HR data-driven. Il potere dei dati, il valore delle persone

HR data-driven. Il potere dei dati, il valore delle persone

Valorizzare i talenti e accompagnare il cambiamento. Non si tratta più di ottimizzare i processi esistenti, ma di ricostruire modelli e logiche organizzative alla radice. La funzione HR cambia passo e assume un ruolo strategico nella crescita delle imprese

Dalla funzione operativa alla leadership data-driven, l’HR non si limita a gestire processi ma legge scenari complessi, valorizza competenze, accompagna l’organizzazione nel cambiamento. L’intelligenza artificiale accelera questa trasformazione, automatizzando le attività ripetitive e supportando le decisioni che incidono in modo diretto su crescita, engagement e benessere dei dipendenti. I team HR devono imparare a leggere i dati in profondità, metterli in discussione, inserirli nel contesto organizzativo e, soprattutto, saperli usare in modo responsabile. Questa evoluzione richiede equilibrio: tra algoritmi e sensibilità manageriale, tra velocità decisionale e rispetto delle persone.

Deloitte fotografa la profondità della trasformazione in corso. L’ultima edizione della ricerca Global Human Capital Trends 2025”, basata su oltre tredicimila leader aziendali e professionisti HR in 93 paesi, rileva che più del 60% delle organizzazioni ritiene urgente ripensare in modo radicale ruoli manageriali, employee value proposition e meccanismi di engagement per reggere l’impatto combinato di AI, pressione competitiva e cambiamenti del lavoro. Il quadro italiano è ancora più netto: il 78% delle imprese segnala un disallineamento fra competenze disponibili nella workforce e quelle richieste dal mercato, con ricadute dirette su produttività e capacità di attrarre talenti. Un campanello d’allarme che spinge HR e top management a usare analytics e AI – compresa la GenAI – per mappare skill, personalizzare percorsi di sviluppo e riallineare rapidamente l’offerta di valore ai dipendenti. E in prospettiva, anche per ridisegnare il futuro del lavoro, restituendo centralità al potenziale umano.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Aziende e lavoratori stanno infatti attraversando una nuova fase, guidata dallo sviluppo tecnologico e dalla digitalizzazione del mondo del lavoro. L’intelligenza artificiale può diventare un alleato per affrontare questa trasformazione. Tuttavia, l’impatto della tecnologia genera nuove tensioni tra organizzazione e dipendenti. Per affrontare efficacemente queste dinamiche, la leadership è chiamata a trasformare le tensioni in occasioni di crescita e innovazione per costruire un nuovo equilibrio sostenibile.

In questo scenario, il ruolo dei manager assume una nuova rilevanza. Il 64% dei leader italiani (66% a livello globale) ritiene necessario ripensare i ruoli manageriali in chiave strategica, abilitati dall’intelligenza artificiale per spostare il focus dalle attività amministrative ripetitive allo sviluppo delle persone, alla valorizzazione delle competenze e all’adozione di nuovi modelli di lavoro. I manager diventano così orchestratori del cambiamento, capaci di integrare algoritmi e cultura, dati e relazioni. La GenAI abilita questa trasformazione, permettendo una gestione del lavoro più predittiva, personalizzata e basata su insights in tempo reale.

Un altro fronte critico riguarda il gap tra competenze disponibili e ruoli richiesti. In Italia, il divario è particolarmente ampio con uno scollamento registrato nel 78% dei casi, contro una media globale del 43%. Questo disallineamento non riguarda solo la difficoltà di reperire talenti, ma anche l’incapacità dei lavoratori di accedere a esperienze formative significative. Per colmare questa distanza è necessario un cambiamento culturale e organizzativo che passi da un focus rigido sull’esperienza pregressa a un approccio più flessibile, che valorizzi il potenziale, le competenze trasversali e l’apprendimento continuo. In questo processo, l’intelligenza artificiale può offrire un supporto concreto: consente la creazione di programmi di sviluppo mirati e personalizzati (microformazione), la simulazione di scenari realistici, il monitoraggio delle competenze e del potenziale e l’automatizzazione dei compiti a basso valore per liberare tempo da dedicare all’apprendimento. Accanto alle competenze, un altro elemento centrale è la motivazione. Per il 64% degli intervistati italiani, la personalizzazione della motivazione è considerata essenziale per sbloccare la performance umana, migliorare l’engagement, la produttività e la retention. La leadership del futuro dovrà saper ascoltare, interpretare e rispondere alle esigenze individuali in tempo reale.

