L’integrazione dei dati è il passaggio chiave tra rilevazione e comprensione. Denodo, il valore dell’AI generativa inizia dai dati, non dagli algoritmi
Mentre l’intelligenza artificiale generativa catalizza l’attenzione del mondo enterprise, i dati restano il vero nodo strategico. A sostenerlo è Andrea Zinno, data evangelist di Denodo, che invita a spostare il focus sull’essenza concettuale dell’integrazione dei dati. «Non è una sfida tecnologica, ma un’avventura semantica» – afferma l’esperto. «Non dobbiamo vincere contro la complessità della tecnologia, che ormai ci consente di fare tutto». L’obiettivo è un altro: «Ritrovare il senso autentico del dato, comprenderne il valore e il perché della sua integrazione all’interno dei sistemi aziendali».
LA TRASFORMAZIONE CONCETTUALE
Una visione che Zinno interpreta con lucidità: «L’integrazione dei dati nasce come esigenza tecnologica, ma se ci si limita a questo, si perde di vista la sua ragione d’essere. Per anni, tanto i provider quanto gli utenti finali hanno trascurato il motivo per cui si fa integrazione: osservare il contesto in cui si opera – che sia un’azienda o una pubblica amministrazione – raccogliere ciò che davvero conta e analizzarlo per rendere i processi più intelligenti ed efficienti». Un messaggio forte, che punta a rimettere al centro il valore semantico dei dati, abbandonando una visione meramente tecnica. Zinno chiarisce infatti come i dati rappresentino «gli occhi digitali» con cui le organizzazioni osservano il proprio contesto, partendo dal presupposto che – «guardare è un atto fisico, mentre vedere è un’attività concettuale e significa riuscire a mettere insieme stimoli per creare una rappresentazione coerente della realtà».
MODELLO SEMANTICO UNIFICATO
In questa prospettiva, l’integrazione dei dati è il passaggio chiave tra rilevazione e comprensione, proprio perché la qualità semantica del dato è spesso trascurata. «Se un dato rappresenta male la realtà, non c’è precisione o pulizia che tenga, perché non riuscirò comunque a vedere tutto ciò che conta» – spiega l’evangelist di Denodo. «La nostra proposta – sottolinea Zinno – è fortemente incentrata su un modello semantico unificato, in grado di definire in modo accurato il significato dei dati e di catturare la dualità del dato fra elementi oggettivi e soggettivi, riconoscendo il valore di entrambi. Chi “guida l’auto” – il business user – non deve conoscere in modo approfondito le caratteristiche tecniche del “motore”, ma sa che può affidarsi ad esso per accelerare e tenere la strada. E chi lavora “sotto il cofano” – il data steward – deve avere in mano strumenti affidabili per configurare tutto al meglio».
GOVERNANCE, SEMPLICITÀ, FIDUCIA
La vera barriera all’adozione pervasiva dell’intelligenza artificiale, degli strumenti generativi e degli agenti AI in azienda non è tecnologica, ma culturale e organizzativa. «Il cambiamento genera resistenza, soprattutto tra chi da anni opera secondo abitudini operative e schemi consolidati» – osserva Zinno. Per questo è fondamentale il ruolo di ambasciatori interni: figure capaci di credere nel nuovo approccio e diffonderlo attraverso una contaminazione positiva. Ma c’è un ulteriore elemento chiave, spesso sottovalutato: la governance. Non un corollario, ma il cuore dell’orchestrazione dei dati. In contesti sempre più distribuiti e collaborativi, è necessario stabilire un livello centrale di gestione per definire quali dati possano essere condivisi, con chi e secondo quali modalità. «Tutti parlano di data governance – commenta Zinno – ma senza un significato condiviso del dato, è impossibile costruire regole efficaci. È qui che entra in gioco il modello semantico: uno strumento essenziale per garantire che ogni informazione sia usata correttamente da chi ne ha diritto e responsabilità». In altre parole, se l’AI generativa è destinata a produrre reale valore per il business, questo potenziale si sprigiona solo a partire da dati significativi, coerenti, ben modellati e accessibili.