Campagne AI-driven, dalle metriche al significato

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Come cambia il valore della pubblicità? Meta punta sull’AI per campagne dinamiche, mentre crescono dubbi su creatività e tutela dei dati. La creatività scalabile ha un prezzo: l’omologazione dei contenuti

Nel 2025, Meta ha annunciato un cambio epocale per il mondo della pubblicità digitale: entro il 2026, le sue piattaforme, Facebook e Instagram, saranno in grado di generare campagne pubblicitarie complete, dalla creatività al targeting, grazie a strumenti avanzati di intelligenza artificiale. La promessa è davvero affascinante. Basterà caricare un’immagine del prodotto, indicare il budget e il sistema farà tutto il resto, generando contenuti visivi e testuali, scegliendo il pubblico giusto e adattando l’annuncio in tempo reale. Una rivoluzione che ha suscitato entusiasmo, ma anche non pochi timori.

OPPORTUNITÀ STORICA PER LE PMI

Una delle prime ricadute positive riguarda proprio le piccole e medie imprese. Fino a oggi, creare campagne pubblicitarie efficaci richiedeva risorse, tempo e competenze specialistiche, non di rado fuori portata per aziende con budget limitati. Grazie all’intelligenza artificiale, artigiani, ristoratori o iberi professionisti potranno lanciare campagne pubblicitarie con qualità professionale, accessibili in pochissimi clic. Questa democratizzazione del marketing rappresenta una possibilità enorme, soprattutto nei mercati emergenti e nelle aree dove il know-how digitale è ancora carente.

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Inoltre, Meta promette che gli annunci potranno essere personalizzati dinamicamente, in altre parole, lo stesso prodotto potrà essere mostrato con uno sfondo innevato a chi vive sulle Alpi o in un contesto marittimo a chi abita in Sicilia, aumentando l’efficacia e la rilevanza della comunicazione. Un nuovo paradigma, insomma, in cui la creatività diventa scalabile e adattiva.

Ma qual è l’altra faccia della medaglia? Il possibile ridimensionamento del ruolo delle agenzie pubblicitarie e dei professionisti del marketing. Se la creatività può essere interamente affidata a un algoritmo, quale spazio rimane per l’intuizione umana, il branding emotivo, la costruzione di un’identità duratura? Le reazioni non si sono fatte attendere, soprattutto su Reddit. Alcuni utenti si interrogano sul futuro di figure come il media buyer o il copywriter digitale, temendo che siano destinate all’obsolescenza. Uno dei commenti più votati ironizza: «Siamo a un passo da bot che creano ads per altri bot. Il futuro della pubblicità sarà solo un circuito chiuso tra AI che vendono ad altre AI».

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Con un approccio più pragmatico, molti vedono in questa rivoluzione tecnologica un’evoluzione inevitabile, per molti versi paragonabile a quella che ha trasformato il mondo della finanza con il trading algoritmico. In questo scenario, il valore umano non scompare, ma si sposta: verso la strategia, l’etica, il controllo qualità e l’interpretazione dei dati prodotti da questi nuovi sistemi intelligenti.

PUNTO DI SVOLTA PER L’ADS

L’introduzione dell’automazione pubblicitaria segna un punto di svolta non solo creativo, ma anche economico. I modelli di business delle agenzie pubblicitarie tradizionali si trovano ora sotto pressione, costretti a ripensarsi in un contesto in cui la produzione di campagne, dalla creatività al media buying, può essere gestita interamente da algoritmi.

I mercati hanno reagito di conseguenza. Alla notizia dell’espansione dell’ecosistema AI di Meta, alcune delle principali holding pubblicitarie mondiali hanno già registrato cali dei propri titoli in Borsa. Tra queste, WPP, Publicis Groupe e Havas, che vedono profilarsi un futuro in cui il valore non risiederà più nell’esecuzione operativa, ma nella supervisione e nell’interpretazione dell’automazione. È plausibile che si assista a una nuova concentrazione di mercato, con i grandi gruppi che si evolvono in “curatori algoritmici”, incaricati di supervisionare e validare il lavoro svolto dalle AI generative. Il ruolo dell’agenzia pubblicitaria, quindi, non scompare, ma si trasforma: da fabbrica creativa a custode della coerenza di marca, dell’etica comunicativa e della qualità del contenuto. Nel lungo termine, le agenzie potrebbero offrire servizi legati all’interpretazione e regolazione degli output dell’AI, sviluppare framework etici o lavorare alla supervisione dei modelli generativi per evitare derive comunicative indesiderate.

