IT sono condivise, variano in modo dinamico e sono sempre disponibili. L’adozione di servizi Cloud – conclude Nocentini – inoltre non vanifica eventuali investimenti già fatti dal cliente: nel caso del servizio di videoconferenza as-a-Service “InTouchHD” di Telecom Italia, per esempio, il cliente può usufruire dei servizi di collaboration continuando a utilizzare strumenti o terminali già acquistati».

L’opinione di un importante integratore e sviluppatore italiano come Exprivia (www.exprivia.it) arriva da Fabrizio Fasani, direttore produzione IT governance del gruppo pugliese. «Anni fa – ricorda Fasani – Negroponte evidenziò come fosse più economico muovere bit e non atomi. Oggi le infrastrutture IT realizzate in ottica Cloud computing, caratterizzate dall’allocazione dinamica delle risorse, abilitano la realizzazione veloce ed economica di piattaforme collaborative che consentono alle persone di lavorare in mobilità, indipendentemente dalla sede di lavoro, con le stesse funzionalità che avrebbero incontrato fisicamente i colleghi, e quindi con un forte aumento della produttività, una riduzione dei costi e un Tco nettamente inferiore». 

Intervenendo nella discussione, Paola Annis, senior solution consultant di Aspect (http://ita.aspect.com/), sottolinea che la gradualità è addirittura consigliabile, a patto di adottare un approccio il più possibile contestualizzato. «Gli investimenti devono essere valutati e rapportati al tipo di politica aziendale scelta, e non è necessario che siano affrontati tutti in una fase singola, anzi per diversi motivi tecnici e di impatto sui dipendenti (nonché sui clienti finali), è quasi sempre consigliato un approccio graduale».

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A tale proposito Mauro Pirovano, responsabile business software di Mauden (www.mauden.com), si sofferma sulla definizione di piattaforma collaborativa, rendendola autonoma rispetto al tema della virtualizzazione. «Le piattaforme collaborative sono ben altro rispetto alla virtualizzazione desktop/applicativa. Molte aziende preferiscono avvicinarsi alla collaborazione adottando soluzioni come la videoconferenza, ma è diverso l’approccio della virtualizzazione che spinge la collaborazione verso lo standard aziendale». In questo caso la virtualizzazione punta a estendere i benefici della collaboration a tutti gli aspetti aziendali, con investimenti più pesanti e invasivi, che possono portare a cambiamenti organizzativi profondi, ma anche a ritorni ancora più consistenti.

Interessante il parere di Alessio Lo Turco, manager system consulting di Quest Software Italia (www.questsoftware.it), secondo il quale in cambio di una positiva ricaduta in termini di costi ed efficientamento, «l’IT aziendale può amministrare e controllare l’infrastruttura praticamente da qualsiasi luogo, gestendo centralmente la sicurezza così come backup e upgrade di release delle applicazioni, attraverso strumenti che facilitano il passaggio da fisico a virtuale, da on premise a on Cloud». In questo modo, tra l’altro, si arriva a minimizzare l’impatto infrastrutturale a fronte di investimenti contenuti.

Sul piano pratico Filippo Ferrari, partner e direttore tecnico di YouCo – a S.E.S.A. Group Company – (www.youco.eu), elenca invece i tre elementi chiave di ogni buona soluzione collaborativa: connettività ad alta capacità, virtualizzazione e modello di lavoro “officeless”. «All’interno – ricorda Ferrari – si possono conservare solo i servizi ritenuti strategici per il core business. Tutto il resto (posta, strumenti per l’elaborazione in ufficio ecc.) può essere acquistato come servizio a consumo».

 Fabio Chiodini, Collaboration & Business Intelligence director di Avanade Italy (www.avanade.com/it), interviene sulla scorta delle esperienze che Avanade ha accumulato nell’arco di un decennio di offerta globale di soluzioni collaborative di eccellenza. Analizzandole, Chiodini giunge a concludere che la collaboration «non è circoscritta a un progetto, bensì costituisce un percorso, anche lungo nel tempo, che evolve con l’evoluzione delle modalità di lavoro, la comunicazione e la complessità dell’organizzazione dell’azienda». Spesso, aggiunge Chiodini, la diffidenza che ancora oggi molte organizzazioni tendono a nutrire nei confronti di tecnologie che pure sono state adottate da tempo, «sono frutto delle esperienze passate: quasi tutte le aziende si sono dotate da tempo di portali di contenuti, condivisione documentale, workspace dipartimentali o di progetto, strumenti di Unified Communication. L’adozione in generale è stata spesso disorganica senza una precisa visione e roadmap, senza un modello di governance. Come conseguenza, alcuni investimenti nel corso del tempo hanno perso efficacia e non hanno fornito i benefici attesi o, in alcuni casi, hanno introdotto complessità di gestione».

