AlixPartners Disruption Index 2024: GenAI nel mirino delle imprese

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Secondo la quinta edizione della survey i board aziendali considerano l’intelligenza artificiale generativa la più grande opportunità, ma soltanto pochi sono pronti a implementarla

È l’intelligenza artificiale generativa a sbancare tra le opportunità individuate da una grande maggioranza delle aziende world wide per questo 2024 appena iniziato. Un treno assolutamente da non perdere secondo il 63% dei CEO, anche se, c’è un grosso ma. L’entusiasmo si rivela lontano dalla pratica e il dato di realtà ribalta i buoni propositi: il 63% degli AD, infatti, afferma che la propria azienda non sta tenendo il passo con il ritmo del cambiamento tecnologico. In controtendenza, su questo fronte, l’Italia, che svela un sentiment decisamente più ottimistico. I dati emergono dalla quinta edizione dell’AlixPartners Disruption Index condotto annualmente dalla società di consulenza globale per esaminare l’atteggiamento, le attese e la visione dei decision-maker nei confronti delle dinamiche che caratterizzano e condizionano il business. Sotto i riflettori della survey l’entità, la complessità e l’impatto della disruption sulle organizzazioni, le forze che muovono aziende, mercati, reti di valore e modelli operativi come risultato di cambiamenti economici, sociali, ambientali, politici, normativi o tecnologici in atto a livello mondiale, il ritmo di accelerazione di queste forze e le strategie messe in campo per affrontarle.

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Il nuovo scenario post-pandemia

Per la sua ricerca, corposa e capillare, nel 2023 AlixPartners ha intervistato 3.100 CEO e dirigenti senior di dieci settori – aerospaziale e difesa, automobilistico, prodotti di consumo, energia, servizi finanziari, sanità e scienze della vita, media e intrattenimento, vendita al dettaglio, tecnologia, telecomunicazioni e cavi – di undici Paesi: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Germania, Italia, Francia, Svizzera, Cina, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi. La fotografia globale scattata dall’AlixPartners Disruption Index sottolinea un calo per il secondo anno consecutivo dell’indice di disruption – da 79 nel 2022 e 76 nel 2023 si è passati a 72 nel 2024 – e l’inizio di una nuova fase. «Stiamo entrando in una nuova era di forze disruptive post-pandemiche, più a lungo termine e meno controllabili. Anche se la nostra ricerca mostra che un numero crescente di leader si sente più fiducioso nella propria capacità di gestire la disruption, è altrettanto vero che la maggioranza dei CEO ritiene che la propria azienda non si stia evolvendo abbastanza velocemente da poter affrontare i cambiamenti in atto», dichiara Stefano Aversa, EMEA Chairman e Global Vice-Chairman di AlixPartners.

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Dopo aver affrontato per più di tre anni pandemia, instabilità nelle catene di approvvigionamento, carenza di lavoratori e inflazione i CEO e i C-Level per il 2024 guardano con preoccupazione ciò che sta accadendo nel mondo. «Le quattro macro forze che generano disruption sono: le tensioni geopolitiche (il 66% degli amministratori delegati è preoccupato dall’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti e dal loro impatto sulla propria attività e il 68 % è preoccupato per le tensioni in Cina), l’innovazione tecnologica (per il 63% la generative AI è la più grande opportunità e circa lo stesso numero pensa di non poter stare al passo con l’evoluzione e con la crescita che è molto forte), il climate change (3 amministratori delegati su 4 sentono la pressione del governo di prendere posizione sulle questioni ambientali) e il contesto macroeconomico. Qui la prima preoccupazione degli AD è relativa all’inflazione e al costo del debito, ai tassi di interesse», afferma Dario Duse, Italy Country Leader di AlixPartners.

Ottimismo italiano

Lo zoom sull’Italia? «Nel nostro Paese – aggiunge Duse – il 75% (il 15% in più della media globale) dice di far fatica a sapere a cosa dare priorità, quali azioni mettere in campo, quale disruption cercare di cavalcare per trasformarla da una minaccia a un’opportunità. Il 34%, che è 7 punti in più rispetto alla media, è particolarmente preoccupato da aspetti di global trade, tariffe, protezionismo e deglobalizzazione. Il 40% percepisce come prima minaccia il tema dei tassi di interesse, di costo del debito. Per quanto riguarda il mondo dell’innovazione, fondamentalmente centrata sull’AI, è interessante evidenziare che la stragrande maggioranza, l’86%, dice di essere ottimista sull’impatto della GenAI sulla propria azienda. In maniera sorprendente il 60% sostiene di posizionarsi tra i leader nell’industria, quindi l’Italia è over confidente rispetto all’applicazione di questa tecnologia, il 74%, anche qui, parecchio più della media mondiale (ossia il 59%) dice che sta investendo in maniera sistematica sull’intelligenza artificiale e il 42% afferma che l’AI è già oggi all’interno dei processi, dei sistemi, del modus operandi delle aziende, mentre a livello globale la percentuale è del 28%».

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Una chiara opportunità

L’AI rivela tutto il suo potenziale strategico. «Nell’ambito delle sfide percepite, l’intelligenza artificiale generativa costituisce l’unica vera opportunità di disruption e quella che le aziende possono proattivamente gestire: guerre ed elezioni americane sono fenomeni esogeni, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa è una scelta aziendale discrezionale: anche in questo caso meglio sarebbe essere disruptors piuttosto che disrupted», sottolinea Dario Duse. «Le implicazioni a livello business possono essere molteplici e contemporanee: crescita della produttività, miglioramento della customer experience e del customer service, nuovi vettori di crescita dei ricavi e di creazione del valore, soprattutto per quelle organizzazioni che sapranno riconoscere e sfruttare al meglio le sue potenzialità. Il segnale positivo è che l’Italia risulta essere il Paese dove questo risulta più chiaro al top management, che nel 70% dei casi vede proprio l’AI e l’evoluzione tecnologica come la principale opportunità nella nutrita lista di disruptive forces».

Le sfide chiave

Nel nostro Paese, in generale, si respira un sentiment più ottimistico riguardo al futuro, tuttavia permane anche tra i top manager italiani una sensazione di incertezza: il 75% degli intervistati (15 punti in più della media) sostiene che è sempre più difficile capire a quali forze dirompenti dare priorità, mentre particolare preoccupazione destano i tassi di interesse (40%), la deglobalizzazione e il protezionismo (34%) e l’invecchiamento della popolazione (31%). Secondo lo studio di AlixPartners le sfide sostanziali per il sistema economico italiano riguardano sostanzialmente l’energia (senza sostituire il gas russo a un costo competitivo, sarà difficile sostenere una produzione competitiva e sarà difficile per l’Italia avere alcun ruolo in politica estera); il declino demografico (con una bassa crescita della produttività, la base manifatturiera sarà messa a dura prova dalla contrazione della forza lavoro e, più in generale, sarà difficile far crescere un’economia senza il motore della crescita demografica); la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale (i sistemi IT obsoleti e le dimensioni delle piccole e medie imprese renderanno più difficile per il sistema delle PMI trarre vantaggio dall’intelligenza artificiale e dalla digitalizzazione); l’innovazione: come recita lo studio, venture capital e grosse corporate sono fondamentali per gli investimenti che guidano l’innovazione e all’Italia mancano entrambi.

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