A cura di Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante
Le imprese sono ancora concentrate sull’integrazione dell’AI nei processi aziendali, tuttavia si profila all’orizzonte un utilizzo più sofisticato di queste tecnologie: quello di analista organizzativo in grado di leggere in profondità l’operatività quotidiana e proporre modifiche strutturali basate sui dati reali, non sui processi formali.
Divario fra processi ufficiale e reali
Il punto di partenza di questa evoluzione è una realtà che molti CIO conoscono bene quando devono affrontare la Digital Transformation: questi progetti vengono pianificati sui processi aziendali ufficiali, ma lo svolgimento effettivo delle attività all’interno dell’organizzazione segue spesso percorsi diversi, dettati da necessità pratiche, urgenze operative o semplicemente abitudini consolidate.
L’intelligenza artificiale, attraverso l’analisi di pattern comportamentali e flussi di lavoro reali, può mappare queste discrepanze, assumendo così un ruolo diagnostico e consulenziale: analizzando volumi massivi di dati operativi può infatti rilevare divari tra procedure formali e pratiche effettive, trasformandosi non solo in uno specchio fedele dei flussi operativi ma soprattutto in un consulente organizzativo.
Tre direzioni di sviluppo
Va premesso che siamo di fronte a un utilizzo dell’intelligenza artificiale ai primi passi in cui si stanno esplorando principalmente tre modalità applicative. La prima riguarda la rilevazione dei gap organizzativi: l’AI mappa i flussi di lavoro effettivi analizzando email, sistemi gestionali e interazioni digitali, evidenziando dove le procedure ufficiali divergono dalla realtà e facendo emergere esigenze, anche critiche, dei dipendenti ancora non formalizzate.
La seconda direzione è il raggruppamento intelligente delle attività: le tecnologie AI identificano correlazioni nascoste tra task apparentemente disconnessi, suggerendo coordinamenti basati su competenze condivise, successione temporale o complementarità di risorse per creare sinergie operative.
Infine, la scoperta di competenze latenti: attraverso l’analisi per esempio di chi risolve realmente i problemi e chi viene consultato, l’AI può far emergere skill non formalizzate o indicare quelle necessarie per migliorare le performance aziendali.
L’infrastruttura tecnologica necessaria
Dal punto di vista tecnologico, questo scenario richiede un ecosistema sofisticato basato su tre pilastri, a partire dal Process Mining: attraverso algoritmi di machine learning e l’AI, questa tecnologia analizza i log degli eventi digitali generati dai sistemi aziendali (ERP, CRM, database) per ricostruire automaticamente i processi reali, misurando performance, verificando la conformità rispetto ai modelli teorici e identificando deviazioni, inefficienze e colli di bottiglia che sarebbero impossibili da rilevare manualmente.
L’Organizational Network Analysis (ONA) costituisce il secondo pilastro, utilizzando algoritmi di AI per analizzare metadati di comunicazione (email, messaggistica, calendari) e mappare le reti di relazioni che si formano spontaneamente nell’organizzazione, identifica ruoli informali, esperti nascosti, ponti comunicativi tra team e competenze non documentate nelle job description ufficiali.
Il Natural Language Processing (NLP) funge invece da tecnologia abilitante trasversale: comprendendo e interpretando il linguaggio umano, estrae informazioni da testi non strutturati, classifica automaticamente comunicazioni e documenti, analizza sentiment e tono emotivo, identifica topic ricorrenti e rileva expertise dalle discussioni tecniche, utilizzando modelli avanzati per una comprensione sofisticata.
Tutto questo richiede ovviamente architetture data-driven capaci di integrare e processare in tempo reale volumi molto elevati di dati eterogenei e provenienti da fonti diverse, mantenendo standard rigorosi di sicurezza e privacy conformi al GDPR, cruciali per proteggere sia i dati strategici dell’organizzazione che le informazioni sensibili dei dipendenti, garantendo anonimato, controlli di accesso granulari e audit trail completi.
In questo ambito quindi l’AI non si limita all’analisi storica ma abilita capacità predittive e prescrittive, prevedendo problemi futuri nei processi, suggerendo ottimizzazioni basate su evidenze, simulando scenari alternativi e apprendendo continuamente dai nuovi dati per trasformare le informazioni operative in intelligenza strategica azionabile.
Il fattore umano resta centrale
La preoccupazione che l’AI possa “prendere il controllo” dei processi decisionali è legittima ma va evidenziato che l’obiettivo di questo impiego dell’AI non è delegare il giudizio e la decisione, bensì costruire un modello di collaborazione uomo–macchina nella direzione di potenziare la capacità analitica e decisionale delle persone, non di sostituirla.
In questo contesto, la supervisione umana diventa una componente imprescindibile: comitati interdisciplinari composti dai manager, professionisti IT e dal tema HR dovranno valutare sistematicamente gli insight generati dall’AI per distinguere le segnalazioni strategiche da quelle marginali o persino legate a dati parziali.
L’obiettivo non sarà tanto “seguire” i suggerimenti dell’AI, quanto sfruttarne le potenzialità come catalizzatore di una più profonda consapevolezza organizzativa, capace di far emergere conoscenza tacita, migliorare la collaborazione e orientare il cambiamento su basi oggettive.


































