Sanità digitale, la svolta possibile

Sanità digitale, la svolta possibile

La digitalizzazione del settore healthcare in Italia tocca punti di eccellenza ma procede a macchia di leopardo. Non è un problema di tecnologia ma di complessità e user experience. A che punto siamo di questo percorso? Lo scopriamo nelle testimonianze dei CIO e dei responsabili IT di Campus Bio-Medico di Roma, Istituto Neurologico Carlo Besta, Colisée Italia, Ospedale Niguarda, Centro Diagnostico Italiano, Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo e Ospedale Pediatrico Bambin Gesù

Per assicurare la piena interoperabilità del patrimonio informativo messo a disposizione dalle infrastrutture tecnologiche servono competenze, visione, governance e capacità di fare ecosistema. Il settore sanitario italiano è pronto a recepire i vantaggi che possono derivare dall’utilizzo sempre più pervasivo del digitale e a mettere a scala le innovazioni che si trovano nel punto di intersezione tra medicina, assistenza sanitaria, automazione e nuovi stili di vita? Il tema è di rilevanza strategica per il Paese ed è stato affrontato nel corso di un recente incontro, organizzato da Data Manager in collaborazione con Milestone Systems, che ha portato al tavolo, nella magnifica cornice dell’Aula Magna del rettorato del Politecnico di Milano, in piazza Leonardo da Vinci, un panel di autorevolissimi esperti in materia di tecnologie per l’healthcare, in rappresentanza di alcune fra le principali strutture sanitarie italiane.

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Con l’obiettivo di condividere diverse sfaccettature di cosa significhi concretamente “fare trasformazione digitale” nel mondo sanitario e mettere a fattor comune criticità, prospettive di innovazione, applicazioni “core” della tecnologia e, soprattutto, i vantaggi che questa trasformazione può generare a livello di processo e nel servizio reso al paziente. Un tema complesso, che guarda inevitabilmente alla questione dei dati (e alla necessità di una gestione strutturata di questi dati in termini di integrazione, protezione, accessibilità e condivisione) e che apre all’utilizzo sempre più pervasivo dell’intelligenza artificiale, oggi tecnologia abilitante oggetto di sperimentazione e pronta a rivestire nell’immediato futuro un ruolo molto importante (se non irrinunciabile) nel percorso di rivoluzione digitale del settore healthcare

SISTEMA IN EVOLUZIONE

La fotografia scattata dall’ultima edizione della ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano ci dice che la spesa in Italia destinata alle tecnologie per il mondo healthcare è salita a fine 2022 a 1,8 miliardi di euro con una crescita del 7% rispetto all’anno precedente. Investimenti confermati dalla maggior parte delle aziende sanitarie coinvolte nell’indagine anche per quanto riguarda cybersecurity e attività di adeguamento al GDPR (nel 58% dei casi), cartella clinica elettronica (54%) e integrazione con sistemi regionali e nazionali (51%). Il processo di digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale è quindi in corso ma, come hanno evidenziato a suo tempo i responsabili dell’Osservatorio, il cambio di passo legato alle disponibilità garantite dai fondi del PNRR (la Missione 6 per Salute e Sanità) non si è ancora del tutto concretizzato e l’impiego delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza è tutt’ora una sfida dall’esito tutt’altro che scontato. E i dubbi emergono proprio dai principali decisori delle strutture sanitarie, alle prese con la difficoltà di comprendere come tradurre in progetti operativi questa opportunità (è l’ostacolo più rilevante allo sviluppo della sanità digitale secondo il 49% dei dirigenti e dei responsabili dei sistemi informativi intervistati) e con limitate risorse economiche (problema che interessa invece il 58% del campione).

Se guardiamo al livello di maturità raggiunto dalle strutture sanitarie in termini di capacità di governance e di valorizzazione delle diverse categorie di informazioni disponibili, lo scenario descritto dalla ricerca (in linea con le rilevazioni degli anni passati) evidenzia uno stato di avanzamento più marcato nelle attività di gestione dei dati amministrativi, che vengono analizzati con strumenti di “descriptive analytics” da oltre la metà delle aziende, mentre sono ancora isolati i casi (circa il 5% del totale) di impiego di tecnologie di “advanced analytics”. I dati gestionali e organizzativi e i dati clinici (analizzati rispettivamente nel 46% e nel 34% dei casi) sono considerati altrettanto importanti, invece è tutt’altro che sistemica la presenza di un’infrastruttura informatica in grado di raccogliere in modo omogeneo alcune tipologie di informazioni come i dati demografici e ambientali, i dati raccolti da App o altri dispositivi e quelli provenienti da web e social.