Proprio per compensare questa mancanza di governance, sottolinea Massimo Peselli, country leader Italy di Verizon (verizonbusiness.com/it), l’operatore invita a prendere in considerazione la sua offerta di funzionalità innovative che migliorano l’efficienza delle soluzioni di Unified Communication in ambito business. «In particolare i servizi UC&C Cloud-based consentono alle aziende una facile adozione, sono accessibili sia da rete fissa che mobile e permettono di costruire un modello di costi pianificabili, certi e soprattutto in funzione di servizi effettivamente utilizzati. Collaborando con un vendor di fiducia le aziende possono individuare e sviluppare la strategia di comunicazione unificata e mobility più adatta alle loro specifiche esigenze, evitando un approccio “one size fits all”».

 

 

I vantaggi si devono considerare più dal punto di vista della gestione della complessità nelle grandi organizzazioni o possono piuttosto diventare, proprio grazie alla virtualizzazione delle infrastrutture e alla mobilità, un fattore abilitante in seno alle piccole aziende?

Sull’eterna questione della linea di demarcazione tra “piccoli e grandi” nel tema della collaborazione, Fasani, di Exprivia, ricorda che tutte le tecnologie innovative «se ben usate, facilitano la realizzazione delle idee. Lavorare in modo collaborativo aiuta le imprese, grandi e piccole, a essere più efficienti e a perseguire nuovi business. Le grandi aziende possono usare questi strumenti per estrarre nuovo valore aggiunto dalla correlazione evoluta della mole di competenze presenti, ma fisicamente parcellizzate, le piccole per mantenere una connessione costante tra le poche risorse disponibili». Mentre Nocentini, di Telecom Italia, sottolinea che nel passaggio ormai generalizzato ai modelli hosted, non ci sono più troppe distinzioni tra aziende di grandi e piccole dimensioni. «Per le grandi aziende i benefici sono sensibili in termini di affidabilità, di gestione della complessità, oltre che in termini economici. Al contempo il paradigma interessa anche le Pmi, in quanto permette loro di superare le barriere di ingresso economiche e tecnologiche di una soluzione dedicata». E Laura Passa, di IBM, pensa a soluzioni Cloud come LotusLive quale esempio perfetto di ambienti che nelle grandi imprese «diventano il fulcro di una nuova flessibilità operativa, ma per le più piccole possono certamente diventare il fattore abilitante a sostegno di una maggiore competitività indipendente dalle dimensioni aziendali». Analogo il parere di Lo Turco, di Quest Software. «Temi quali la riduzione della complessità dell’infrastruttura, l’aumento della sicurezza, l’aumento della produttività, la riduzione dei costi e dei tempi di start up, sono di grande interesse sia per le grandi organizzazioni che per le piccole aziende».

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Per Pirovano, di Mauden, spesso le differenze sono puramente quantitative. «La stessa architettura adottata da banche e assicurazioni per gestire decine di migliaia di utenti, viene utilizzata anche da piccole società con meno di cinquanta posti di lavoro». Spesso, afferma, si creano isole di collaborazione all’interno di organizzazioni estese, privilegiando gli obiettivi di business. Anche Paola Annis, di Aspect, concorda: per i piccoli la collaborazione può essere una strada addirittura più facile, anche se c’è il rischio di spendere troppo senza ottenere tutti i benefici previsti. «In questi casi il consiglio è sempre quello di analizzare e valutare la suddivisione per fasi, che è più onerosa in termini di tempi e costi, rispetto alla trasformazione infrastrutturale “one-shot” che, a parità di benefici, risulta più economica e veloce».

E Ferrari, di YouCo, conferma, osservando che paradossalmente per la piccola azienda i vantaggi sono ancora più elevati, proprio grazie all’indipendenza acquisita rispetto ai costi di infrastruttura e alla possibilità di «accedere ai servizi più innovativi senza dover ogni volta colmare il gap tecnologico che li abilita».

Quali sono i principali ostacoli a una maggiore diffusione di questi strumenti: difficoltà di integrazione negli ambienti legacy, scarsa sensibilità da parte di manager e responsabili tecnologici, inerzia legata a procedure lavorative ormai consolidate?

Esordendo per primo sul capitolo dei fattori che possono frenare l’adozione di certe soluzioni, Fasani (Exprivia) afferma che il maggiore ostacolo è proprio l’inerzia, la resistenza al nuovo. «Disaccoppiare risorse umane e luoghi di lavoro richiede una visione nuova dei processi aziendali e una diversa cultura aziendale. Fattore vincente sarà allora la capacità di riprogettare l’organizzazione attorno al valore della condivisione delle idee. Se questo valore viene colto, tutti i potenziali ostacoli implementativi saranno rimossi in pochissimo tempo».

Malgrado tutto, però, secondo Nocentini (Telecom Italia) molti di questi ostacoli stanno venendo meno. «La velocità di diffusione degli strumenti di collaboration è influenzata più dal contesto culturale nell’adozione del nuovo paradigma “as-a-Service” che da aspetti tecnologici. L’integrazione con i sistemi legacy dei clienti è, infatti, facilitata sia dall’elevata standardizzazione delle soluzioni UC&C, sia dalla possibilità di definire soluzioni ibride che si adattano alle esigenze dei clienti. Il cambio di cultura delle aziende e dei manager sta comunque avvenendo rapidamente, in quanto l’utilizzo dei servizi IT in modalità Cloud computing comporta rilevanti benefici per il business delle organizzazioni stesse».

