Unified commerce, AI diffusa e nuovi modelli esperienziali ridisegnano il retail e la GDO: il mobile diventa il primo canale d’accesso, la sostenibilità guida gli acquisti e il negozio fisico torna hub dell’ecosistema. Ma solo chi supera il debito tecnologico può trasformare l’AI in valore: il 60% delle aziende non ci riesce
Nonostante la persistenza di incertezze economiche globali, dal rincaro dei prezzi alla carenza di manodopera, il settore retail guarda al futuro con ottimismo. Il motivo? La fiducia nel potere trasformativo della tecnologia, in particolare dell’intelligenza artificiale generativa, vista come il motore per sbloccare le operations, affinare i processi e creare esperienze cliente sempre più personalizzate. Tuttavia, l’AI non è una soluzione plug-and-play. Il suo successo è vincolato a un concreto “rewiring” architetturale. I risultati più significativi e misurabili provengono da chi ha avuto il coraggio di affrontare il “debito tecnologico” e di ripensare il dato alla base, partendo dalla data strategy. Il “ricablaggio” strategico si articola intorno ad alcuni pilastri fondamentali: la digitalizzazione dei processi, una vera omnicanalità operativa, la personalizzazione su vasta scala e l’integrazione della sostenibilità. Gli investimenti tecnologici devono convergere per supportare la completa fusione dei canali di vendita e interazione.
L’analisi del panorama di investimento dei C-level rivela inoltre una dinamica peculiare: il paradosso dell’investimento AI. Sebbene i chief officer esprimano grande entusiasmo per il potenziale della tecnologia nel generare centinaia di miliardi di valore, l’efficacia di questi modelli avanzati non può essere garantita se gli algoritmi operano in isolamento e se i dati non sono coerenti, governati e integrati. L’investimento prioritario non risiede soltanto nei modelli AI, ma deve concentrarsi sulla costruzione di un ecosistema che, dal data management all’architettura dati, garantisca continuità e solidità. Un ecosistema che combina infrastrutture di raccolta dati in tempo reale, come RFID e IoT, con piattaforme cloud unificate.
DAI NUMERI ALLA REALTÀ
La generative AI sta rapidamente passando dalla fase dell’entusiasmo a quella dei numeri. E i numeri, come mostra il rapporto McKinsey, delineano un cambiamento di scala paragonabile alle grandi rivoluzioni industriali. McKinsey stima che l’adozione dei modelli generativi possa generare un valore compreso tra 2.600 e 4.400 miliardi di dollari all’anno, solo considerando 63 casi d’uso già identificati. Se si includono gli effetti sull’automazione della forza lavoro, il potenziale sale fino a 7.900 miliardi di dollari, un valore superiore al PIL di molte grandi economie mondiali.
Per i grandi retailer, la spinta della generative AI potrebbe tradursi in un aumento dei margini operativi tra il tre e il cinque per cento. A fare la differenza sono una supply chain più dinamica, campagne promozionali calibrate con maggiore precisione e una gestione dell’assortimento più efficiente, in grado di ottimizzare ogni centimetro di scaffale. Secondo l’analisi, il 75% del valore potenziale dell’AI generativa si concentra in due aree chiave: customer operations, dove l’automazione riduce i tempi di attesa e migliora drasticamente il servizio; e marketing & vendite, grazie alla capacità di produrre contenuti personalizzati e campagne di marketing più mirate ed efficaci. Il rapporto chiarisce un punto ancora troppo sottovalutato: il valore non si manifesta automaticamente. Per cogliere l’opportunità servono infrastrutture dati solide, competenze adeguate, governance e una strategia di cambiamento. In assenza di queste condizioni, la generative AI rischia di generare più complessità che benefici. Il potenziale stimato da McKinsey – come sottolineano gli autori – è conservativo, perché non considera la possibilità che la generative AI possa abilitare nuovi modelli di business o prodotti ancora inesistenti.
RETAIL 5.0
In questa nuova fase, la tecnologia non è più un supporto operativo, ma il catalizzatore che ridefinisce radicalmente l’esperienza di acquisto e l’intera catena del valore. L’obiettivo strategico si è spostato dalla semplice generazione di insights basati su modelli predittivi alla decisione autonoma. Il Retail 5.0 segna l’ingresso in una nuova fase in cui l’intelligenza artificiale – generativa e non – si fonde con l’infrastruttura fisica dei negozi. Questa convergenza impone un’integrazione sempre più stretta tra le operazioni in tempo reale e le tecnologie sul campo, dall’IoT ai sistemi RFID, che diventano il punto di raccordo tra il mondo fisico e l’intelligenza algoritmica.
