Dario Pagani, l’energia dei dati

Dario Pagani, l’energia dei dati

Innovazione data-driven e approccio human-centric. La forza di intuire nuovi percorsi e il coraggio di intraprenderli. Il futuro è di chi sa immaginarlo

La decima edizione di WeChangeIT Forum si apre con un riconoscimento speciale: il premio “Manager dei Dati”, che celebra non solo la competenza tecnica nella gestione dei dati, ma la visione strategica di chi sa trasformarli in valore e cambiamento. Alla vigilia dei 120 anni dalla nascita di Enrico Mattei – simbolo dell’Italia che ha il coraggio di innovare senza subire l’innovazione – il Premio Manager dei Dati 2025 viene conferito a Dario Pagani, responsabile Digital & Information Technology di Eni e CEO di Eniquantic, per la sua capacità di interpretare e guidare la trasformazione digitale come leva strategica e culturale.

Pagani connette mondi spesso distanti – IT e business, governance e tecnologia, persone e processi – costruendo un modello in cui il dato diventa un asset competitivo e un fattore abilitante di trasformazione. Eniquantic, nata lo scorso anno per sviluppare una macchina quantistica integrata, hardware e software, potrà beneficiare della capacità computazionale dei supercalcolatori HPC (High Performance Computing) di Eni, sia per approfondire le possibili integrazioni tra le architetture quantistiche e quelle classiche, sia per sperimentare l’efficacia di algoritmi che simulano i principi della computazione quantistica su casi d’uso in ambito energetico di diretto interesse di Eni.

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Pagani introduce una prospettiva di sviluppo di lungo periodo che integra infrastruttura tecnologica e capacità di guardare al futuro con fiducia, responsabilità e crescita sostenibile. «Un modello che non solo valorizza il capitale intellettuale di Eni, ma apre nuove opportunità nei settori più digital-intensive, puntando su casi d’uso a massimo impatto per il mondo dell’energia». Dai Big Data ai Good Data: l’intelligenza artificiale smaschera l’illusione dell’abbondanza e sposta l’attenione sulla qualità, la struttura e la governance dei dati. Nella visione di Dario Pagani, l’intelligenza artificiale è una «lente» che ci obbliga a cambiare prospettiva. «Le nuove tecnologie ci mostrano che le conoscenze, apparentemente molto ricche, possono rivelarsi limitate se non si basano su dati solidi e strutturati».

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Il paradosso che frena l’innovazione

Equilibrio e approccio “tecnopratico” sono la sintesi distintiva del suo stile di leadership, che unisce prospettiva e capacità di ascolto. «Occorre la capacità di vedere oltre, dove gli altri non guardano o non riescono a vedere» – spiega Pagani. È la lezione che viene da Enrico Mattei: «Intuire i percorsi invisibili e avere il coraggio di intraprenderli. Oggi lavoriamo sul calcolo quantistico, sapendo che è un’avventura ambiziosa, ma convinti che lì possa esserci un nuovo vantaggio competitivo». È la differenza tra ricerca e sviluppo: «Non ci limitiamo a studiare, trasformiamo la ricerca in delivery, in soluzioni concrete. Per me, innovazione e operations devono camminare insieme. Non esiste chi innova senza conoscere l’operatività, così come non esiste un buon operation manager senza visione innovativa. E questo, più che competenza tecnica, è cultura d’impresa».

Laurea in Scienze Economiche, milanese di nascita, incrollabile fede nerazzurra. Determinazione, capacità di contaminare conoscenza tecnica e visione strategica non gli fanno difetto. Ci sono momenti in una carriera che segnano una svolta. Per Dario Pagani, quel momento arriva quando, dopo dieci anni nella produzione di Agip, decide di lasciare il cosiddetto core business per dedicarsi all’IT. Una scelta che all’epoca molti giudicano azzardata. L’IT non aveva ancora il ruolo strategico che conosciamo oggi: «Ma ho seguito l’istinto. E i fatti mi hanno dato ragione». La seconda svolta arriva con il passaggio a una grande azienda internazionale. «Volevo confrontarmi con un orizzonte più ampio e un pensiero più grande. Ho sempre creduto che fosse meglio essere l’ultimo dei primi che il primo degli ultimi. E volevo dimostrare che nelle grandi aziende non ci si perde ma ci si realizza».

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Per separare l’hype del momento dalle scommesse di lungo periodo – spiega Pagani – servono visione e concretezza. «In azienda devi essere riconosciuto come quello che fa accadere le cose, non come chi le promette e basta». Eni è all’avanguardia del supercalcolo, ma si sta impegnando ora anche in un altro settore strategico: il calcolo quantistico. Una sfida complessa, ma strategica. Alla base, oltre il know-how tecnico, due attitudini imprescindibili: curiosità e generosità. «La curiosità, perché nessuno può permettersi di smettere di studiare. La generosità, perché il cambiamento richiede condivisione e motivazione».

Uno spunto di riflessione importante quando si parla di innovazione e talenti. Pagani mette a nudo un paradosso strutturale che molte grandi organizzazioni conoscono bene: la gestione dei talenti non è soltanto una questione di trovare le persone giuste, ma di saperle condividere e coltivare nei passaggi chiave dell’organizzazione. Se allarghiamo lo sguardo alla cultura dell’innovazione, il messaggio è diretto: senza generosità e senza fiducia non esiste reale capacità di trasformazione. Le tecnologie possono accelerare, ma sono le persone a fare la differenza.

Attenzione alle scorciatoie

La scelta di costruire un computer quantistico full stack, hardware e software, nasce da un’esigenza concreta: «Ci serve oggi e ci servirà ancora di più nei prossimi decenni». Perché nel settore energetico il calcolo quantistico non è un esercizio per il futuro, ma una risposta a esigenze industriali già presenti, che impone anche un ripensamento dell’organizzazione e dell’IT.

Affidarsi a soluzioni “chiavi in mano” significherebbe dipendere dai tempi di maturazione tecnologica dei fornitori e perdere know-how su un dominio strategico. Per gestire la complessità, Pagani crede in due parole chiave: accountability e trust. «Responsabilità e fiducia. Senza questi due elementi, la collaborazione non esiste». Eni ha scelto di investire internamente nell’intelligenza artificiale per non diventare un semplice consumatore di tecnologia. «Non basta avere capacità di calcolo: servono integrazione, software dedicati, competenze. È quello che noi abbiamo perché vogliamo guidare la tecnologia, non subirla. Questo ci dà autonomia e capacità di innovare secondo i nostri bisogni».

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E aggiunge un richiamo forte alle competenze umane: «Non vinceremo con i calcoli migliori, ma con la capacità di porci le domande corrette. Servono sensibilità, pensiero critico, cultura. Le scorciatoie tecnologiche rischiano di spegnere passione e pensiero critico. Non possiamo permetterlo».