Imitation brain, da Turing alle reti neurali profonde

Imitation brain, da Turing alle reti neurali profonde

Apprendimento automatico e cervello umano. Progredisce la conoscenza dei neuroni biologici che ispirano nuovi modelli di deep learning. Eppure, continua a mancarci la chiave. Sarà una macchina a trovare il segreto della nostra intelligenza?

Alla domanda che cosa è l’intelligenza artificiale, Alexa, l’assistente virtuale di Amazon, risponde che è la capacità di un programma per computer o di una macchina di pensare o apprendere. Ma Alexa si dimentica di dire una cosa. Che lei stessa è una forma di intelligenza artificiale. “Can machines think?” Se lo chiedeva già nel 1950, Alan Turing nel suo articolo “Computing Machinery and Intelligence”. E come rispondeva il padre dell’intelligenza artificiale? Turing non rispose mai del tutto a questa domanda, o meglio, non lo fece a parole ma formulando un test, l’imitation game meglio conosciuto come test di Turing.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Qual era lo scopo? Quello di valutare la capacità della macchina di mostrare un comportamento definito intelligente. ll test di Turing è stato via via riformulato durante gli anni. Maria Teresa Stecher di CyberLaws si chiede perché nel 1950 Turing affrontava questi temi? E come era nato in lui questo interesse? «L’ambizione umana di “forge the gods” ha diversi precedenti storici, che vanno dagli automi costruiti nell’antico Egitto (la statua che eleggeva i faraoni) all’anatra digeritrice progettata da Jacques de Vaucanson nel 1739. Nondimeno, è solo dal 1940 che si sviluppa concretamente la disciplina scientifica dell’intelligenza artificiale. In quegli anni, grazie a una particolare convergenza storica e scientifica, si è assistito a importanti passi avanti. La neurologia scoprì che la struttura interna del cervello è composta da una rete di neuroni che trasmettono impulsi elettrochimici. Norbert Wiener sviluppò le teorie cibernetiche di controllo e stabilità di reti elettriche. Alan Turing elaborò la teoria del calcolo. Claude Shannon la teoria dell’informazione». Nacque, così, un dubbio tra questi scienziati: si può costruire un cervello elettronico? Prima non era possibile ma ora, proprio grazie all’uso del Deep Learning, sembrerebbe di sì.

Leggi anche:  Top100, la forza del cambiamento

RETE NEURALE PROFONDA

Oggi, i più potenti sistemi di intelligenza artificiale, infatti, utilizzano un tipo di apprendimento automatico chiamato deep learning. Gli algoritmi si migliorano elaborando enormi quantità di dati attraverso strati nascosti di nodi interconnessi, denominati reti neurali profonde. Come suggerisce il nome, le reti neurali profonde sono state ispirate dalle vere reti neurali nel cervello, con i nodi modellati su neuroni reali. Dal 1950 ai nostri giorni, la comprensione della complessità computazionale dei singoli neuroni si è notevolmente ampliata, quindi è noto che i neuroni biologici sono più complessi di quelli artificiali. Ma di quanto? David Beniaguev, Idan Segev e Michael London dell’Università Ebraica di Gerusalemme hanno addestrato una rete neurale profonda artificiale per imitare i calcoli di un neurone biologico simulato. E hanno dimostrato che una rete neurale profonda richiede da cinque a otto strati di “neuroni” interconnessi per rappresentare la complessità di un singolo neurone biologico. L’analogia più elementare tra neuroni artificiali e reali riguarda il modo in cui si gestiscono le informazioni in arrivo. Entrambi i tipi di neuroni ricevono segnali in ingresso e, in base a tali informazioni, decidono se inviare il proprio segnale ad altri neuroni. Sebbene i neuroni artificiali si basino su un semplice calcolo per prendere questa decisione, anni e anni di ricerche hanno dimostrato che il processo è molto più complicato nei neuroni biologici. I neuroscienziati computazionali usano una funzione input-output per modellare la relazione tra gli input ricevuti dai lunghi rami ad albero di un neurone biologico, chiamati dendriti, e la decisione del neurone di inviare un segnale. Questa è la funzione che David Beniaguev, Idan Segev e Michael London hanno insegnato a imitare a una rete neurale profonda artificiale per determinarne la complessità.

Leggi anche:  Indra è l'azienda tecnologica più sostenibile al mondo secondo il Dow Jones Sustainability Index

COME HANNO FATTO?

Hanno inizialmente creato una simulazione massiccia della funzione input-output di un neurone con alberi distinti di rami dendritici nella parte superiore e inferiore, noto come neurone piramidale, dalla corteccia di un topo. Successivamente, hanno inserito la simulazione in una rete neurale profonda che aveva fino a 256 neuroni artificiali in ogni strato. E hanno continuato ad aumentare il numero di strati fino a raggiungere una precisione del 99% a livello di millisecondi tra l’input e l’output del neurone simulato. Infine, la rete neurale profonda ha predetto con successo il comportamento della funzione input-output del neurone con almeno cinque, ma non più di otto, strati artificiali.

La scoperta in tema di intelligenza artificiale è davvero molto rilevante ma gli scienziati hanno voluto condividere il loro codice per incoraggiare altri ricercatori a trovare una soluzione comunque “intelligente” ma con meno livelli. Ad Alan Turing, negli anni 50, interessava esclusivamente la capacità di calcolo, ovvero non cercava di simulare completamente il cervello umano. Grazie a questo studio invece, viene stravolto il paradigma e i neuroscienziati potrebbero dare una priorità maggiore allo studio dei singoli neuroni.

Secondo Konrad Kording, neuroscienziato computazionale dell’Università della Pennsylvania, questo documento renderebbe il pensiero sui dendriti e sui singoli neuroni molto più importante di quanto non fosse prima. Alti studiosi, come Timothy Lillicrap (Google DeepMind) e Anthony Zador (Cold Spring Harbor Laboratory), suggeriscono invece che, concentrarsi sui neuroni all’interno di un circuito, potrebbe essere altrettanto importante per capire in che modo il cervello utilizza effettivamente la complessità computazionale dei singoli neuroni. La verità è che continuiamo a conoscere, in maniera sempre più dettagliata, come funziona ogni singola cellula del cervello, eppure continua a mancarci la chiave. Sarà una macchina a trovare il segreto della nostra intelligenza?

Leggi anche:  Microsoft invita gli Usa a regolamentare l’IA