Cosa dicono queste percentuali? Che il bisogno di sviluppare sistemi di raccolta di dati eterogenei, anche prodotti “all’esterno” della struttura sanitaria, e di integrarli tra loro, facendo leva sugli standard semantici disponibili, è sempre più sentito e diventa uno snodo per certi versi fondamentale del percorso di trasformazione digitale della sanità. Emblematici, in tal senso, le indicazioni relative alla Cartella clinica elettronica (CCE), uno dei principali strumenti per l’archiviazione e la gestione dei dati clinici del paziente. A tutto 2022 era stata attivata in più della metà delle strutture sanitarie, anche se solo nel 42% dei casi è stata estesa a tutti i reparti. Coerentemente con questi dati, oltre la metà dei medici specialisti ha dichiarato di aver utilizzato la CCE nel corso dello stesso periodo, mentre fra le funzionalità più utilizzate dai medici specialisti primeggiano quelle per l’anamnesi e l’inquadramento clinico del paziente (siamo al 91% dei casi) e quelle per la gestione e la visualizzazione delle informazioni di riepilogo del paziente stesso (88%).

La Cartella clinica elettronica, per contro, è ancora poco diffusa (un caso su tre) come soluzione avanzata per il supporto alle decisioni cliniche per i medici specialisti. I benefici tangibili riscontrati dai medici che hanno adottato e utilizzato la CCE nell’ambito della propria attività professionale (soprattutto in termini di tempo risparmiato per reperire le informazioni utili e per la lettura dei documenti clinici in formato digitale) suggeriscono quindi un ulteriore salto in avanti nell’opera di “reingegnerizzazione” di alcuni processi all’insegna di maggiore efficienza e semplificazione e, nondimeno, della possibilità di aumentare il livello di trattamento per il paziente, riducendo il rischio di errori clinici, di somministrazione di terapie errare e di duplicazioni di esami già effettuati.

Manuela Ferrario professore associato del dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano

OBIETTIVI E CRITICITÀ

La discussione sulla portata degli obiettivi raggiunti e delle criticità ancora da superare nel processo di trasformazione digitale che ha intrapreso il settore sanitario è quindi di strettissima attualità e la testimonianza di Manuela Ferrario, professore associato del dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, parte da un aneddoto legato a un altro tassello strategico della digitalizzazione della sanità italiana, il Fascicolo sanitario elettronico che è ancora affetto da una gestione disomogenea su base nazionale – per via di informazioni cliniche spesso non strutturate inserite a sistema – e la cui versione 2.0 dovrà semplificare e rendere uniforme a livello nazionale l’accesso alle cure, diventando il punto unico di accesso ai servizi sanitari in forma digitale per i cittadini.

«Per diversi anni, ho insegnato Informatica medica» – racconta Manuela Ferrario. «E ogni anno aggiornavo le mie slide, aggiungendo via via le Regioni che avevano adottato il Fascicolo sanitario elettronico. Poi, con la pandemia, finalmente questo strumento è stato adottato da tutte. Faccio questo esempio per dire che la digitalizzazione è un processo che va pianificato o in alternativa diventa emergenza. E non credo personalmente che si debba aspettare la prossima pandemia perché venga implementato. Credo quindi che sia necessario uscire dallo schema dell’approccio emergenziale, o dell’obbligo imposto attraverso una legge comunitaria. Serve, invece, valorizzare le tante competenze che abbiamo in Italia per poter guidare il processo di trasformazione e di innovazione della sanità».

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E il nuovo Fascicolo sanitario elettronico – il cui obiettivo è in buona sostanza quello di uniformare da una parte i dati e le codifiche adottate e di rafforzare dall’altra l’architettura tecnologica per ottenere l’interoperabilità con i sistemi informativi aziendali – è in tal senso solo uno dei diversi tasselli che compongono il puzzle di un sistema sanitario digitalizzato di respiro nazionale. «Il processo all’interno delle singole strutture e sull’intero territorio italiano è avviato ma – come sottolinea ancora Ferrario – non è concluso. Altro tema di rilievo – spiega Ferrario – è il data sharing: «Mentre si procede con la digitalizzazione, diventa imprescindibile considerare l’uso futuro dei dati prodotti e definire la struttura adeguata di gestione. Questo costituisce un aspetto cruciale».

