Che cosa significa innovare in un mondo instabile

Società, imprese e mercato ICT. Il viaggio del digital business

Nuove sfide e nuove opportunità per l’innovazione e per le capacità umane, che dovranno ancora di più affidarsi alle tecnologie, senza perdere di vista ingegno e spirito critico

L’esperienza dell’anno trascorso ci ha ancora una volta ricordato quanto i meccanismi socioeconomici siano esposti a incertezze, rischi, shock (sanitari, sociali, negli approvvigionamenti, etc.). Se l’importanza della “digital resiliency” era già chiara due anni fa, adesso è diventata un imperativo. L’IDC Digital Resiliency Benchmark Survey del 2021 ha evidenziato che nonostante gli sforzi compiuti, circa l’80% delle aziende mondiali ritiene di operare con livelli di esposizione medio-alti ai rischi, ovvero di non essere adeguatamente attrezzato per reagire a situazioni di crisi. D’altronde, di fronte alla forza dirompente degli eventi degli ultimi anni (dalla pandemia alle difficoltà di accesso alle risorse primarie, passando per i fenomeni naturali e geopolitici), qualsiasi impresa si troverebbe spiazzata. Tuttavia, nonostante il contesto, le aziende cosiddette “digitally resilient” in diversi settori hanno dimostrato capacità di valorizzare piattaforme e modelli innovativi per essere più agili in situazioni complesse, distaccando il resto del mercato su una serie di KPI (efficienza, soddisfazione dei clienti e dipendenti, risultati economici).

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SOSTENIBILITÀ E NUOVE DINAMICHE

Secondo IDC, entro la fine del 2022, le aziende che avranno ulteriormente espanso i propri programmi di digital resiliency, per renderli quanto più in grado di sostenere il business in un’epoca così incerta, miglioreranno del 20% in più dei propri concorrenti la profittabilità, la capacità innovativa e i livelli di efficienza. Nel 2022, oltre la metà dell’economia globale sarà basata o influenzata dal digitale. Il tasso di crescita medio annuo degli investimenti in DX (Digital Transformation) sarà del 16,5% nel periodo 2022-2024. Alla fine di questo periodo, il peso della spesa DX sarà pari al 55% di tutti gli investimenti ICT mondiali. Agganciate a queste dinamiche sono le strategie aziendali, in cui la sostenibilità non è più un nice to have ma un obiettivo su cui la società, l’opinione pubblica e i vari stakeholder ripongono le aspettative. La sfida per le imprese è grande. Solo connettendo le strategie di sostenibilità con l’essenza del proprio operare è possibile mitigare il rischio che questo obiettivo scivoli in secondo piano rispetto ad altre urgenze. Un lavoro da portare avanti a tutti i livelli, dentro l’organizzazione e nel proprio ecosistema. Il 2021 ha segnato un anno positivo in termini di maggiore consapevolezza e di azioni condotte, sebbene oltre la metà delle aziende mondiali abbia segnalato debolezze nella capacità di misurare gli avanzamenti con metriche adeguate. Ma secondo IDC, già entro la fine del 2023, il 60% delle imprese G2000 avrà definito e ancorato parametri di sostenibilità nei propri KPI di business.

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Sul fronte delle relazioni con il proprio ecosistema, il 40% delle aziende entro la fine del prossimo anno ridefinirà le policy che regolano le responsabilità nei processi di sourcing, implementando processi di audit e verifiche di conformità per aumentare affidabilità e fiducia nei riguardi della società, dei mercati, degli stakeholder. Queste dinamiche influenzeranno anche il modo in cui le aziende si organizzeranno. Piattaforme e dati saranno strumenti fondamentali. Come anche i metodi. Secondo IDC, a medio termine (2025), il 60% delle imprese globali più grandi avrà in essere dei “Digital Sustainability Teams” con il compito di supervisionare, valutare e governare l’utilizzo di un portafoglio esteso di strumenti, dataset e servizi in tema di sostenibilità.

