Sport e innovazione. Opportunità o problema?

La sport industry come modello di evoluzione delle media company

La crisi economica causata dal Covid ha messo in ginocchio tutto lo sport. In particolare quello che generava fatturato e occupazione. Ma in alcuni paesi dove dal calcio derivava la maggior parte di introiti e guadagni –  e l’Italia è uno di questi –  gli effetti sono stati disastrosi. Lo scorso luglio i presidenti della Lega di A hanno denunciato perdite per 1,2 miliardi di euro. Una voragine che rischia di inghiottire un settore che da solo nella stagione 2018-2019, con un giro di affari di circa 3,1 miliardi di euro, copriva oltre il 70% del fatturato totale dello sport in Italia.

La crisi attanagliava il settore anche prima dell’emergenza sanitaria. Il Covid ha però più in profondità una ferita già purulenta. Ma questa debolezza sistemica ha reso particolarmente difficile la ripartenza. «Lo sport – scrive Fabio Lalli in un passaggio del suo libro Sport Digital Transformation, scritto per Maggioli – è uno di quei settori fragili che non ha trovato subito la strada per riconvertire le risorse». Da qui l’urgenza e la necessità per l’economia sport «di evolvere in qualcosa che ridisegni le dinamiche di valorizzazione di tutti quegli elementi che costituiscono l’impalcatura della vitalità di un’azienda sportiva». Quel qualcosa per Lalli è la capacità di produrre contenuti originali e di veicolarli alla propria fanbase sia attraverso i canali ufficiali del club che di terzi. «Le aziende sportive (…) – scrive l’autore –  stanno evolvendo in qualcosa di sostanzialmente diverso e affascinante. Alcune sono diventate vere e proprie media company. Altre lo diventeranno obbligatoriamente». Ma questo è solo una delle opportunità. La molla è la trasformazione digitale. «Un processo – preconizza Lalli – che permetterà alle aziende del settore di focalizzarsi su alcuni temi che cambieranno radicalmente il loro approccio allo sport business». Trasformazione che per la verità salvo qualche rara ma lodevole eccezione –  Roma e Inter sempre per rimanere nel calcio, sono state le prime a dare corpo a questa intuizione – ha solo lambito questo mondo. Il Covid ha colto quasi tutti impreparati. Ma – sostiene Lalli – ha fatto più male a chi neppure aveva iniziato ad approcciare questo processo di digitalizzazione. Che invece avrebbe agito da scudo – anche se parziale – contro la mancanza di introiti determinata dalla pandemia.

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Perciò alla prima direttrice di marcia, limitare i danni riducendo i costi, al più presto le società sportive dovranno affiancarne una seconda. Tornando a investire in innovazione. Ad esempio in piattaforme tecnologiche – che gestite da qualche profilo dedicato che sappia sfruttare al meglio il crescente flusso di dati generati dai nuovi ecosistemi tecnologici – siano in grado di strutturare strategie di marketing digitale e governare questa transizione. Al centro della quale le esigenze del tifoso, digitalizzato, social, occuperanno un posto di primo piano.  L’innesco – auspica Lalli – determinerà il ritorno delle aziende a investire nello sport e permetterà alle società sportive di monetizzare i benefici derivanti dalla trasformazione digitale delle loro attività. Stringendo alleanze in cui le risorse digitali che le società sportive saranno in grado di mettere sul piatto e condividere rappresenteranno la parte più preziosa dei futuri accordi di sfruttamento del marchio e sponsorizzazione. Opportunità, già oggi percorribili, da chi si è strutturato per farlo. E che Lalli illustra efficacemente con esempi tratti soprattutto dall’esperienza delle società sportive nordamericane. Apripista di iniziative digitali che cambieranno radicalmente il modo in cui viviamo lo sport.

Oggi più di ieri guidare una società sportiva, così come un’azienda, è un mestiere difficile. La globalizzazione ha moltiplicato i mercati e i competitors, pur con effetti meno dirompenti nello sport rispetto ad altri settori industriali. Fare profitti e conquistare quote di mercato non basta; occorre farlo in maniera sostenibile, prestando attenzione all’ambiente e al tessuto sociale in cui opera l’azienda. Cambiamenti che non possiamo prevedere in che misura le società sportive saranno in grado di governare e che in assenza di risposte all’altezza rischiano di scomparire. Certamente le opportunità per il settore «possono essere abbracciate e condivise – sintetizza Lalli – grazie a un approccio più etico, disciplinato e al tempo stesso dirompente rispetto ai sistemi ai quali eravamo abituati fino alla comparsa dell’emergenza sanitaria ed economica globale». Valori etici oggi centrali per la reputazione dell’azienda e in ultima analisi per la sua stessa capacità di rimanere sul mercato.

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