Secondo lo studio “Experience is everywhere” di PwC, il 73% delle persone indica l’esperienza cliente come il principale fattore nelle decisioni di acquisto. PwC aggiunge che, a parità di prezzo e qualità, l’esperienza percepita può dare un “price premium” fino al 16% e aumentare la fedeltà al marchio. Questo dato rivela quanto sia fondamentale per le aziende ripensare radicalmente il proprio approccio al mercato, trasformando ogni punto di contatto in un’opportunità per costruire relazioni durature. L’intelligenza artificiale emerge come il vero protagonista di questa trasformazione, non più relegata al ruolo di semplice supporto tecnologico, ma “orchestratore” strategico che anticipa i desideri, interpreta i comportamenti e personalizza le interazioni. I retailer più avanzati stanno integrando l’AI in ogni fase del customer journey, dalle raccomandazioni personalizzate alla gestione predittiva delle scorte, fino all’ottimizzazione delle campagne marketing.
Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, l’adozione dell’AI da parte delle aziende retail e della GDO sta registrando una forte accelerazione. I sistemi intelligenti non si limitano a suggerire prodotti, ma creano profili dinamici dei consumatori, analizzando non solo i loro acquisti ma anche le interazioni sui social media e i comportamenti di navigazione. Chatbot evoluti rispondono alle domande prima ancora che vengano formulate completamente, mentre assistenti virtuali guidano i clienti attraverso percorsi d’acquisto ottimizzati in tempo reale. Nonostante il 90% dei leader aziendali abbia già avviato sperimentazioni concrete con l’AI, i risultati tangibili e scalabili rimangono circoscritti. Boston Consulting Group rileva che il 60% delle aziende non sta ottenendo alcun valore materiale significativo dai propri investimenti tecnologici.
Il “debito tecnologico” sta rapidamente evolvendo in debito tecnologico dell’AI. Applicazioni obsolete, infrastrutture datate e scorciatoie nello sviluppo non sono più solo un costo IT, ma diventano un vero e proprio ostacolo alla capacità di implementare e scalare soluzioni di intelligenza artificiale in modo efficace. La tecnologia generativa, che richiede dati puliti e architetture agili, non riduce questo divario, ma lo amplifica. Anche se la maggioranza dei progetti retail è ancora in fase pilota, il tasso di soddisfazione raggiunge il 96%. Questo successo selettivo dimostra che i risultati più significativi arrivano solo alle organizzazioni che affrontano il debito architetturale alla radice. Il ROI del cosiddetto “rewiring” non si misura solo sulla riduzione dei costi IT, ma anche sulle nuove capacità operative e sul potenziale di mercato finora inespresso.
IL PUNTO VENDITA COME HUB
Per Filippo Battaini, Retail Technology Insight di IDC, la trasformazione digitale del retail rappresenta una necessità operativa. «Il punto vendita fisico sta vivendo una metamorfosi profonda, evolvendo da semplice spazio transazionale a hub omnicanale, dove tecnologia, competenze umane ed esperienza cliente convergono per creare un vantaggio competitivo sostenibile. L’intelligenza artificiale emerge come catalizzatore primario di questa evoluzione».
Secondo la recente ricerca IDC condotta su oltre 900 decision maker retail a livello globale, l’ottimizzazione operativa e la trasformazione digitale con integrazione omnicanale si posizionano come priorità strategiche assolute per i retailer nei prossimi due anni. Un dato particolarmente significativo conferma questa tendenza: «il 54% dei retailer sta già utilizzando o pianificando di implementare soluzioni AI per analytics e demand forecasting, confermando come l’intelligenza artificiale non venga percepita come soluzione tecnologica fine a sé stessa, ma come infrastruttura abilitante per ripensare l’intera catena del valore».
Il vero cambio risiede nell’integrazione end-to-end – continua Battaini. «I retailer più avanzati stanno implementando ecosistemi tecnologici dove RFID, IoT, computer vision e analytics predittivi operano in sinergia, trasformando il negozio in un centro di intelligence operativa. Questa convergenza tecnologica consente visibilità inventariale in tempo reale, ottimizzazione dinamica della forza lavoro e capacità predittive che migliorano significativamente la gestione dello stock e l’efficienza operativa complessiva».