Anche in questo ambito, la GenAI può giocare un ruolo abilitante, offrendo esperienze su misura per ciascun dipendente grazie all’analisi dei comportamenti, delle preferenze e delle performance. Quando adottate secondo un framework etico e trasparente, le tecnologie generative possono rafforzare il senso di appartenenza e costruire una relazione più equilibrata tra azienda e individuo. Questa evoluzione si riflette anche sulle opportunità di crescita. Per il 64% degli intervistati italiani, l’offerta di valore al dipendente è destinata a cambiare profondamente, spinta dalla crescente collaborazione tra persone e AI. Le organizzazioni dovranno sviluppare proposte coerenti con il nuovo contesto lavorativo: ibrido, aumentato e dinamico. Non basteranno più flessibilità e wellbeing; sarà necessario offrire opportunità di crescita potenziate dalla tecnologia, ambienti inclusivi e modelli di leadership distribuita.

In un contesto di incertezza strutturale, le organizzazioni dovranno quindi bilanciare due esigenze apparentemente opposte: la stabilità richiesta dai lavoratori e l’agilità necessaria per innovare. A livello globale, il 66% degli intervistati evidenzia questa tensione. In Italia, la consapevolezza è ancora più bassa (47%), ma in crescita. È responsabilità dell’HR e del top management definire nuovi modelli di governance in grado di offrire sicurezza psicologica e, allo stesso tempo, stimolare il cambiamento continuo, soprattutto nei settori ad alta intensità operativa come il retail e i servizi. Se da un lato l’intelligenza artificiale promette di essere un alleato strategico per costruire relazioni più sane e vantaggiose tra persone e organizzazioni, dall’altro per realizzare una trasformazione sostenibile nel lungo periodo è necessario un cambiamento culturale profondo. Le persone dovranno imparare a collaborare con l’AI in modo consapevole e responsabile, mentre le organizzazioni dovranno ripensare governance e metriche di valutazione per generare valore condiviso sia per il business sia per gli individui.

Leggi anche:  AI e AI generativa guidano l’aumento degli investimenti tecnologici nel 2025, in particolare negli USA

Una trasformazione di questa portata non può essere lasciata all’iniziativa di pochi: richiede collaborazione sistemica tra chi sviluppa innovazione e chi la traduce in valore concreto. I lavoratori dovranno acquisire nuove competenze e capacità di adattamento, mentre le aziende saranno chiamate a creare ambienti di lavoro in cui l’intelligenza artificiale aumenti – e non sostituisca – il potenziale umano. I dati di Deloitte delineano chiaramente la direzione da intraprendere: integrare AI e umanità, tecnologia e identità, stabilità e adattabilità. Il futuro del lavoro non si costruisce da soli, né in astratto.

TURNOVER SOTTO CONTROLLO

La selezione del personale è uno dei fronti dove l’impatto dell’analisi predittiva è già evidente. «L’applicazione dell’HR Analytics sta evolvendo rapidamente, affermandosi come leva strategica per ottimizzare i processi legati al capitale umano» – spiega Fabrizio Arboresi, senior director di CRIF. «In quest’ambito abbiamo investito in maniera rilevante, sviluppando la nostra People Analytics Suite per rispondere a una domanda chiave: come trasformare i dati HR in insights azionabili a supporto del business? L’utilizzo di strumenti di advanced analytics consente infatti di individuare i candidati più in linea con le competenze realmente richieste, riducendo il mismatch in fase di onboarding e abbassando sensibilmente il rischio di turnover precoce. Inoltre, grazie a modelli statistici avanzati, riusciamo a produrre KPI e indici predittivi capaci di anticipare scenari critici e attivare azioni mirate di early retention».

Una visione condivisa anche da Andrea Langfelder, business development manager Cloud Applications di Oracle Italia. L’analisi predittiva sta trasformando il modo in cui le aziende affrontano i processi di selezione del personale «Uno dei suoi principali vantaggi è la riduzione del turnover, un problema costoso e impegnativo per molte organizzazioni». Con l’integrazione degli Agenti AI nella piattaforma Oracle Cloud HCM, l’approccio si fa ancora più raffinato. «Immaginiamo per un attimo di poter creare un profilo dettagliato del candidato ideale, considerando fattori come competenze, personalità e potenziale di crescita» – spiega Langfelder. «Questo ci aiuterebbe a trovare individui più adatti, aumentando soddisfazione e produttività». E ancora: «Se potessimo prevedere il potenziale successo di un candidato in un determinato ruolo, basandoci su dati storici e pattern interni, potremmo identificare le persone con maggiori probabilità di rimanere e crescere nell’organizzazione, riducendo così i costi associati al turnover». Un impatto economico che Oracle Cloud HCM consente di fare. E non è un dettaglio da poco.