A monte dell’impiego di strumenti come il fascicolo elettronico, la cartella clinica digitale o la robotica, resta sul tavolo un’altra questione: in che misura tali soluzioni innovative contribuiscono effettivamente all’efficienza delle strutture sanitarie? La tecnologia, in altre parole, ha realmente semplificato la gestione del paziente, ha dato veramente quel plus per cui tutto questo processo è stato avviato, portando dei reali vantaggi per l’utente finale, per l’addetto sanitario che opera con i sistemi digitalizzati e per la struttura nel suo complesso? Oppure ha aggiunto e generato maggiore complessità nella gestione dell’operatività quotidiana e in qualche modo compromesso la qualità del servizio che si va a rendere poi al cittadino-paziente? L’assunto dovrebbe essere scontato e invece non sempre lo è, ed è probabilmente questa la chiave per sbloccare definitivamente l’accelerazione verso una sanità digitale più efficiente e vicina al paziente.

«A fronte anche di tante iniziative in corso a livello europeo, a cominciare dagli obiettivi fissati dal piano Next Generation UE – aggiunge in proposito Jaime Durbàn Diez de la Cortina, business development manager Healthcare EMEA di Milestone Systems – possiamo dire che siamo nel bel mezzo di un processo di rivoluzione del mondo della sanità». E gli effetti di questa rivoluzione si vedranno anche in Italia: con il PNRR e il focus sulla digitalizzazione del comparto healthcare italiano, infatti, le tecnologie per gli ospedali registreranno un cambiamento significativo nel prossimo decennio mentre le soluzioni video stanno sin d’ora emergendo come uno fra gli strumenti più potenti da sfruttare a vantaggio delle strutture sanitarie, sia pubbliche che private. Sono molti gli aspetti per i quali la tecnologia di video intelligence può aiutare a raggiungere gli obiettivi del piano di Ripresa e Resilienza, spingendosi oltre il classico concetto di “security” e ben oltre la semplice attività di sorveglianza o monitoraggio, trovando per esempio applicazione nella telemedicina e nelle consultazioni virtuali, nella formazione o ancora nella telediagnostica.

Jaime Durbàn Diez de la Cortina, business development manager Healthcare EMEA di Milestone Systems

Al di là delle potenzialità di queste soluzioni, e in un contesto di carenza di personale su scala globale, una cosa appare certa: gli ospedali hanno bisogno di tecnologie non solo capaci di restituire risposte in tempi estremamente rapidi ma anche integrate tra loro e facilmente integrabili nella quotidianità e nei processi lavorativi del personale medico e sanitario. «La nostra piattaforma – precisa Diez de la Cortina – ha un DNA radicato nell’apertura e nell’adozione di standard e, soprattutto, nella componente di integrazione, caratteristiche che permettono alla soluzione di rendersi centralizzata e facile da gestire, adattandosi alle esigenze specifiche degli operatori, siano essi medici, infermieri o personale addetto alla sicurezza. L’obiettivo ultimo è sicuramente quello di massimizzare gli investimenti e di sfruttare ciascuna tecnologia al suo massimo potenziale».

L’ultima, ma anche più importante faccia della questione, a detta del manager di Milestone – rimanda all’European Health Data Space, e cioè l’ecosistema composto da regole, standard e pratiche comuni (nonché infrastrutture e modelli di governance) lanciato nel 2022 dalla Commissione europea per sostenere la libera circolazione (su base comunitaria) dei dati sanitari elettronici personali e costruire una struttura affidabile ed efficiente per l’impiego di questi dati per la ricerca, l’innovazione e l’attività normativa.  «L’aspetto più critico – conclude Diez de la Cortina – è la centralità del paziente. Per raggiungere l’obiettivo occorre focalizzarsi sulle tecnologie che permettono di raccogliere e analizzare i dati veramente utili per raggiungere i risultati prefissati».