La generative AI non sostituisce il capitale umano, ma trasforma il modo in cui gli addetti alle vendite interagiscono con clienti e prodotti. «Grazie a interfacce conversazionali naturali, gli store associate hanno accesso istantaneo a informazioni su prodotti, clienti e scorte, diventando veri consulenti esperti in grado di offrire esperienze personalizzate, indipendentemente dall’anzianità aziendale» – spiega Battaini. Tuttavia, il successo di questa trasformazione passa dalla capacità di affrontare il “debito tecnologico” con coraggio strategico. «I retailer devono investire in infrastrutture cloud unificate e piattaforme dati integrate, creando le basi architetturali necessarie per far operare l’AI in modo efficace. Solo con questo cambio strutturale è possibile passare dall’intelligenza artificiale predittiva a quella decisionale autonoma, sbloccando il pieno potenziale trasformativo della tecnologia nel retail contemporaneo».
DATI SOLIDI, ROI REALE
Gli use case nel retail confermano che la capacità di generare ROI, dipende direttamente dalla robustezza e dall’integrazione dell’architettura dati. Carrefour è un esempio lampante: l’azienda sfrutta l’AI per una previsione della domanda estremamente accurata per le categorie di prodotti chiave. Ottimizzando la gestione dell’inventario e l’allocazione delle risorse, Carrefour ha ottenuto un risultato di forte impatto; con l’ottimizzazione dell’impilamento sugli scaffali delle panetterie ha portato al risparmio di 5 milioni di croissant in un anno. Questo caso evidenzia come l’investimento in AI possa tradursi in un doppio risultato: margini migliorati e riduzione significativa dello spreco alimentare.
Anche il successo di aziende come Nike e Nespresso è fondato sull’evoluzione dell’architettura digitale. Nike utilizza l’AI per ottimizzare la sua supply chain, migliorando l’efficienza e garantendo che i prodotti siano disponibili esattamente dove e quando servono ai clienti. Nespresso punta sull’eccellenza dei dati per potenziare l’AI. L’azienda investe in tecnologie avanzate di raccolta e gestione delle informazioni per offrire comunicazioni e promozioni altamente personalizzate, controllando l’intera catena del valore attraverso canali digitali integrati come app, WhatsApp e sito web.
L’efficacia delle applicazioni di AI, sia nella logistica sia nella personalizzazione, dipende direttamente dalla capacità di raccogliere, unificare e rendere accessibili dati di alta qualità, creando un ecosistema centralizzato e omnicanale che amplifica il valore delle soluzioni intelligenti. Secondo Francesco Aimi, esperto di Retail Management e AI, docente della 24Ore Business School, il punto di partenza non è cosa può fare l’intelligenza artificiale, ma quale esperienza vogliamo offrire e, prima ancora, che tipo di società e di cliente stiamo costruendo. «L’AI non va pensata come un semplice strumento tecnico, ma come un processo culturale ed evolutivo, capace di generare valore umano per clienti e dipendenti. Non addestriamo generatori di algoritmi: raccontiamo come creare valore umano attraverso la tecnologia. L’AI restituisce valore solo se diventa cultura, processo e vantaggio competitivo sostenibile» – spiega Aimi.
Per i manager del futuro, l’AI sarà una skill centrale: saperla usare per generare valore sarà il banco di prova della leadership. Nel retail, l’acquisto non è solo un atto economico, ma esistenziale: «Le persone cercano significato, fiducia e riconoscimento» – sottolinea Aimi. «Il tempo è la nuova moneta. I clienti vogliono esperienze immediate, ma anche “bolle di tempo rigenerante” per rallentare, scoprire e vivere emozioni autentiche». Lo spazio del retail diventa così un luogo di relazione e appartenenza, dove dimensione sociale, estetica e sensoriale si intrecciano con i valori del brand.
