Il 2024 si è chiuso con un segnale chiaro: le imprese italiane stanno rafforzando i propri investimenti in cybersecurity, mostrando una consapevolezza crescente sulla necessità di proteggere i dati come asset strategico.
A confermare la tendenza sono i numeri. Nei primi mesi del 2025, il settore ha registrato in Italia una crescita di +37%, trainata da un bisogno concreto di resilienza e continuità operativa (dati Context, presentati a Partner ReeVolution Conference il 15 aprile). Questa evoluzione si accompagna a un cambio di paradigma nell’approccio alla sicurezza informatica. L’integrazione tra sicurezza e cloud si fa sempre più stretta.
Il cloud rappresenta l’infrastruttura abilitante per l’agilità e la scalabilità del business, mentre la cybersecurity è il presidio della continuità operativa. Senza cloud, le aziende non possono concentrarsi sul loro core business. Senza cybersecurity, ogni infrastruttura diventa un potenziale rischio catastrofico. ReeVo nasce con questa missione: offrire un’infrastruttura cloud (nativa e ibrida), sovrana con soluzioni di cybersecurity integrate ed espandibili, pensate per accelerare la trasformazione digitale delle imprese italiane ed europee. C’è un aspetto che va chiarito: spostare il workload nel cloud migliora infatti la sicurezza infrastrutturale, ma non protegge automaticamente né le applicazioni, né le loro informazioni. Per evitare una falsa sensazione di protezione, è essenziale affiancare servizi di sicurezza attiva e gestita.
In questo scenario, cresce anche la domanda di servizi gestiti: +39% su base annua. Il valore percepito si sposta quindi verso provider in grado di gestire in modo proattivo la sicurezza. Prendendo in prestito la frase di Robert Mueller, ex direttore dell’FBI, a prescindere da dimensioni e settore di appartenenza, le imprese si dividono in due categorie: quelle che hanno già subito una violazione e quelle che la subiranno. Per questo la sicurezza deve essere intesa in funzione di prevenzione e reazione, e non solo di protezione. Nonostante la maggiore awareness e il tendenziale cambiamento di approccio, persistono ancora errori strategici. Il pericolo principale è di considerare la sicurezza un centro di costo da minimizzare, più che un investimento a lungo termine. L’errore più comune è sottovalutare il rischio, oppure considerare l’adozione di una singola tecnologia come una soluzione omnicomprensiva. Questa abitudine genera una pericolosa illusione di sicurezza, che spesso porta le aziende ad abbassare il livello di attenzione e a trascurare aspetti fondamentali come la formazione delle persone, i processi di incident response e la governance. La cybersecurity è, e deve essere, un processo continuo e prioritario.
Un antivirus aggiornato e un firewall attivo non rendevano sicura un’infrastruttura qualche anno fa, figuriamoci ora. Semmai, offrono un’illusione di controllo che può diventare il peggior alleato della resilienza. Molte aziende adottano soluzioni di sicurezza in modo frammentato, convinte che basti coprire solo le aree critiche per essere al sicuro. Studi recenti dimostrano che oltre il 60% degli attacchi cyber sfrutta configurazioni errate o componenti trascurati nei sistemi ibridi e legacy. Questo non è un problema tecnologico, ma di governance: quando la sicurezza è trattata come un add-on di pertinenza dell’IT, anziché una funzione trasversale, si abbassa la soglia di vigilanza.
Non è più sufficiente proteggere i propri sistemi, ma è necessario dimostrare la solidità dell’intera supply chain. La direttiva NIS2 introduce un altro cambiamento strutturale, che alza l’asticella. Questo nuovo standard normativo segna una linea di demarcazione netta. Da un lato, le imprese che hanno investito in cybersecurity si trovano in una posizione di forza, capaci di operare nei mercati regolamentati e con clienti enterprise. Dall’altro, chi ha rimandato questi investimenti rischia di essere tagliato fuori.