Ella Cocchi, direttore dei sistemi informativi dell’ASST Niguarda – Milano

RIPENSARE I PROCESSI

La testimonianza di Ella Cocchi, direttore dei sistemi informativi dell’ASST Niguarda – Milano, mette per l’appunto l’accento su quello che dovrebbe essere lo scenario ideale per lo sviluppo del digitale in ambito sanitario. «Centralizzare tutta una serie di soluzioni a livello nazionale e a livello regionale è un passaggio molto importante, che permette di far crescere il sistema e quindi in qualche modo omogeneizzare verso l’alto il livello del servizio offerto. Portare la cartella clinica e il fascicolo elettronico è un obiettivo da raggiungere. Nel nostro ospedale, abbiamo raggiunto un livello di digitalizzazione molto elevato anche in termini di applicazioni di robotica avanzata. Più in generale – continua Cocchi – credo che si sia interpretata nella direzione giusta sia la spinta dettata dal cambiamento imposto dalla pandemia sia quella legata ai fondi del PNRR. Non si tratta solo di incrementare l’arsenale di soluzioni informatiche e digitali, ma di ripensare i processi e reingegnerizzare i servizi offerti al paziente, rendendoli più aderenti alle sue esigenze. Questo processo parte dall’individuare il paziente come fulcro e considerare anche la sua evoluzione in un contesto digitale». La tecnologia costituisce quindi un mezzo, un abilitatore per cambiare il paradigma di gestione della “prestazione” sanitaria e non il classico fine. L’aver adottato, come nel caso dell’Ospedale Niguarda, le soluzioni disponibili a livello regionale, reinterpretandole per aumentare il livello dei servizi, e iniziando ad aggiungere strati di tecnologia legati all’intelligenza artificiale, risponde dunque a un nuovo approccio, focalizzato a generare valore ed efficienza. «Il concetto di fondo che mi sento di condividere – conclude Cocchi – è che la tecnologia non serve se è intesa solo come un upgrade tecnico, ma deve essere associata a un percorso di ottimizzazione e ridefinizione di processi e modelli organizzativi, con l’obiettivo di alzare ulteriormente la qualità dei servizi che possiamo offrire ai pazienti».

La visione di un customer journey evoluto, con il cliente al centro e la tecnologia come abilitatore, è del resto uno dei capisaldi della digitalizzazione e lo è in qualsiasi campo, non solo in ambito sanitario. La questione, ancora una volta, è capire a che punto si è effettivamente arrivati in questo viaggio di trasformazione e quali sono le criticità che ne limitano l’applicazione in modo pervasivo e sistemico. Secondo Marco Venditti, responsabile Area sistemi informativi della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, si assiste a un incremento dei processi di digitalizzazione. «Stiamo cominciando a vedere miglioramenti significativi non solo a livello di singole strutture, ma anche a livello sistemico. La digitalizzazione di processi chiave quali quelli della cartella clinica elettronica, la pianificazione delle sale operatorie e degli ambulatori è diventata sufficientemente consolidata». I benefici della trasformazione digitale si riflettono a livello del sistema nel suo complesso – spiega Venditti. «I processi sono tracciati e le direzioni strategiche degli ospedali possono contare su una maggiore comprensione dei fenomeni e, di conseguenza, possono agire in modo più efficace sull’efficientamento dei processi amministrativi, logistici e clinici grazie proprio ai dati strutturati resi disponibili da una digitalizzazione diffusa».

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Anche l’imperativo di mettere il paziente al centro richiede una nuova prospettiva. «Forse, è giunto il momento di adottare un nuovo punto di vista» – suggerisce Venditti. «Dovremmo considerare anche il personale sanitario come il fulcro delle nostre attenzioni. Diversi studi condotti nei Paesi più avanzati ci dicono che a un elevato livello di digitalizzazione raggiunto da parte di strutture sanitarie ha quasi sempre equivalso uno scarso livello di soddisfazione da parte degli utenti finali». Si avverte dunque la necessità di avvicinare le tecnologie dell’informazione al personale sanitario, in particolare l’esigenza di aumentare il tempo impiegato nella relazionale fra medico e paziente. «La Comunità europea – conclude in proposito Venditti – ci riconosce il fatto di avere fatto bene i compiti a casa per quanto riguarda la digitalizzazione. Tuttavia, è necessario riportare il professionista sanitario a svolgere appieno il proprio mestiere: negli ambulatori, il tempo richiesto per documentare le attività sta diventando sempre più lungo rispetto al passato, quando la maggior parte del tempo di visita era dedicato alla cura e all’analisi del paziente. Un obiettivo potrebbe quindi essere quello di impiegare le nuove tecnologie, in primis i sistemi di intelligenza artificiale, per minimizzare il tempo dedicato alla documentazione, in favore del tempo da dedicare al paziente».