Il cliente attuale è informato, impaziente e omnicanale: «Pretende continuità tra digitale e fisico, apprezza la personalizzazione, ma soprattutto cerca empatia, ascolto e comprensione dei suoi bisogni. Non si lascia sedurre dai gadget tecnologici: accoglie l’innovazione solo se migliora la qualità della relazione». Per Aimi, l’esperienza retail ruota intorno a una parola chiave: identità. «Il cliente non vuole essere “profilato” ma “riconosciuto”. Desidera sentirsi parte di un’esperienza che rispecchi il proprio modo di essere, i propri valori e il proprio stile di vita». Anche per questo il benessere del personale diventa un prerequisito strategico. «Un collaboratore sereno, formato e riconosciuto è la condizione per generare clienti soddisfatti». Da queste tre prospettive – sociologica, psicologica e di mercato – nasce la visione dello “Human Experience Store”. «Un negozio che unisce tempo, spazio, identità, tecnologia e valori in un ecosistema coerente e profondamente umano».
UNIFIED COMMERCE
Contrariamente alle previsioni degli anni scorsi, il punto vendita fisico non solo sopravvive ma si reinventa. La maggior parte degli acquisti continuerà a transitare attraverso i negozi fisici, ma la natura di questi spazi subirà una trasformazione radicale. I retailer stanno trasformando i loro store da semplici luoghi di transazione commerciale a veri e propri hub esperienziali, dove la tecnologia amplifica l’interazione umana anziché sostituirla. L’esempio della “House of Innovation” di Nike a Parigi rappresenta perfettamente questa evoluzione: lo shopping si trasforma in un’esperienza gamificata, dove design innovativo e supporto personalizzato creano quelli che gli esperti definiscono “picchi emotivi”, momenti unici e memorabili che rafforzano il legame emotivo tra cliente e brand. Realtà aumentata, dispositivi interattivi e sistemi di riconoscimento intelligente trasformano ogni visita in un’avventura personalizzata. La vera rivoluzione risiede nell’approccio Unified Commerce, che supera il tradizionale concetto di omnicanalità.
Retailer come Zara e Decathlon adottano sistemi che centralizzano in tempo reale i dati operativi, assicurando continuità tra esperienza fisica e digitale. Grazie all’uso di tecnologie RFID e piattaforme cloud integrate, i retailer possono raccogliere e centralizzare in tempo reale informazioni su inventari, preferenze dei clienti e operazioni su tutti i canali. Questo significa che ogni punto vendita, sito web o app mobile dispone degli stessi dati aggiornati, permettendo ai clienti di vivere un’esperienza fluida e coerente. Servizi come click & collect (ritiro in negozio), ship-from-store (spedizione direttamente dal punto vendita) e programmi di fidelizzazione unificati diventano possibili perché il sistema coordina stock, disponibilità e informazioni cliente in maniera automatica, eliminando frizioni tra canale fisico e digitale. Il commercio elettronico si evolve ben oltre le piattaforme tradizionali, frammentandosi tra applicazioni mobile e social network. Con 58,8 miliardi di euro di acquisti online nel 2024 e il fashion come settore trainante, il Mobile Commerce italiano, secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, rappresenta il 59% delle vendite digitali globali, stando alle previsioni per il 2026. Le app dei brand evolvono in veri e propri ecosistemi completi, offrendo checkout semplificato, assistenza tramite chatbot avanzati, notifiche personalizzate e tracciamento degli ordini in tempo reale, garantendo un’esperienza d’acquisto completamente integrata.
SOSTENIBILITÀ E NUOVI MODELLI
Anche la sostenibilità è diventata un criterio di scelta determinante per i consumatori. Sempre più clienti privilegiano brand che adottano pratiche responsabili, dalla riduzione degli sprechi alla scelta di materiali riciclabili o rigenerati. Questo spinge i retailer a ripensare l’intera catena del valore, dando spazio a modelli di consumo circolari. Il mercato del second-hand è in forte crescita e si prevede che supererà i 700 milioni di dollari, con il 74% degli italiani interessato alla moda sostenibile, secondo l’indagine Ipsos “Second hand, first choice”. Brand come H&M, Patagonia e la startup italiana Rifò Lab stanno rivedendo i propri modelli di business attraverso pratiche concrete: produzione a basso impatto ambientale, upcycling di tessuti dismessi e piattaforme dedicate alla riparazione dei prodotti. Anche il Social Commerce sta trasformando piattaforme come Instagram, TikTok e Facebook in veri e propri marketplace, dove l’ispirazione diventa immediatamente acquisto.