Se la compliance supera l’adempimento normativo, la sovranità è una scelta strategica per costruire ecosistemi digitali efficienti, coesi e resilienti. Per ReeVo, essere un cloud provider europeo non è una dichiarazione di affermazione geografica, ma un impegno concreto che si traduce in infrastrutture locali, controllate e conformi, abbinate a soluzioni di cybersecurity integrate. Una scelta che consente alle imprese di proteggere i propri dati, rafforzare la continuità operativa e competere con maggiore sicurezza nei mercati anche regolamentati. Questo principio ha guidato il nostro modello di espansione: in ogni paese europeo in cui operiamo, creiamo una legal entity autonoma, con data center locali, personale e certificazioni coerenti con la normativa nazionale. L’integrazione tra resilienza infrastrutturale e difesa attiva è ciò che consente alle organizzazioni di restare operative anche sotto attacco. Perché l’obiettivo non è evitare ogni minaccia – cosa impossibile – ma limitare il rischio ed essere pronti a reagire, ripartendo subito, con danni minimi.
Resistere a un attacco equivale a preservare capitale immateriale – clienti, brand, fiducia – che si riflette sul capitale materiale – impianti, macchinari, immobili, attrezzature, hardware. Oltre all’impatto economico di una violazione – chiaramente visibile e che può essere ingente – un danno altrettanto significativo è quello invisibile: interruzioni nei processi, erosione della fiducia degli stakeholder, blocco dell’innovazione.
Nel bilancio tradizionale di un’impresa, la sicurezza informatica è sempre stata una voce passiva. Una spesa necessaria, certo, ma percepita come costo operativo, simile all’assicurazione: utile solo se qualcosa va storto. In realtà, questo approccio è non solo miope, ma anche economicamente inefficiente. La cybersecurity non funziona come un’assicurazione parziale: se un anello è debole, l’intera catena si spezza. La sicurezza parziale è il nuovo rischio sistemico.
Per passare dalle parole ai fatti, serve una leadership aziendale consapevole, capace di interpretare la sicurezza non come una barriera o un freno, ma come un sistema operativo del rischio, da aggiornare, testare e interiorizzare a tutti i livelli dell’organizzazione.La valutazione continua dei rischi crea consapevolezza. E attuare delle procedure in risposta a quei rischi, obbliga anche le persone a formarsi, salvaguardando il proprio posto di lavoro e la propria vita. Ci sono degli effetti che vanno sulla persona, anche perché molte aziende trattano dati personali che possono essere messi a rischio. Alzando lo sguardo, possiamo dire che la cybersicurezza significa proteggere le persone.
Le aziende che hanno integrato strumenti di sicurezza automatizzata riducono in media del 30% il tempo di rilevazione delle minacce. Questo equivale a settimane di business salvato, a progetti non interrotti, a opportunità non perse. Una violazione pubblica comporta la perdita della fiducia di clienti, partner e investitori. In alcuni settori regolati – come finance, healthcare, utility – può comportare sanzioni, revoca di autorizzazioni o esclusione da gare. La resilienza, quindi, non è solo continuità operativa: è continuità reputazionale. Le aziende che dimostrano responsabilità nella gestione del rischio vengono premiate dal mercato, attraggono talenti migliori, partner più affidabili, investimenti più solidi. Il vero confronto va fatto sui dati economici. Il board non ha bisogno di dettagli tecnici: ha bisogno di sapere quanto costa non essere resilienti, e quanto vale esserlo. Per misurare il ritorno degli investimenti in sicurezza servono nuovi KPI, nuove metriche. Se ribaltiamo la logica, ogni minuto senza attacchi vale utile netto per l’impresa. Ogni giorno senza crisi vale reputazione. E ogni euro investito in sicurezza vale tempo per innovare, crescere e fare business senza paura.
Antonio Giannetto, CEO, e Salvatore Giannetto, presidente di ReeVo