Marco Venditti responsabile Area sistemi informativi della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma

LA MODERNIZZAZIONE DEI SISTEMI

La disponibilità di nuove tecnologie e la possibilità da parte degli utenti che operano all’interno delle strutture sanitarie di usufruirne in una maniera diversa possono fare la differenza. Ed è l’area IT, e sono i CIO e i responsabili dei sistemi informativi a dover gestire questo passo in avanti, trovandosi a svolgere un compito diverso rispetto al recente passato. Andrea Proietti Pannunzi, responsabile sistemi informativi dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, parla non a caso di un compito «più stimolante» – spiegando come la digitalizzazione abbia significato l’avvio di un processo di modernizzazione. «Nella nostra struttura disponiamo di una software house interna. La presenza di professionisti si traduce nella capacità diretta di sviluppare applicazioni e sistemi a livello molto avanzato. Tuttavia, molti di questi strumenti sono ormai obsoleti. La modernizzazione dei sistemi, partendo dal ridisegno dei processi è il primo passo della trasformazione: un percorso nel quale siamo ancora immersi. «Parallelamente – prosegue Pannunzi – dobbiamo procedere con la digitalizzazione e l’informatizzazione, non limitandoci a rendere digitale ciò che prima non lo era, ma integrando i processi. Inoltre, dobbiamo garantire che i sistemi digitalizzati siano in grado di scambiarsi i dati senza necessità di intervento umano. Questo aggiunge complessità al panorama tecnologico che dobbiamo affrontare e rende il nostro lavoro più complesso».

Secondo Pannunzi, sarebbe auspicabile una crescita ordinata e strutturata dei sistemi informativi che alimentano la macchina sanitaria, anziché uno sviluppo organico e reattivo che risponde solo alle emergenze, agli obblighi normativi o alle esigenze di personalizzazione dei singoli sistemi. Ciò richiede un approccio più maturo di change management, che non può essere limitato all’IT, ma deve coinvolgere tutta l’organizzazione. «Siamo chiamati a partecipare attivamente al processo di crescita e cambiamento nella sanità» – spiega Pannunzi. «Perché non possiamo pretendere che il medico che svolge un altro mestiere e l’utente finale siano naturalmente inclini al cambiamento. Dobbiamo accompagnarli in questo cammino e lavorare insieme per creare percorsi che conducano effettivamente all’adozione di nuovi strumenti. Cambiare l’interfaccia può generare disorientamento nei clinici, quindi è essenziale prepararli adeguatamente e coinvolgerli nel processo anziché imporre cambiamenti improvvisi. Non sempre riusciamo a farlo, e obiettivamente il tasso di successo attuale non è ancora soddisfacente, ma questo è sicuramente il nostro obiettivo primario» – ammette Pannunzi. «La nostra missione non è solo digitalizzare, ma coinvolgere attivamente tutte le parti coinvolte nel processo di digitalizzazione».

Andrea Proietti Pannunzi responsabile dei sistemi informativi dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma

COME GESTIRE IL CAMBIAMENTO

Fra gli ostacoli più significativi all’adozione di nuove tecnologie nel settore sanitario, la componente economica ha svolto un ruolo predominante, soprattutto in passato, limitando la progettualità a causa di una visione della spesa focalizzata esclusivamente sul concetto di costo anziché di investimento. Quanto le strutture sanitarie italiane sono oggi alle prese con difficoltà legate alla disponibilità di budget dedicati? Francesca De Giorgi, CIO della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, ha inquadrato il tema chiarendo innanzitutto come, a suo avviso, tutti i processi di trasformazione digitale abbiano tre grandi driver: le persone, i processi e la tecnologia. «Probabilmente, l’errore commesso finora è stato quello di concentrarsi troppo sulla componente tecnologica nei progetti di trasformazione, mentre sarebbe stato più sensato focalizzarsi sulla revisione dei processi e, soprattutto, sull’attenzione alle persone, che siano pazienti, clinici o altri utilizzatori».

