L’impatto dell’AI sui CIO: più (non meno) tecnici e più orientati al business

Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager & Partner di Axiante, esamina l’evoluzione delle competenze e delle responsabilità di questa figura chiave, analizzandone le implicazioni

L’intelligenza artificiale sta accelerando una trasformazione del ruolo del Chief Information Officer (CIO); funzione che è – e sarà – sempre più chiamata ad ampliare il proprio profilo tecnico e la propria area di azione dai sistemi informativi al business.

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Queste tecnologie stanno infatti segnando un punto di svolta epocale nelle aziende chiamandole non solo a implementare nuove soluzioni ma anche a ripensare radicalmente come operano e sviluppano il proprio business.

L’AI si sta già rivelando un driver centrale per la crescita delle imprese sia in termini di produttività che di competitività, e non solo di riduzione di costi. Di conseguenza nelle organizzazioni più mature nell’adozione dell’AI, i CIO stanno già lavorando in stretta sinergia con i colleghi delle altre aree: vendite, marketing, HR, operations, etc.

L’illusione dell’auto-gestione

Negli ultimi anni, molti esperti ritenevano che l’intelligenza artificiale avrebbe reso il ruolo del CIO meno tecnico, prevedendo un’evoluzione di queste tecnologie verso una quasi completa autogestione. Tuttavia, sta accadendo esattamente l’opposto.

L’AI porta infatti con sè una complessità senza precedenti che richiede ai direttori informatici competenze tecniche più profonde, non certo minori. Questa funzione deve, per cominciare, capire come funzionano le architetture per innovazioni come il machine learning o l’AI agentica, deve saper valutare la qualità dei dataset, deve comprendere i rischi specifici dei modelli AI.

L’intelligenza artificiale non è infatti solo “un altro software” da implementare: cambia il modo in cui si progettano le infrastrutture, richiede nuovi approcci alla governance dei dati, introduce categorie di rischio completamente inedite, democratizza l’utilizzo della tecnologia e molto altro, introduce nuovi vincoli di compliance. Chi guida il reparto IT deve avere pertanto le competenze tecniche per governare tutto ciò.

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Inoltre, le soluzioni AI devono integrarsi con sistemi legacy esistenti, spesso molto datati, soprattutto nel nostro Paese. Questo significa che il CIO deve saper orchestrare ecosistemi ibridi dove tecnologie anche degli anni ’80 dialogano con le attuali, molto più evolute; una sfida che richiede forti competenze architetturali.

Oltre la tecnologia

In sintesi, l’AI non sta riducendo le complessità tecniche, anzi le sta amplificando e lo farà in maniera crescente, richiedendo ai CIO la capacità di saperle valutare e gestire. Ma nello stesso tempo queste tecnologie rendono indispensabile anche una visione strategica e di business. In altre parole, non è più sufficiente sapere come funzionano le soluzioni, serve altresì sapere come rivedere completamente i processi, le procedure aziendali e modelli di business grazie a esse.

L’implementazione dell’intelligenza artificiale più di ogni altra tecnologia può generare un impatto diretto sui costi, sui ricavi, sulle modalità operative e decisionali, sul sentiment dei dipendenti e sull’esperienza del cliente. È quindi evidente che i CIO potranno sempre meno ragionare esclusivamente in termini tecnici perché il loro compito non è più solo quello di implementare e manutenere i sistemi informatici ottimali dal punto di vista tecnologico ma anche di adottare l’AI in modo da generare valore per l’azienda.

Per farlo questa mansione è chiamata a collaborare per individuare obiettivi strategici fondamentali: quali procedure automatizzare? Quali processi decisionali alimentare con l’AI? Come cambiare l’organizzazione del lavoro? Come migliorare l’experience dei clienti? Quali canali o modalità di servizio esplorare? Queste decisioni non possono essere prese solo con una mentalità tecnica né escludendo i CIO che però devono necessariamente possedere anche una conoscenza degli obiettivi aziendali, del business, delle sue dinamiche, del mercato, dei clienti, etc.

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L’AI genera insight e opportunità strategiche per lo sviluppo e la competitività aziendale che i CIO devono aiutare a tradurre concretamente. Devono dialogare con i colleghi come con il board parlando il linguaggio dei ricavi, dei margini, dell’esperienza cliente, non più solo quello dei server e degli algoritmi.

Quali implicazioni?

Questa evoluzione comporterà una partecipazione più attiva dei CIO alla definizione degli obiettivi aziendali ma stimolerà anche una maggiore agilità nell’adozione di innovazioni nelle organizzazioni e una governance IT più aperta alle esigenze di business.

Inoltre segnerà probabilmente una evoluzione anche degli organigrammi dei reparti IT con lo sviluppo di figure come il Chief AI Officer o il Chief Innovation Officer per venire in contro alla necessità di competenze da un lato più tecniche, dall’altro più orientate al business.

Ancor prima, renderà necessario un up-skilling tecnologico e culturale degli attuali Chief Information Officer, processi complessi alla luce anche delle comuni resistenze al cambiamento, ma indispensabile affinché i CIO non solo siano in grado di liberare le massime potenzialità dell’AI ma soprattutto possano affermarsi come mansione non più solo tecnico-operativa.

L’impatto dell’AI rappresenta infatti l’opportunità per i CIO di emanciparsi definitivamente dalla tradizionale connotazione del proprio ruolo, spesso percepito come funzione meramente di supporto, per emergere come figura manageriale centrale per lo sviluppo aziendale.