Axiante ricorda la centralità dell’uomo nell’uso di una tecnologia che, da sola, non può portare al successo
L’IA ha superato il ruolo di semplice innovazione, affermandosi come il motore fondamentale che sta ridefinendo il panorama aziendale globale, toccando ogni funzione, dalla strategia al servizio operativo. L’adozione su vasta scala ha innescato una serie di cambiamenti che non si limitano a ottimizzare i processi, ma a ridefinire le interazioni tra i dipartimenti e le professionalità di un’organizzazione. L’IA sta cementando una concreta sinergia tra marketing e vendite, attraverso l’iper-personalizzazione e il lead scoring avanzato. Questo pone sempre più al centro del business l’ottimizzazione della supply chain e delle operations per una maggiore efficienza operativa. Ma non solo: è merito dell’IA la rapida modernizzazione del finance, in particolare nella gestione del rischio (come il rilevamento di frodi) e nell’analisi predittiva dei flussi di cassa. Uno switch che non è esente da sfide etiche, tecniche e culturali, oltre che economiche: l’IA richiede investimenti per assicurarsi un vantaggio competitivo sostenibile nel prossimo decennio.
Al di là della mera tecnologia, l’IA ha un pregio che non molti vedono: il superamento dei silos che da sempre frammentano le aziende. “L’intelligenza artificiale sta introducendo un livello di coordinazione interfunzionale senza precedenti, dando vita a quella che potremmo definire un’intelligenza collettiva aziendale”, spiega Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager di Axiante. “È così che si concretizza il RevOps – le revenue operations – un paradigma in cui marketing, vendite e customer success operano in sinergia per massimizzare il valore del cliente”. Il manager aggiunge: “Un esempio sono le campagne di fidelizzazione nel retail: attività che tradizionalmente richiedevano il coordinamento – spesso faticoso – tra marketing e vendite, oggi possono essere orchestrate in modo automatizzato e fluido. L’IA non solo elimina le ridondanze, ma dissolve i confini tra le funzioni aziendali, creando un ecosistema integrato”.
Un altro esempio è la previsione della domanda, che non è più conseguenza di un processo periodico. “Non parliamo più di reporting trimestrale o mensile, ma di un’attività sempre attiva che incrocia in tempo reale dati storici, trend di mercato e comportamenti personalizzati dei singoli clienti”, prosegue Gubian. “Il risultato è una visione predittiva affidabile sulla probabilità della domanda, che guida le decisioni momento per momento”. Questo approccio elimina alla radice sia i silos funzionali che la rigidità della sequenzalità tradizionale, quel classico passaggio a staffetta tra reparti che comunicano a singhiozzo. “Il RevOps diventa un organismo vivo: dinamico, adattivo e costantemente alimentato dai dati. Non aspetta più che le informazioni arrivino, le intercetta e le metabolizza in continuazione”.
In ogni nuovo scenario aperto dall’IA, Gubian ci tiene a precisare che “cambia il modo di fare le cose, non chi le fa”. Una posizione molto chiara nell’esprimere il concetto, spesso ricorrente, dell’IA che non può sostituire gli esseri umani ma può supportarli. “Il processo più ad alto valore non sarà mai delegato ad un software. Alcuni ruoli dovranno essere coinvolti in un upgrade delle competenze dal momento che l’IA rende possibile automatizzare le operazioni ricorrenti; tempo e risorse che potranno essere dedicate ad attività a maggiore valore aggiunto”.
Cambiare le regole della catena
Anche le operations possono trarre un concreto vantaggio dalle soluzioni di IA. “Aiuta, velocizza, ma senza distogliere lo sguardo dalla centralità dell’uomo. Basti pensare alle crisi socioeconomiche e politiche degli ultimi anni. Se delegassimo le decisioni del futuro su dati storici dell’ultimo decennio, l’IA non potrebbe, facilmente, fornire risposte che prendano in considerazione momenti di rottura dello status quo, dal Covid alla guerra in Ucraina”. La linea da seguire è simile nel finance. “Qui il rischio è soprattutto quello dei bias, che possono negare la concessione di un mutuo o di un finanziamento”. Questi limiti sollevano una domanda cruciale: ci sono elementi che solo una comunicazione ‘umana’ può cogliere e gestire? La risposta è affermativa, e questo ridimensiona l’utilità dell’IA quando si presume di poterla usare indiscriminatamente per tutto e nel tempo. Diventa quindi fondamentale un approccio metodico e consapevole. “Il lavoro dei modelli deve essere rivisto, aggiornato, migliorato, partendo da informazioni solide e pulite. Alimentare l’IA vuol dire poggiare le soluzioni su dati aggiornati, all’interno di un ciclo continuo di ottimizzazione degli algoritmi”
Ci sono posizioni nelle aziende che devono essere adibite ad accompagnare non tanto l’adozione dell’IA ma un modo corretto di approcciarne l’idea stessa. “È più una questione culturale che tecnologica. Strumenti e tecnologie nuove non possono essere gestite con le modalità precedenti. Le organizzazioni che non colgono questo passaggio si troveranno in difficoltà nel trarre il meglio dai progetti di intelligenza artificiale. Va bene sperimentare ma bisogna farlo con un’alta probabilità di successo”. Axiante lavora proprio per rendere più fluido e consapevole il processo che precede l’attuazione di un progetto di IA. Il manager di Axiante precisa: “Il punto di partenza è un’analisi accurata del contesto aziendale esistente: mappare i processi attuali, identificare le inefficienze, comprendere la maturità digitale dell’organizzazione e valutare la disponibilità e la qualità dei dati. Solo dopo questa fase diagnostica è possibile determinare se e dove l’intelligenza artificiale possa generare benefici reali”. Inoltre è importante considerare che non tutte le situazioni o contesti giustificano un investimento in IA: “Serve valutare il rapporto costi-benefici, considerando non solo l’implementazione tecnologica ma anche il change management e con precisione dove e come l’IA si inserirà nella strategia aziendale.
Ma c’è una pre-condizione fondamentale per Gubian: la chiarezza su cosa sia realmente intelligenza artificiale e cosa non lo sia. “Troppo spesso si etichetta come “IA” qualsiasi automazione o sistema digitale, creando aspettative irrealistiche e distorcendo le priorità di investimento. L’esempio lampante è il machine learning: rappresenta un insieme di tecniche statistiche che permettono ai sistemi di apprendere pattern dai dati e fare previsioni, ma opera attraverso correlazioni matematiche e ottimizzazione di parametri, non è IA in senso stretto”.
Al di là degli aspetti etici, il manager di Axiante evidenzia quindi l’importanza di partire proprio da questi assunti per ridimensionare un eccesso di entusiasmo e privo di un adeguato orientamento ai fini del business. Comprendere cosa l’IA può e non può fare, distinguere tra capacità reali e percezioni amplificate o distorte, è il prerequisito per ogni implementazione di successo all’interno delle imprese.


