PERCORSI SU MISURA

L’approccio data-driven sta mostrando il suo potenziale trasformativo anche nella costruzione di percorsi di sviluppo professionale personalizzati e allineati ai bisogni di business. «Abilitare percorsi di sviluppo professionale personalizzati richiede un uso intelligente dei dati» – spiega Pablo Pellegrini, business unit manager Enterprise Content & Process Management and BPO di SB Italia. «Analizzare competenze, performance e potenziale consente di costruire un percorso di crescita allineato agli obiettivi aziendali. In quest’ottica, i dati non sono più solo uno strumento di controllo, ma diventano leva strategica per colmare gap, valorizzare talenti e anticipare i bisogni futuri, promuovendo una cultura organizzativa orientata all’evoluzione continua». A supporto di questa visione, la piattaforma Docsweb Digital HR, potenziata da AI-Docs, abilita un ecosistema di dati integrato: performance, training, feedback e potenziale vengono armonizzati per alimentare percorsi di crescita realmente su misura.

Inoltre, in un approccio HR data-driven, i KPI assumono una funzione strategica fondamentale: «Permettono di misurare con precisione e in modo oggettivo l’efficacia delle iniziative in relazione agli obiettivi di business». Grazie all’integrazione di AI-Docs e Docsweb Digital HR, diventa possibile arricchire le dashboard HR con KPI altamente dinamici, basati su insights generati in tempo reale dall’intelligenza artificiale. «Indicatori come il tempo medio per l’acquisizione di una competenza, i tassi di completamento della formazione, l’analisi predittiva di performance e retention, l’engagement sentiment estratto da feedback e contenuti testuali diventano tracciabili e interpretabili in modo rapido ed efficace» – spiega Pellegrini. «I KPI non sono più semplici report statici, ma leve operative proattive per guidare le decisioni e ottimizzare le strategie HR in real-time».

Anche per Arboresi di CRIF, l’integrazione di dati su competenze, valutazioni, performance e obiettivi aziendali abilita percorsi di crescita realmente personalizzati. «Il motore predittivo della suite People Analytics suggerisce strategie di upskilling e reskilling coerenti sia con le aspirazioni individuali, sia con le priorità strategiche dell’organizzazione. Il risultato è una workforce più coinvolta, resiliente e capace di adattarsi con continuità all’evoluzione del business».

Leggi anche:  Perché le aziende (spesso) faticano a trarre un vantaggio dall’AI?

Per Langfelder di Oracle Italia, l’analisi predittiva consente di progettare esperienze di crescita personalizzate, modellate sulle esigenze specifiche di ogni talento. «I dati in ambito HR non mancano. Se combinati insieme attraverso strumenti di analisi predittiva, possono essere sfruttati per creare percorsi di sviluppo professionale personalizzati, allineando le aspirazioni dei dipendenti ai bisogni dell’azienda. Anni fa sembrava utopia, oggi si può». Mappando talenti, valutando performance, competenze e potenziale, le aziende possono identificare con precisione chi è pronto a crescere in nuovi ambiti. «Altro che approccio one-size-fits-all» – commenta Langfelder. «Sfruttando i dati in questo modo, le aziende possono creare una forza lavoro altamente motivata e allineata ai propri obiettivi strategici, riducendo il turnover e aumentando la produttività».