Paola Annis (Aspect) mette in risalto soprattutto gli aspetti culturali. «L’esperienza in questo tipo di progetti – afferma – mi porta a essere sempre cauta nei confronti dei processi aziendali, in special modo quando si tratta di coinvolgere più di un reparto e non necessariamente “IT ready”. Pensiamo infatti a reparti come finance o risorse umane e come qualsiasi modifica al modo di lavorare e comunicare tra i dipendenti deve necessariamente coinvolgere questi reparti, sia come utenti dei nuovi strumenti di comunicazione, sia a tutela degli altri dipendenti nel rispetto dei contratti di lavoro in essere. La maggiore difficoltà di adozione sta più nel cambio di mentalità e di abitudini lavorative che nel cambio di tecnologia, a cui siamo, nel bene o nel male, già abituati da diversi anni».

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Filippo Ferrari (YouCo) preferisce invece non trascurare anche certi risvolti tecnici. «Le difficoltà sono sostanzialmente due – avverte -. Da un lato una scarsa conoscenza del modello. L’implementazione del modello virtuale, con le sue estensioni Cloud e di collaborazione, richiede una conoscenza approfondita delle tecnologie e la consapevolezza che tutti gli aspetti dell’ICT sono e debbono essere coinvolti. Occorre quindi affidarsi ad aziende specializzate sul tema. Il fai da te riserva sempre brutte sorprese». In seconda battuta Ferrari insiste sulle difficoltà nell’adeguare l’organizzazione al “nuovo” modello “Cloud” che comporti l’esternalizzazione del “dato” aziendale. «Un approccio virtuale esige una revisione della distribuzione delle responsabilità e cooperazione fra le aree tecniche. Si passa da un modello quantitativo a un modello a obiettivi. Questo, soprattutto nelle piccole aziende, rappresenta ancora un punto non superato».

Anche Laura Passa (IBM) interviene sull’aspetto generale dell’integrazione all’interno di un sistema complesso. «La percezione di IBM è di una grande attenzione da parte del mercato e di una decisa volontà di comprensione e investimento in quest’area. Sicuramente il tema dell’integrazione con il resto dei sistemi IT è un punto chiave: non a caso le nostre soluzioni puntano a semplificare e rendere automatica questa integrazione ai vari livelli applicativi rispettando i criteri di sicurezza richiesti. Anche la sensibilità da parte dei manager è cresciuta e una volta compresi i reali benefici di queste soluzioni spesso sono motivati a sostenere progetti e a guidare gli eventuali cambiamenti organizzativi. E questo accade non soltanto nel settore privato».

Mauro Pirovano (Mauden) invita espressamente a non sottovalutare mai le difficoltà a cui non possono certo sfuggire certe trasformazioni. «Sono tutti ostacoli reali; il problema principale è la traduzione operativa di quanto deciso a livello strategico e architetturale. Inoltre, nello sviluppo di un progetto di virtualizzazione, spesso si sottovalutano le richieste hardware, soprattutto per quanto riguarda lo storage: ciò si rivela un ostacolo enorme in quanto un’allocazione di budget insufficiente rallenta l’adozione». Alessio Lo Turco (Quest Software) richiama inoltre a un’attenzione ad ampio spettro, che non sia focalizzata sui meri risvolti tecnologici, ma che abbracci anche normative e conseguenze legali. «Le principali barriere al passaggio verso ambienti virtualizzati, distribuiti e on Cloud sono principalmente di tre ordini: aspetti legali, aspetti legati alla sicurezza dei dati e perplessità nei confronti delle performance e della disponibilità del servizio. L’approccio tipico è quello di investire sulle tecnologie di virtualizzazione e di Cloud iniziando a virtualizzare applicazioni meno critiche proseguendo poi con applicazioni di maggior importanza».

Un approccio “bottom up” la cui validità trova conferma anche nel racconto di Fabio Chiodini (Avanade). La giustificazione di un percorso così graduale, almeno all’interno di ambienti di una certa complessità sono, secondo Chiodini, da ricercare «nella non maturità della tecnologia e nella mancanza di esperienza organizzative di come sfruttare le tecnologie stesse. La nostra offerta – ribadisce il responsabile di Avanade Italy – è cresciuta nel corso del tempo, guidata da una parte dalla crescita della stessa piattaforma Microsoft SharePoint, dall’altra dall’evoluzione del grado di maturità e visibilità del vero valore di queste soluzioni».

Ancora una volta le parole chiave sono pianificazione e coinvolgimento. Come osserva Massimo Peselli (Verizon), concludendo la nostra tavola rotonda, tutti gli ostacoli vengono meno quando si riesce a realizzare una roadmap chiara e sostenibile fin dall’inizio del viaggio verso la Unified Communication. «È inoltre indispensabile – aggiunge Peselli – che tutte le divisioni aziendali siano subito coinvolte per considerare le diverse esigenze. Solo un’accurata pianificazione garantisce al Cio la lungimiranza necessaria per garantire la flessibilità di un investimento che possa far fronte a esigenze future e stimolare al tempo stesso l’innovazione attraverso una piattaforma di comunicazione efficace e flessibile».