La data privacy è una questione di cultura, non una sfida

La data privacy è una questione di cultura, non una sfida

A cura di Daniel Fried, GM & SVP EMEA and Worldwide Channel di Veeam Software

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Le tecnologie digitali sono utilizzate in tutti i paesi del mondo, senza esclusione. Sebbene sia estremamente complesso da quantificare, secondo diverse stime delle Nazioni Unite, il valore dell’economia digitale conta circa il 4-15% del PIL mondiale. Tecnologie come la connettività e il cloud sono generalmente utilizzate per promuovere la globalizzazione e per collegare le persone e le aziende in diverse parti del mondo. Tuttavia, negli ultimi anni abbiamo visto emergere differenze culturali.

In particolare in EMEA, c’è stata una forte opposizione – capeggiata dalla Corte di Giustizia Europea – all’idea che i dati dovrebbero essere autorizzati a fluire liberamente da un luogo all’altro. La privacy è un diritto umano in questa parte del mondo, che è in contrasto con il concetto di dati a flusso libero e la cosiddetta “sharing economy”. Il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) approvato nel maggio 2018 è stato il primo esempio di un quadro normativo veramente rigido e sanzionatorio basato su principi condivisi di privacy dei dati. A distanza di oltre tre anni, il GDPR continua la sua strada e le aziende che non si sono conformate hanno affrontato pesanti sanzioni finanziarie.

Troppo spesso regolamenti come il GDPR e la recente invalidazione da parte della Corte di giustizia dell’UE del Privacy Shield nel 2020, sono considerati delle barriere. Questo forse perché i dati sono la valuta dell’economia digitale e le restrizioni sul loro uso sono viste come attacchi alle libertà capitalistiche e all’innovazione.

Così come le banche devono prendersi cura del denaro dei loro clienti, le aziende che usano i dati per raccogliere informazioni preziose e monetizzabili hanno il dovere di proteggere tali dati. Si tratta di un contratto sociale, che regolamenti come il GDPR rendono esecutivi per legge. Per avere veramente successo in EMEA, i fornitori di tecnologia e di cloud devono capire che privacy e fiducia sono una colonna portante della società europea. Sia i fornitori globali che quelli regionali devono essere consapevoli della complessità della privacy e della sovranità europea, al fine di soddisfare adeguatamente le aspettative dei clienti.

Leggi anche:  La video analisi al servizio dell’healthcare

Ad esempio, il progetto Gaia-X avviato dai rappresentanti del mondo economico, scientifico e politico mira a creare una proposta per un’infrastruttura dati europea di prossima generazione. La visione è quella di creare un ecosistema digitale dove i dati e i servizi possano essere resi disponibili, raccolti e condivisi in un ambiente fidato per l’Europa e oltre. Le implicazioni per i fornitori di cloud che fanno business nella regione EMEA potrebbero essere dannose se si percepisse che i loro metodi di raccolta, condivisione e protezione dei dati non fossero in linea con i valori di privacy europei. Questo è solo un altro esempio della mia convinzione che tecnologia e business riguardano le persone. Gli atteggiamenti culturali nei confronti della privacy sono una sfida che le aziende tecnologiche devono affrontare tenendo a mente le esperienze sociali, politiche ed economiche di ogni singola nazione.

Resta il fatto che la privacy è un diritto umano, e questo non è qualcosa che le big tech possono ignorare. Il settore del cloud in particolare deve far suo questo principio piuttosto che combatterlo per continuare a crescere rapidamente come avvenuto negli ultimi dieci anni.