Francesca Olivieri, advisory solution consultant Employee Experience di ServiceNow, pone invece l’accento sull’esperienza del dipendente come parte integrante del processo. «L’abilitazione di percorsi di sviluppo professionale personalizzati richiede un’integrazione efficace di tecnologia, dati e processi, con un focus sull’esperienza dell’individuo e sull’allineamento con gli obiettivi aziendali». La piattaforma digitale integrata di ServiceNow consente di partire dai dati di competenza per mappare le esigenze di crescita e suggerire strumenti come formazione o mentoring, valorizzando i talenti interni. «I dipendenti – prosegue Olivieri – possono contare su un’esperienza utente semplificata, personalizzata, coadiuvata dall’AI, che consente di accedere facilmente non solo a contenuti formativi, ma anche a posizioni aperte o progetti coerenti con le proprie ambizioni, evidenziando eventuali gap e fornendo tempestivamente gli strumenti per colmarli». Ma quali metriche risultano oggi più efficaci per monitorare il benessere organizzativo e misurare l’engagement dei dipendenti? «Dal punto di vista di ServiceNow – spiega Olivieri – il benessere organizzativo e l’engagement si misurano attraverso una serie di indicatori chiave, che permettono di costruire un quadro completo, dinamico e strategico della relazione tra persone e organizzazione». Per farlo, le aziende hanno bisogno di un set di metriche sempre più avanzato.

Al centro, il miglioramento delle performance aziendali, ormai riconosciuto come leva chiave per valorizzare i talenti e allineare le iniziative HR agli obiettivi di business. Ma contano anche altri indicatori – come ci spiega Francesca Olivieri. Dai tassi di retention – termometro di soddisfazione e coinvolgimento – alla progressione di carriera, utile per intercettare segnali di demotivazione. L’utilizzo delle piattaforme di apprendimento diventa un proxy dell’efficacia formativa, mentre la produttività offre una lettura concreta dell’engagement nei ruoli. Non mancano aspetti più qualitativi come il punteggio di usabilità dei sistemi, il riconoscimento continuativo delle performance e la presenza di meccanismi di feedback attivi rappresentano oggi pilastri fondamentali per costruire un’employee experience più solida, ascoltata e in evoluzione costante.

L’integrazione di questi indicatori all’interno della piattaforma ServiceNow consente di raccogliere dati in tempo reale e fornire insights utili a guidare le decisioni HR, migliorando il coinvolgimento e rafforzando la relazione tra persone, tecnologia e obiettivi aziendali. «Concentrandosi su queste metriche chiave – afferma Olivieri – le organizzazioni possono promuovere una cultura del lavoro positiva in grado di supportare sia il benessere dei dipendenti che il successo dell’azienda».

COMPETENZE TRASVERSALI

Quali nuove competenze devono acquisire i professionisti HR per sfruttare al meglio l’HR Analytics e l’AI applicata? «I professionisti delle risorse umane devono ampliare il proprio bagaglio di competenze in diverse direzioni» – risponde Victoria Miraval Fernandez, product management director Payroll & WCM di Wolters Kluwer Tax & Accounting Region South. In primo luogo, devono sviluppare una solida cultura del dato: «È assolutamente necessario saper leggere, interpretare e tradurre i dati in insights utili per il business. Per farlo è fondamentale la conoscenza di strumenti di analisi e visualizzazione, ma anche la capacità di lavorare con modelli predittivi e algoritmi in ottica strategica».

In secondo luogo, servono competenze digitali evolute per dialogare efficacemente con team IT e data scientist: «Bisogna comprendere le logiche dell’AI senza dover necessariamente saper scrivere codici» – afferma Victoria Miraval Fernandez. In Wolters Kluwer Tax & Accounting, l’evoluzione delle soluzioni per l’HR digitale è accompagnata dalla riflessione sulle competenze chiave per affrontare il cambiamento. Tra queste, continuano a rivestire un ruolo centrale le soft skill, come il pensiero critico, la capacità decisionale e la sensibilità etica. «La tecnologia va utilizzata in modo responsabile, valorizzando la componente umana delle organizzazioni. L’HR del futuro sarà un professionista ibrido, capace di unire visione strategica, competenza tecnologica e intelligenza emotiva».

Le competenze trasversali sono fondamentali per cogliere appieno il potenziale di HR Analytics e Intelligenza Artificiale. «Serve innanzitutto una solida cultura del dato intesa come capacità di leggere, interpretare e contestualizzare insights quantitativi, senza perdere di vista il contesto umano e organizzativo» – spiega Pellegrini di SB Italia. «È necessario acquisire familiarità con strumenti digitali avanzati, comprendere le logiche dell’AI e imparare a integrare gli insights nei processi decisionali. Al tempo stesso resta, centrale il pensiero critico e la sensibilità umana, per trasformare i dati in azioni che realmente valorizzino le persone, promuovano l’equità e supportino la cultura aziendale».