Secondo l’Adyen Retail Report 2025, circa il 32% degli italiani dichiara di utilizzare l’intelligenza artificiale per fare acquisti. In parallelo, quasi un terzo dei consumatori, riferisce di aver già effettuato acquisti tramite social media, spingendo brand come Zalando e Douglas a sviluppare contenuti interattivi che accorciano drasticamente il customer journey. Il settore del lusso abbraccia questa trasformazione sostenibile, con un numero crescente di maison che propongono capi e accessori di seconda mano attraverso piattaforme dedicate. La distinzione tra prodotti nuovi e usati si assottiglia progressivamente, creando un mercato ibrido dove qualità, valore e responsabilità ambientale convergono in nuove proposte commerciali. Le sfide etiche accompagnano inevitabilmente questa evoluzione tecnologica. I consumatori richiedono trasparenza algoritmica e chiarezza nell’utilizzo dei loro dati personali, premiando le aziende che dimostrano responsabilità nella gestione delle informazioni e nell’applicazione dell’intelligenza artificiale. La costruzione di relazioni solide e durature dipende sempre più dalla capacità dei brand di comunicare chiaramente le proprie pratiche di data management e di utilizzo etico della tecnologia.
HUMAN EXPERIENCE STORE
Nel negozio del futuro, ogni minuto deve essere percepito come “tempo ben speso”. L’ambiente deve essere fluido, privo di frizioni, ma anche capace di offrire spazi “slow” di conversazione e scoperta. «La relazione deve essere viva e reale, alimentata da personale empatico e formato sull’ascolto» – conferma Francesco Aimi. L’esperienza deve essere partecipativa: «Il cliente non solo compra, ma co-crea l’esperienza insieme al brand». La tecnologia entra in questo quadro non come protagonista, ma come amplificatore dell’empatia: «AI, totem interattivi, realtà aumentata, CRM predittivi e analitici. Tutti strumenti che servono a conoscere meglio il cliente e a costruire un dialogo più autentico e coerente con la sua identità» – spiega l’esperto di Retail Management e AI.
L’intelligenza artificiale entra nel retail in tre momenti chiave dell’esperienza. Prima della visita: «Grazie alla profilazione empatica e chatbot avanzati, l’AI aiuta a conoscere il cliente prima che entri in negozio, preparando un contesto personalizzato su misura». Durante la visita: «L’AI agisce come un “assistente invisibile”, riconoscendo il cliente, suggerendo prodotti, interpretando le diverse sensibilità e semplificando il percorso d’acquisto senza essere invasiva». Dopo la visita: «Diventa un motore relazionale continuo, capace di raccogliere feedback, proporre esperienze pertinenti e mantenere vivo il legame nel tempo». In questo modo, la tecnologia non sostituisce la relazione umana, ma la potenzia, liberando tempo e attenzione per ciò che conta davvero: «La connessione tra persone».
L’impatto dell’AI non riguarda solo il cliente, ma anche chi lavora nel retail. «Le nuove tecnologie possono ascoltare il sentiment interno, individuare bisogni formativi e supportare la crescita professionale dei team di vendita» – continua Aimi. Le ricerche evidenziano un bisogno diffuso di comunicazione, presenza e riconoscimento: le persone cercano leader autentici capaci di ascoltare, formare e guidare. Anche qui, l’AI può diventare uno strumento prezioso di ascolto e benessere organizzativo, trasformando i dati in azioni di cura e sviluppo umano. «In questa prospettiva – spiega Aimi – il retail del futuro non si misura solo in termini di vendite, ma di relazioni costruite e di fiducia generata. Ogni interazione, fisica o digitale che sia, diventa parte di una narrazione più ampia, che unisce cliente, brand e comunità. L’AI può aiutare a rendere tutto questo possibile, ma solo se resta ancorata a una visione etica, trasparente e sostenibile». Il negozio di domani, quindi, non “vende prodotti”, ma esperienze che somigliano alle persone. «È un luogo dove il tempo è valorizzato, la relazione è reale, l’identità è rispettata» – afferma Aimi. «Un ecosistema in cui la tecnologia non sostituisce l’uomo, ma lo accompagna, lo potenzia e lo aiuta a esprimere il meglio di sé: non il punto di arrivo ma un alleato evolutivo per un retail che torna a essere profondamente umano».
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