NUCLEO IT E INFRASTRUTTURALE

Un viaggio che dal “purpose” strategico ci porta ad atterrare sul nucleo IT e infrastrutturale. Gli obiettivi di sostenibilità continueranno a caratterizzare il modo in cui i data center si rinnovano. Già entro la fine del 2022, secondo IDC, l’80% dei grandi data center e il 60% di quelli di media dimensione (mid-tier) a livello mondiale adotteranno programmi strategici di energy management per ottimizzare i consumi e approcciare in modo bilanciato l’utilizzo delle risorse primarie. L’importanza che i data center hanno assunto va di pari passo con l’affermazione dei modelli cloud e as a Service che diventano pervasivi, dal core all’edge. A trascinare sono gli use case e le esigenze di business, a tal punto che entro la fine dell’anno prossimo, il 40% delle maggiori aziende globali avrà “resettato” gli approcci technology-driven per focalizzarsi sui business outcome. La prospettiva IT-business è un binomio in realtà inscindibile, non significa bypassare gli schemi IT, ma assisteremo a un ulteriore sbilanciamento verso la sfera business via via che i fornitori cloud allargano ampiezza e profondità del portafoglio di servizi cloud, da quelli mission critical alla periferia degli ecosistemi.

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Aumenteranno di conseguenza le sfide per i team IT, chiamati già a misurarsi con il governo delle operation multicloud, la cui scala tenderà a crescere ulteriormente con la diversificazione e l’engagement di una moltitudine di provider. Tra le varie problematiche dell’accelerazione as a Service non è trascurabile l’impatto sulla leva economico-finanziaria. Al governo delle operation in cloud sarà necessario affiancare pratiche di osservazione e controllo dei costi: lo shift verso un modello flessibile – che coinvolge ormai l’intero stack infrastrutturale – stravolge le regole consolidate. Queste e altri driver spingeranno la gran parte delle imprese che utilizzano il cloud (l’80% entro il 2023) a creare team e funzioni “FinOps”, con la missione di automatizzare i processi di osservabilità policy-driven per ottimizzare consumi e massimizzare il valore dei servizi cloud. Servizi il cui sviluppo procederà in linea con le direzioni tracciate: ibridi, diversificati, con un mix di public cloud e di sistemi on-premise che si estenderanno anche grazie a servizi cloud dedicati (una tendenza che stiamo già vedendo da tempo nel nostro Paese). Secondo IDC, il 60% delle aziende nei prossimi 4 anni intensificherà l’utilizzo di servizi cloud dedicati, on-premise o presso data center di servizi provider, per rispondere a esigenze di performance, sicurezza, compliance.

INNOVAZIONE E PNRR

Nel 2022 ci si attende un’intensificazione dei processi di innovazione nel quadro del PNRR. Si sta entrando nel primo anno di “pieno regime”, con l’ecosistema pubblico e privato impegnato per mettere in campo risorse e iniziative in modo coerente con le aspettative. Tra le tante sfide, si fa strada la preoccupazione legata ai tempi e alla capacità esecutiva. Se da un lato è un’occasione per accelerare le progettualità e favorire meccanismi economici virtuosi, il timore dello “skill shortage” serpeggia in diversi ambienti, e insiste su una situazione da tempo dibattuta legata alla capacità del Sistema nazionale di reggere l’onda d’urto dell’innovazione in termini di hard e soft skills. Temi complessi che coinvolgono molteplici attori e contesti, da quello didattico ed educativo alla gestione dei talenti e delle risorse in generale.

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Se è vero che le tecnologie digitali sono cruciali e su queste si fondano i modelli competitivi, lo sono quindi anche le capability di sviluppo di servizi e applicazioni digitali che stanno alla base di questo paradigma. Di conseguenza, le aziende cercheranno soluzioni per accaparrarsi accesso a capacità esecutive prima di altre. Oltre a valorizzare team interni, fornitori, community etc., le aziende guarderanno a strategie M&A. Secondo IDC, entro il 2024 il 55% delle imprese mondiali considererà l’acquisizione di cloud marketplace e startup tecnologiche come l’asset strategico primario per accelerare la crescita e il successo delle politiche di software sourcing. Tante sfide, tanto da fare. Ma in fondo, è solo l’essenziale (per operare).

Fabio Rizzotto VP, head of Research and Consulting di IDC Italia