Aubay, il Digital Human per dare un volto all’IA

Aubay, il Digital Human per dare un volto all’IA

Assistenti virtuali in “carne e ossa” per supportare una migliore customer experience

Il tema dei chatbot può sembrare nuovo oggi, agli occhi di un lettore poco avvezzo agli sviluppi della customer experience, ma in realtà di assistenti intelligenti per supportare i clienti si parla già da tempo. Retail, e-commerce, navigazione in grosse aree commerciali: poter interagire con un’intelligenza artificiale addestrata su certe tematiche rappresenta già il fulcro di numerosi progetti, con più o meno successo. Eppure, ChatGpt e soci hanno innalzato, e di molto, l’interesse sullo scenario delle AI generative e conversazionali. Il punto è dunque come innalzare tali modelli, per integrarli nel business. Tutto gira intorno ad un termine: Digital Human.

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«Si tratta di entità virtuali che mimano il comportamento umano, sia per fattezze esterne che per capacità di linguaggio» ci dice Stefano De Rossi, Senior Manager di Aubay. «Sono due i fattori che stanno spingendo questo breaktrough tecnologico: lo sviluppo della tecnologia 3D, oggi molto pervasiva, e l’accesso all’AI generativa, con i cosiddetti LLM, i modelli di linguaggio avanzati. Ecco allora che l’intelligenza artificiale assume un volto, con l’aggiunta di un livello di fidelizzazione maggiore da parte degli utenti». Ma questi progetti sono validi sempre e comunque? «Sinceramente no. Quando il contatto tra utente e azienda deve essere ridotto a poche informazioni, il digital human può essere, in un certo senso, “sprecato”. Quando invece la tipologia di comunicazione prevede già una serie di passaggi guidati, che sia al telefono o in chat, ampliare l’interazione con un assistente digitale quasi in carne e ossa rappresenta un beneficio».

Generare empatia

L’obiettivo principale del digital human è, non ci nascondiamo, la necessità di generare empatia. Forse una delle pecche principali dei chatbot “vecchio stampo” era proprio quella di limitare gli aspetti conversazionali tra uomo e macchina. “Non ti comprendo” o “non capisco la tua richiesta” sono le frasi più temute da chi sviluppa chatbot e, di contro, da chi deve usarli. L’implementazione della tecnologia è certamente molto veloce, al pari almeno del suo grado di abbandono, se poco funzionale. «La capacità di generare empatia in una fase propositiva è maggiore se si dà un volto ad una relazione» prosegue il manager di Aubay. «Uno dei punti che valorizzerà al massimo l’uso del digital human si otterrà quando questi progetti otterranno anche la “possibilità di vedere”, ovvero di apprendere e analizzare il contesto dell’utente dall’altra parte dello schermo, tramite la webcam. Stati d’animo, incertezze e altri dettagli entreranno così nel più ampio gioco della comunicazione, aggiungendo altri tasselli alla comprensione dell’interazione».

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Tanti gli aspetti su cui Aubay lavora, nel merito del digital human: dall’assistente virtuale a supporto dei clienti a quello per i processi aziendali interni. «Pensiamo, ad esempio, all’onboarding di progetti per professionisti e manager, che potranno velocizzare le presentazioni e risolvere, in minor tempo, dubbi e perplessità. Ma anche la collaborazione di un chatbot visuale su iniziative seguite da altri colleghi, con l’opportunità di chiedere al digital human di trasferirci informazioni in qualsiasi momento, anche in assenza di chi si è occupato in prima battuta del progetto. trasferimento di informazioni in qualsiasi momento. Secondo Aubay, la gestione delle risorse può rappresentare un punto di svolta concreto nell’uso di assistenti del genere. Vediamo molta curiosità in questo momento e di interesse. Come racconta Gartner, siamo in un periodo di hype ma bisogna scaricare a terra questa potenzialità, in attività reali».

Il digital human, volto umano dell’IA, prevede, come tutto ciò che circonda l’intelligenza artificiale, di fermarsi un attimo e pensare agli aspetti etici di simili applicazioni. «Per come lo intendiamo e spiegato, il supporto avanzato di un chatbot visivo non ruba alcun lavoro, anzi, ottimizza i ruoli già esistenti, liberando i professionisti da operazioni ripetitive, per far sì che si concentrino su aspetti ad alto valore. Questo non vuol dire passare oltre le tematiche delle inferenze dell’IA nel mondo del lavoro ma senza aver eccessivo timore. È una rivoluzione che va governata, guidata e non evitata».