Leggi anche:  Chi guida la trasformazione digitale?

L’HCM ALLA PROVA DELL’AI

Se dati sono l’asset più strategico per la gestione del capitale umano, il rispetto della privacy e l’etica nell’utilizzo delle informazioni non possono essere considerati aspetti secondari o meramente normativi. Al contrario, costituiscono la base per costruire il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratori, soprattutto quando l’analisi dei dati tocca aspetti profondamente personali come competenze, comportamenti, aspettative o livelli di engagement. La tecnologia offre strumenti potenti, ma spetta alle organizzazioni saperli governare in modo trasparente, responsabile e conforme ai valori dichiarati. Su questo tema, interviene Francesca Olivieri di ServiceNow. «Per garantire un uso etico e rispettoso della privacy dei dati è necessario adottare un approccio strutturato che includa trasparenza e consenso, minimizzazione dei dati, sicurezza, conformità normativa e un governo chiaro delle informazioni. Bisogna informare chiaramente i dipendenti su quali dati vengono raccolti, come e perché vengono utilizzati, ottenendo un consenso informato e consapevole». La raccolta dati deve essere mirata e proporzionata, con tecniche di anonimizzazione per proteggere l’identità individuale. La sicurezza si deve basare su crittografia, controlli rigorosi e monitoraggio costante per prevenire accessi non autorizzati. L’analisi deve rispettare GDPR e normative locali, includendo valutazioni d’impatto quando necessarie. Fondamentale anche l’adozione di policy chiare che definiscano diritti e responsabilità nell’uso delle informazioni. «Integrando queste pratiche – spiega Olivieri – le organizzazioni possono mantenere alti standard etici e proteggere la privacy dei dipendenti, sfruttando in modo responsabile le potenzialità delle piattaforme di employee experience per l’analisi dei dati».

HR RELOADED

Guardando ai prossimi anni, l’intelligenza artificiale avrà un impatto sempre più profondo sulla trasformazione delle attività HR, andando ben oltre l’automazione di processi operativi come recruiting e gestione amministrativa. Secondo Miraval Fernandez di Wolters Kluwer Tax & Accounting, l’AI sarà utilizzata per analizzare in tempo reale grandi volumi di dati e generare insights predittivi su tematiche strategiche quali benessere organizzativo, performance, retention dei talenti e rischio di turnover. «Prevedo l’emergere di applicazioni sofisticate di AI conversazionale e generativa a supporto della formazione personalizzata, dello sviluppo delle competenze e dell’engagement». Presidio etico e un approccio umano non sono negoziabili: «Il ruolo dell’HR resterà centrale nel garantire trasparenza, inclusione e responsabilità nell’uso di dati e algoritmi, perché l’equilibrio tra intelligenza artificiale e umana sarà la chiave del cambiamento».

In linea con questa visione, Fabrizio Arboresi di CRIF evidenzia come l’AI stia diventando sempre più pervasiva: dai chatbot che accompagnano l’employee journey ai modelli predittivi per la mobilità interna, fino all’analisi semantica in tempo reale di survey e feedback. «A fronte di queste opportunità, emergono però sfide significative legate alla qualità e governance dei dati, alla trasparenza degli algoritmi e all’integrazione con i sistemi IT esistenti». Per rispondere a queste esigenze, CRIF ha sviluppato una suite analitica pensata non solo come supporto per la funzione HR, ma come strumento in grado di favorire sinergie tra IT, persone e strategia aziendale.

Anche Pellegrini di SB Italia prevede l’evoluzione verso soluzioni AI predittive e personalizzate per la selezione del personale, capaci di valutare soft skill e potenziale, facilitare percorsi di sviluppo su misura e anticipare fenomeni come turnover e skill gap: «L’HR diventerà sempre più strategico, guidato da dati e insights in tempo reale». SB Italia affianca le aziende con soluzioni digitali che integrano intelligenza artificiale, come AI-Docs, e piattaforme per digitalizzare l’intero processo HR come Docsweb Digital HR. «Questi strumenti permettono di trasformare i dati in leve strategiche per ottimizzare i processi, anticipare i bisogni organizzativi e costruire percorsi di crescita personalizzati, favorendo così la trasformazione dell’HR da funzione operativa a funzione predittiva e data-driven, mantenendo al centro le persone».


Sistemi e Peoplelink, l’alleanza tra software factory e HR tech