Accelerazioni sorprendenti, tra parità e disparità

Accelerazioni sorprendenti tra parità e disparità

Le aziende mostrano parità di visione sul digital-first. Tutte sembrano procedere sulla stessa linea. Una parità apparente, condizione necessaria. Scenari globali, modelli competitivi e ritmi socioeconomici stravolgono percorsi, approcci, gestione di risorse e competenze, risultati

La trasformazione digitale si sta addentrando in una fase ancora più cruciale per le imprese. Il 95% dei CEO intervistati nella recente IDC Worldwide CEO Survey di gennaio 2022 sta perseguendo una strategia digital-first. Una visione unanime, ma il disegno e l’attuazione sono diversi, e complessi. Il top management è consapevole, sa di giocare una partita difficile in cui strategia, cultura, risorse, modelli di trasformazione faranno la differenza. Secondo i CEO, il proprio successo nei prossimi tre anni dipenderà dal digital know-how, considerata la competenza più critica, seguita a breve distanza da fattori non meno determinanti: business strategy acumen, people leadership, operation excellence.

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Con l’asticella della sfida che si alza, crescono anche le aspettative dei CEO verso le figure aziendali impegnati nella trasformazione, il cosiddetto dream team (o C-Suite). Nel caso dei CIO, per esempio, il top management vede oggi principalmente questo ruolo associato alla capacità di assicurare digital resiliency e gestire i rischi IT. Per i prossimi 2 anni, ci si attende maggiore focus dei CIO su generazione di business outcomes, agilità e flussi di revenue digitali. Un cambio di prospettiva che consacra i technology leader a innovatori, con oneri e onori, a patto di essere messi in condizione di agire insieme agli altri manager anche sulla leva degli investimenti. In questo senso conforta riscontrare che il 55% dei CEO sostiene e intende sponsorizzare le iniziative di trasformazione IT.

Sempre più CEO a livello mondiale si mostrano executive sponsor di grandi progetti di innovazione. E si espongono con nuovi sguardi e aspettative verso la comunità dei partner per l’innovazione. Appurato che al successo contribuiscono in misura determinante anche capacità architetturali e infrastrutturali che assicurano scala, efficienza, gestione dinamica delle risorse digitali, non sorprende che nel mindset del top management trovino collocazione anche i cloud platform provider. D’altronde, sono sempre più frequenti i programmi di trasformazione strategica cloud-based che trascinano investimenti pluriennali, scenario che proietta questi attori e gli altri partner indispensabili – vendor, software, service provider – nei nuovi ecosistemi digitali partecipativi. Complessità che si tramutano in sfide per l’ecosistema ICT.

LA CAPACITÀ DI GENERARE VALORE

Interessante osservare come i nuovi scenari e la trasformazione dei modelli di innovazione cambiano nel tempo la percezione del valore che le aziende si attendono dalla relazione con i partner IT. Prendendo per esempio il ruolo dei software providers, la recente IDC Future Enterprise Resiliency & Spending Survey di gennaio 2022 evidenzia come per il 40% delle aziende mondiali la relazione con i principali partner ha generato maggiore business value negli ultimi 12-24 mesi. Tuttavia, il 28% appare insoddisfatto della capacità dei partner di generare valore e un ulteriore 19% ha la percezione che non sia aumentato. Interpretando in senso esteso il concetto di business value, e astraendoci dalla complessità sottostante le relazioni che variano a seconda della fase progettuale, della tipologia di attore e di soluzione, si confermano aspettative crescenti e nuovi stimoli per i partner per continuare ad accrescere le proprie capacità, il modello di vendita e di delivery, arricchendo la proposizione e le formule (di engagement, contrattuali, finanziari, di supporto etc.) con ingredienti ispirati a principi outcome, value-based.

In tutto questo, prosegue il tentativo di colmare il gap di competenze, che rischia di tradursi in frattura tra accelerazione digitale da un lato, e rincorsa all’accesso alle risorse dall’altro. Nelle indagini IDC, risorse, talenti e competenze nell’insieme emergono al secondo posto tra i fattori operativi più critici da gestire nell’implementazione di una strategia multicloud. E la carenza di competenze è al quinto posto tra i fattori che contribuiscono all’insuccesso di strategie cloud (IDC European Multicloud Survey 2021). Altri esempi si potrebbero portare su discipline attigue come sicurezza, governance, AI/ML etc.

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ALLA RICERCA DI PUNTI DI EQUILIBRIO

Negli ultimi mesi, è salita ancora più alla ribalta la sfida dell’accesso alle risorse primarie che regolano il funzionamento dell’economia e della società. Viviamo ormai quotidianamente gli effetti (a tratti paradossi) delle dipendenze degli approvvigionamenti da altri ecosistemi, attori, paesi. Si stanno giocando molte battaglie, e altre ne arriveranno. Quella dei talenti non è nuova ma potrebbe accentuarsi. Si discute di come sfruttare le risorse naturali, le fonti sostenibili, sono lì alla nostra portata ma la conversione non è facile.

Allo stesso modo non esistono competenze digitali naturali, l’offerta non riesce a soddisfare la domanda, la demografia non aiuta, abbiamo tutti continuamente bisogno di allenarci per affrontare un mondo complesso. Se le persone sono le risorse primarie, e le competenze migliori fanno la differenza, il rischio è che diventino appannaggio di pochi o di chi può permettersi significativi investimenti.

Si aprono nuove dinamiche nel mercato del lavoro. Si negozia per fare incontrare non più solo ambizioni, requisiti, ma aspettative che in particolare le nuove generazioni considerano irrinunciabili. Molte imprese stanno cercando di attenuare la sfida dello skill shortage con uno sguardo alle nuove assunzioni più esteso dal punto di vista territoriale, che consenta di vedere la variabile geografica e gli ambienti da cui si preferisce operare come un valore e non come un limite, plasmando una nuova concezione dei rapporti di fiducia e di lavoro all’interno di una visione hybrid first.

Come se non bastasse, in periodo di scarsità di risorse, il fenomeno della Great Resignation irrompe anche in Europa, anche se con declinazioni diverse, in parte sfumate rispetto agli Stati Uniti. La IDC European Future of Work Survey 2022 mostra come quasi un terzo (32%) dei dipendenti delle aziende europee sta valutando cambiamenti o è alla ricerca di nuove opportunità lavorative. Un’ulteriore riflessione che impone la ricerca di punti di equilibrio nell’interpretazione del concetto di work experience, da sempre un campo in cui percezioni e aspettative di azienda e dipendente, collaboratore, oscillano attorno a un baricentro complesso da osservare e misurare.

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Barbara Cambieri managing director and Group VP di IDC Italia