La creatività umana non è l’unica dimensione sotto pressione. Anche la privacy degli utenti è tornata al centro del dibattito, innescando un’ondata di preoccupazioni. Come rivelato da un’inchiesta di Fanpage, a partire da maggio 2025, Meta ha iniziato a utilizzare i contenuti pubblicati su Facebook e Instagram – foto, commenti, post pubblici – per addestrare i propri modelli di intelligenza artificiale. In Europa, questa raccolta è soggetta alle rigide normative del GDPR. Meta ha messo a disposizione un modulo per esercitare il diritto di opposizione. Tuttavia, la protezione è parziale: il diniego vale solo per i dati futuri, non per quelli già acquisiti, aprendo una falla sostanziale nel controllo individuale sull’uso delle informazioni personali.

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La questione solleva interrogativi sempre più urgenti: quanto siamo realmente consapevoli del valore dei nostri dati? Quali limiti devono essere imposti a sistemi che apprendono dai nostri contenuti, anche se pubblici? È legittimo che un selfie pubblicato nel 2019 possa essere reinterpretato da un algoritmo nel 2026 per generare una pubblicità personalizzata – o addirittura sintetica – senza consenso esplicito? Nel nuovo ecosistema dell’AI generativa, il confine tra pubblico e privato non è mai stato così sottile.

RISCHIO UNIFORMITÀ E AMBIGUITÀ

L’elemento più visionario della strategia di Meta è il superamento degli “annunci statici” a favore di vere e proprie videocampagne pubblicitarie generate dall’AI. Da un lato, i brand avranno la possibilità di testare centinaia di varianti della stessa campagna, analizzando in tempo reale quali creatività ottengono le performance migliori, in termini di engagement, conversioni e impatto visivo. Un’ottimizzazione continua, basata su dati e algoritmi. Dall’altro, però, questo approccio rischia di portare a un’omologazione creativa. Per quanto ottimizzati, i contenuti generati dall’intelligenza artificiale tendono a convergere su schemi narrativi ricorrenti, sacrificando l’imprevedibilità e l’originalità: due qualità che spesso fanno la differenza nella comunicazione di marca.

L’altro tema critico riguarda la possibilità che i contenuti generati dall’AI, pensati per vendere, finiscano col veicolare messaggi distorti, falsificati o manipolativi. In assenza di controlli efficaci, una campagna automatizzata potrebbe generare annunci fuorvianti, imprecisi, poco etici o persino dannosi. L’integrazione di AI generative nei sistemi pubblicitari deve quindi accompagnarsi a meccanismi di auditing trasparente.

COLLABORAZIONE O SOSTITUZIONE

Il vero dilemma, in fondo, è questo: l’intelligenza artificiale nella pubblicità ci libererà dalla complessità o ci priverà di significato? Perché una campagna efficace non è solo questione di conversioni o metriche di performance, ma anche espressione di identità, valori, estetica, visione culturale.

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Come osserva uno degli utenti più esperti su Reddit, la vera sfida non sarà scegliere tra umano o macchina, ma saper combinare la potenza computazionale dell’AI con l’intuizione creativa e simbolica dell’essere umano. Le agenzie dovranno “orchestrare” l’intelligenza artificiale come strumento, non come sostituto, trasformando gli output algoritmici in narrazioni che emozionano, che restano. Albert Einstein diceva: «La creatività è l’intelligenza che si diverte». Ma se l’intelligenza è artificiale, può divertirsi? E può davvero essere creativa nel senso pienamente umano del termine? Probabilmente no.