Un recente studio citato dal Sindacato medici conferma che il 63% dei professionisti si dichiara completamente insoddisfatto dei sistemi digitali utilizzati. Inoltre, l’83% segnala un malfunzionamento quotidiano, mentre il 42% afferma che i disservizi si verificano quotidianamente. Questi dati confermano un problema di fondo che riguarda le soluzioni tecnologiche messe a disposizione degli operatori sanitari. Problema che secondo Francesca De Giorgi è riconducibile a un setting di competenze: «Il chief medical officer e il chief nursing informatics officer sono figure comuni nelle strutture internazionali, ma a livello di Servizio sanitario nazionale invece rappresentano soltanto casi isolati all’interno di singole strutture». C’è quindi un problema di skill nel senso più ampio del termine – rileva De Giorgi. «Nel percorso di studi che fanno i medici e gli infermieri all’estero c’è molta più attenzione alla conoscenza delle tecnologie in uso. E questo può avere un impatto anche sulla definizione del budget».

L’Italia ha un’opportunità senza precedenti grazie alle risorse messe a disposizione dal PNRR. «Risorse che mai avevamo avuto prima come sistema Paese» – commenta De Giorgi. «Se verranno spese correttamente lo vedremo, e me lo auguro perché possano servire alla definizione di un ecosistema. La creazione dello stesso non può prescindere dalla necessaria attenzione che anche gli investimenti sulle tecnologie vere e proprie, in fatto di grandi apparecchiature o apparecchiature molto sofisticate per la genomica o la radionica, debbano essere integrate all’interno del patrimonio informativo dell’ente sorpassando uno scenario a silos non realmente interoperabili.

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Lo scenario che descrive De Giorgi riflette la sensazione condivisa da vari esperti che la vera svolta non sia arrivata, anche in relazione al possibile limite strutturale di approccio ai fondi del PNRR, che non ritiene prioritario e strategico il tema dell’integrazione di tutte quante le fonti informative e che apre il fronte a un ridimensionamento della portata di queste risorse in termini di vero valore aggiunto nella completezza della gestione del dato. «Ciò che manca è una visione di sistema» – conclude De Giorgi. «Mentre in altri Paesi ci si muove sugli aspetti di sanità digitale con un orizzonte temporale di medio termine, vedi la Francia al 2030, coinvolgendo gli attori principali del settore, a partire proprio dai medici, che sono i principali stakeholder, in Italia, purtroppo, è difficile avere orizzonti temporali cosi ampi».

Francesca De Giorgi CIO della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta – Milano

Gestire il cambiamento abilitato dalle tecnologie, in ambito sanitario, non è quindi un compito facile, proprio perché (troppo) spesso la progettualità è subordinata all’emergenza o alla contingenza anziché essere il risultato di pianificazione o visione strategica. Si può dunque parlare a pieno titolo di innovazione attraverso un processo di trasformazione digitale oppure questo rimane un principio buono solo sulla carta? A detta di Akash Lad, responsabile innovazione digitale del Centro Diagnostico Italiano, fare innovazione digitale, soprattutto in questo periodo, è molto complicato perché è necessario portarsi a bordo un po’ tutti gli utenti. A supporto di questa riflessione, Akash Lad porta al tavolo un breve esempio che riguarda la componente medica: «Stiamo finalizzando la digitalizzazione di una cartella specialistica utilizzata presso un reparto. Il processo di digitalizzazione di questa pratica, precedentemente basata su documenti cartacei, si è rivelato impegnativo sia a causa della resistenza al cambiamento che per il fatto che la digitalizzazione comporta vincoli e limiti nell’utilizzo di determinati flussi di lavoro». Uno dei punti chiave – secondo il manager di CDI – riguarda l’opportunità di andare oltre la logica dei silos e coinvolgere nel progetto tutti quanti i reparti dell’azienda, non solo la parte clinica ma anche quella di staff e di qualità, insieme a tutte le figure che ne fanno parte, senza ovviamente dimenticare il paziente. «Torniamo sempre al concetto di mettere il paziente al centro» – osserva Lad. «Tuttavia, questa visione non sempre si traduce in realtà. È necessario compiere grandi progressi per aumentare la consapevolezza dell’utente riguardo ai benefici derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie e dei processi che devono essere gestiti per offrire servizi in modo semplice e immediato. Il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 potrebbe rappresentare un importante punto di svolta in questo contesto».

