AI senza padronanza del dato? Una corsa costosa su basi fragili. Qlik: «Ogni dato ha senso solo nel suo contesto. E non esiste un set valido per tutti»
L’ultimo annuncio di prodotto, Trust Score for AI, rende bene l’idea di come Qlik stia interpretando le esigenze di molte aziende impegnate ad adottare e scalare l’intelligenza artificiale nei processi operativi e di business, mettendo a disposizione strumenti per monitorare in modo chiaro e quantificabile l’affidabilità dei dati in base ai carichi di lavoro dell’AI.
In altre parole, soluzioni che mettono al centro l’affidabilità e la tracciabilità del dato, prerequisiti indispensabili per rendere efficace ogni progetto legato all’impiego delle tecnologie generative e di quelle agentiche.
DATI AZIONABILI
Il concetto è ribadito anche da Giorgio Dossena, senior presales manager di Qlik per l’Italia, che conferma come vi sia una sorta di dicotomia di approccio delle imprese. «Oggi vediamo un’attenzione spasmodica verso l’AI generativa, ma spesso ci si dimentica che alla base ci devono essere dati ben governati e di qualità. E la recente disponibilità di Trust Score for AI va nella direzione di misurare in modo oggettivo l’affidabilità dei dati utilizzati nei processi di intelligenza artificiale: non si tratta quindi di offrire solo una valutazione qualitativa, ma di capire se il dato è davvero pronto per essere usato in contesti critici».
Il software di Qlik opera lungo l’intero ciclo di vita del dato, non solo nella fase finale di utilizzo: definisce regole efficienti per armonizzarlo, qualificarlo e ripulirlo, adattandosi all’architettura IT esistente e integrandosi in piena continuità con le piattaforme di data management già in uso, garantendo piena interoperabilità.
END-TO-END INTELLIGENCE
Ogni azienda che intende avviare un progetto di AI dovrebbe quindi partire da una base operativa solo in apparenza scontata: dati buoni e una data platform adeguata. «Molto spesso si parte dall’attico – precisa Dossena – e si dimenticano le fondamenta, che nel caso di un progetto di intelligenza artificiale sono una governance e un’architettura di dati corretta. L’AI non parla solo al controllo di gestione o al marketing, ma il suo valore reale si sprigiona quando le sue capacità sono impiegate fin dalla generazione del dato, nel suo allineamento e nella sua contestualizzazione». L’approccio di Qlik incarna una visione end-to-end che abbraccia l’intero processo di gestione del dato dall’acquisizione alla trasformazione, dal controllo all’analisi. Per essere realmente efficace, l’AI applicativa richiede solide basi di governance, qualità certificata e una profonda conoscenza del contesto d’uso.
IL DOMINIO DI ESISTENZA
«La leva competitiva è il dominio del dato» – sottolinea il manager. «Ogni organizzazione dispone ormai di una base dati, spesso ampia ma eterogenea. La sfida non è raccoglierne di più, ma saper selezionare e utilizzare quelli realmente pertinenti al contesto e agli obiettivi di business» – spiega Dossena. «Senza una piena padronanza del dato e della sua origine, il rischio è avviare progetti su fondamenta fragili, con l’effetto collaterale che l’AI generi output poco affidabili o del tutto fuorvianti». La questione è tutt’altro che teorica, soprattutto quando si affrontano temi come i bias nei modelli generativi. Come ricorda Dossena, non esiste un dato «giusto e valido» in assoluto. Non esiste una base dati universale. È il caso d’uso a modellare la base dati, non il contrario. «Ogni scenario richiede un set di dati adeguato, tracciabile e aggiornato: ciò che funziona in un caso d’uso può essere del tutto inadatto in un altro. Il compito dell’azienda è assicurarsi di disporre dei dati rilevanti e degli strumenti per organizzarli, addestrare i modelli e recuperarli nei tempi necessari – tempi che cambiano radicalmente da un’azienda telco a una struttura sanitaria».