Enrico Giovannini: «I ministri tecnici non esistono»

Enrico Giovannini: «I ministri tecnici non esistono»

Economista di fama mondiale, ex presidente dell’Istat, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili del governo Draghi, co-fondatore e attuale direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). Enrico Giovannini è ordinario di Statistica economica all’Università di Roma “Tor Vergata”, dove insegna anche Analisi e politiche per lo sviluppo sostenibile.

Nel suo ultimo libro “I ministri tecnici non esistono” (2023, Laterza), Giovannini sancisce una volta per tutte il primato della “politica” con la P maiuscola rispetto alla “tecnocrazia”. Per decidere, la politica deve ascoltare e avere un approccio basato sui dati non sul lancio dei dadi. «Prima di cominciare ad ascoltare, però, un ministro deve decidere chi ascoltare e come» – spiega Giovannini. «Un ministro “tecnico” ragiona in modo diverso da uno “politico”, soprattutto se quest’ultimo deve presentarsi alle successive elezioni e quindi ha bisogno di essere conosciuto e apprezzato dal bacino elettorale di riferimento: problema che un tecnico che non prevede di candidarsi non si pone. Ovviamente, questo non vuol dire che un ministro tecnico non faccia scelte “politiche” o che non debba costruire consenso intorno alle decisioni prese, ma è un consenso diverso da quello tipicamente orientato alle future elezioni o al successo del proprio partito. Anche i ministri tecnici fanno politica, influenzando la cultura del Paese e il modo di leggere la realtà, ma lo fanno per realizzare il bene comune». Approccio sistemico e capacità di ascolto non fanno difetto a Enrico Giovannini. «In meno di due anni abbiamo stanziato oltre 104 miliardi di euro, il 69% destinato al Mezzogiorno per investimenti, elaborato piani a medio termine per i diversi comparti del mondo dei trasporti e della logistica, varato numerose riforme di settore. Pur nella consapevolezza che il lavoro svolto rappresenta solo una tappa nella staffetta dell’alternanza politica, credo di essere riuscito a conservare una certa coerenza tra ciò che ho “predicato” per anni come portavoce dell’ASviS e ciò che ho “praticato” come ministro».

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Il Green Deal europeo come strategia di competitività

Il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile sta per definire la metodologia, già impostata con il governo Draghi, per cui d’ora in poi tutti i progetti infrastrutturali che passeranno per il CIPESS dovranno essere valutati rispetto all’impatto non solo economico, ma anche sociale e ambientale. «Un principio travasato anche nel nuovo codice degli appalti. Vuol dire che quando una stazione appaltante deve fare un progetto, deve farsi una serie di domande analoghe a quelle che le imprese si fanno con i cosiddetti criteri ESG» – spiega Giovannini. «È un grande salto di qualità e anche una grande opportunità per le imprese, molte delle quali hanno già messo in atto questo cambiamento di mentalità e quindi possono competere sul mercato, guadagnando anche quelle premialità che sono previste dal nuovo codice per chi investe in questa direzione. Ecco, il Made in Italy può beneficiare di questo salto culturale. Tuttavia, in Italia si contano tre milioni di lavoratori irregolari e circa 100 miliardi di evasione. Abbiamo strutture dimensionali troppo piccole e dunque bisogna aiutarle a crescere, perché la competizione è sempre più dura. Abbiamo aumentato la quota di imprese innovative, ma molte aziende non fanno abbastanza ricerca e sviluppo, o investono poco o nulla sul capitale umano. Insomma, la strada è ancora lunga. Ecco, il mio suggerimento è di andare alla sostanza dei problemi, capire che l’Europa ha scelto il Green Deal non come strategia ambientalista, ma come strategia di competitività, con tutte le difficoltà che questo può comportare. Il Green Deal vuole riportare la manifattura europea a competere rispetto alla Cina, agli Stati Uniti. Questo è il senso del Green Deal e credo che chi pensa di poter attendere, restando alla finestra o rinviando le scelte, rischia di perdere proprio quella competitività che invece è fondamentale guadagnare per affrontare le sfide che ci attendono nel prossimo futuro ma che possono cambiare anche il nostro presente».

Guardare al futuro per cambiare il presente. Approccio sistemico e capacità di ascolto. Il primato della “politica” con la P maiuscola. «Insensato rallentare la transizione energetica»

Il Made in Italy di eccellenza è sostenibile per definizione

Il cambiamento climatico introduce un ulteriore elemento di incertezza che è il rischio climatico a cui le eccellenze del Made in Italy sono maggiormente esposte. Secondo i dati del Rapporto ASviS 2023, in Italia lo sviluppo sostenibile sta arretrando e solo un profondo cambiamento delle politiche pubbliche può invertire questa tendenza. «L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Europa ed è membro del G7. Un grande paese si caratterizza anche per il rispetto degli impegni che assume nei contesti internazionali e per la continuità dell’azione politica attraverso la quale cerca di raggiungere gli obiettivi che ha scelto di centrare» – spiega Giovannini. «Purtroppo, a metà del cammino, l’Italia appare fuori linea rispetto ai 17 obiettivi SDGs che ci siamo impegnati a centrare entro la fine di questa decade. Se per tre obiettivi la situazione è stabile e per otto i miglioramenti sono contenuti, per sei obiettivi, la situazione è addirittura peggiorata rispetto al 2010. Il rapporto ASviS mostra come negli ultimi otto anni l’Italia non abbia scelto in modo convinto e deciso l’Agenda 2030 come bussola per realizzare uno sviluppo pienamente sostenibile sotto il profilo ambientale, sociale, economico e istituzionale. Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare».

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Ecco, non ci potrà essere Made in Italy di eccellenza se non sarà anche sostenibile – continua Giovannini. «Questo è un passaggio fondamentale ed è già previsto con l’estensione della rendicontazione di sostenibilità. Spero che il Governo in carica non commetta lo stesso errore che il governo Renzi commise nel 2016, tentando di limitarne l’impatto, perché invece i dati dimostrano che le imprese che hanno fatto questo salto evolutivo hanno trasformato il loro modello di business, guadagnando competitività». Le imprese che hanno scelto la sostenibilità a tutto tondo, guadagnano quote di mercato, sono più efficienti, aumentano i profitti e l’occupazione. Lo dicono le analisi dell’Istat, di Unioncamere, recentemente di SACE. «Dopo lo shock energetico che abbiamo avuto l’anno scorso, e che potrebbe ripetersi dopo questa insensata situazione tra Israele e la striscia di Gaza, le imprese hanno capito l’aria che tira e vogliono investire in efficienza energetica» – commenta Giovannini. «Ritengo insensato che qualcuno possa dire che dobbiamo rallentare la transizione energetica. No, la dobbiamo accelerare. Naturalmente, gli investimenti vanno distinti dai costi e non confusi in un’unica voce. A livello europeo, capiremo nei prossimi mesi cosa accadrà. Prima delle elezioni di giugno 2024, ci sono ancora molti dossier sul tavolo. I fondi europei, non solo quelli del PNRR ma anche quelli per la coesione, possono andare in questa direzione e noi dobbiamo far sparire dal nostro vocabolario politico la parola rallentare. Gli altri paesi stanno correndo».