Akash Lad responsabile innovazione digitale del Centro Diagnostico Italiano – Milano

L’ACCESSIBILITÀ DEI DATI

Anche Fabrizio Alampi, country information officer in Colisée Italia, uno dei più importanti operatori attivi in Italia nell’ambito delle strutture socio sanitarie (RSA) ha un’idea ben precisa di quali siano i punti salienti da mettere in agenda per affrontare un processo di trasformazione digitale. «Il fattore su cui intervenire non è la tecnologia utilizzata quanto il processo che c’è dietro» – spiega Alampi. «Se questo non è adeguato, digitalizzare è un rischio e porta a ulteriore inefficienza. Il nostro compito è di garantire ai direttori sanitari le giuste informazioni nel momento in cui servono ma spesso troviamo ostacoli legati all’accessibilità dei dati, che deve invece diventare una condizione di base sistemica per poter operare in una logica innovativa. Se non riesco a garantire l’accesso alla cartella clinica del paziente e ho fatto spendere un sacco di soldi alla mia azienda per digitalizzarla e renderla interoperabile con il fascicolo sanitario c’è ovviamente un problema. E se non riusciamo a condividere i dati con il mondo esterno è inutile che prendiamo in considerazione una tecnologia come l’intelligenza artificiale, che sarebbe una base dati perfetta».

Fabrizio Alampi, country information officer in Colisée Italia

Il processo di digitalizzazione della sanità è dunque un “work in progress” non privo di ostacoli da superare ma che, rispetto alla situazione di cinque anni fa, prima dell’avvento del Covid, si trova in un contesto radicalmente diverso. Tuttavia, è fondamentale adottare logiche di sviluppo ben definite per garantire il successo di questa trasformazione. Antonio Fumagalli, CIO e CISO della ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha provato a fare un bilancio mettendo in fila alcuni specifici punti e l’esperienza vissuta sul campo proprio nel periodo pandemico. «Se guardiamo all’abitudine molto italiana di lavorare bene nell’emergenza, devo in effetti riconoscere che l’abbiamo gestita a dovere e abbiamo imparato a lavorare in determinate condizioni» – commenta Fumagalli. «Ma per capire se siamo a buon punto nel percorso di trasformazione, e per capire soprattutto dove stiamo andando, dobbiamo necessariamente tornare al tema della pianificazione. Dobbiamo lavorare sulla definizione degli obiettivi strategici e sulle modalità di esecuzione».

Cartella clinica, telemedicina, terapia informatizzata, robotica, intelligenza artificiale, macchinari di nuova generazione sono asset che nella struttura bergamasca non mancano di certo, come non è mai mancato anche il budget di spesa per investire in nuove tecnologie. Ma a fare la differenza – come sottolinea Fumagalli – è la capacità di pianificare e lavorare fianco a fianco con le persone che operano all’interno dell’azienda ospedaliera bergamasca. «Da ormai dieci anni – racconta Fumagalli – seguiamo un approccio in cui sono anche i sanitari a indicare le decisioni relative alle soluzioni informatiche aziendali. Sono loro che “decidono” le sorti di qualsiasi soluzione informatica. Se passiamo oltre queste “forche caudine”, è molto probabile che il nostro piano prima o poi arrivi a compimento».

Antonio Fumagalli, CIO e CISO della ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo

In altre parole, la trasformazione della sanità e il suo miglioramento attraverso l’implementazione di strumenti digitali dipendono in gran parte dal contributo del capitale umano a disposizione. Ascoltare e coinvolgere attivamente coloro che operano sul campo è cruciale per il successo di ogni progetto di trasformazione. Solo attraverso una collaborazione stretta e mirata tra tutti gli stakeholder, possiamo raggiungere una sanità più efficiente, data-driven, centrata sul paziente e pronta ad affrontare le sfide del futuro.

Foto di Gabriele Sandrini


Point of view

Intervista a Jaime Durbàn Diez de la Cortina, business development manager Healthcare EMEA di Milestone Systems: Milestone Systems, ospedali più efficienti e sicuri con le tecnologie video data-driven