L’Europa allo specchio

Sara Curtis vince i 50 dorso con 25.49 e diventa primatista europea

Quando ci imbattiamo in problemi che non riusciamo a risolvere, chiediamo aiuto ai filosofi. Lo scettico risponde: «Non lo so». Il cinico: «Non me ne frega niente». E l’impressione – oggi – è che il dibattito europeo oscilli pericolosamente tra questi due poli: incertezza e indifferenza.

Mentre tutto intorno il mondo accelera, il nuovo backbone geopolitico è fatto di dati in movimento. IBM ha appena ufficializzato l’acquisizione di Confluent per 11 miliardi di dollari. Una cifra che dice molto sulla direzione dell’intelligenza artificiale enterprise: prima degli agenti, prima dei modelli, prima dei casi d’uso scintillanti, serve un’infrastruttura solida di dati real-time. Confluent porta Kafka e la capacità di trasformare i dati “in movimento” nel tessuto connettivo dei processi aziendali. Non è un dettaglio tecnico, le imprese lo hanno capito, le istituzioni molto meno. Come l’Europa, che smette di essere “confluente”: non più punto in cui si incrociano flussi politici, economici e tecnologici, ma periferia geopolitica.

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La nuova National Security Strategy 2025 degli Stati Uniti segna uno spartiacque forse più importante dell’acquisizione di qualsiasi azienda tech: per la prima volta in 75 anni, Washington dichiara apertamente che la sicurezza europea non può più essere data per garantita. Mentre Donald Trump parla di disimpegno e preferenze bilaterali, Elon Musk attacca l’Unione definendola un’entità “da abolire”. In questo gioco di pressioni esterne, l’Europa sembra incapace di trovare una voce all’altezza dei suoi padri fondatori.

Dove sono i nuovi Schuman, Monnet, De Gasperi, Adenauer? Certo, anche loro agivano in un’epoca in cui lo scudo americano offriva protezione e interesse strategico reciproco. Ma proprio perché oggi quella protezione si assottiglia, l’Europa dovrebbe fare l’esatto opposto della ritirata sovranista: integrare, non disgregare. Rafforzare, non arretrare. Il paradosso è evidente: mentre Bruxelles esplora l’euro digitale come simbolo di comunità politica avanzata, si moltiplicano gli interventi che vorrebbero riportare il continente a un mosaico di economie frammentate. Ma il denaro non è solo un mezzo di pagamento: è un linguaggio collettivo. E smantellare un linguaggio significa smantellare una comunità.

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Nel frattempo, l’Europa perde la sua risorsa più preziosa: i giovani. L’Italia ne è un esempio plastico. Secondo il Rapporto CNEL 2025, l’Italia è sempre meno attrattiva per i giovani talenti. È un contrasto stridente con storie come quella di Sara Curtis, 19 anni, piemontese, oro nei 50 dorso e record europeo. Il talento c’è, ma la domanda è cosa facciamo per mantenerlo vivo? A complicare il quadro, arriva l’altra grande transizione: quella cognitiva. Il giudizio umano è “by design”. Nasce dallo sguardo, dall’esperienza, dalla memoria, dal contesto, dall’intenzione. Il giudizio dei modelli linguistici – invece – non ha esperienza, né mondo, né tempo. Opera sulle regolarità statistiche e appare indistinguibile dal giudizio umano. Questa è la vera trappola: il problema non è tecnologico ma epistemologico, come avverte Walter Quattrociocchi, ordinario di Data Science alla Sapienza di Roma ed esperto di Network Science e sistemi complessi. La plausibilità rischia di sostituire la verifica. La forma della conoscenza sostituisce il lavoro della conoscenza. In un mondo dove le democrazie si reggono sulla capacità dei cittadini di formarsi un’opinione, la distinzione tra giudizio reale e giudizio simulato diventa un tema politico.

L’Europa si trova di fronte a quattro sfide simultanee. Tecnologica, perché senza un’infrastruttura di dati non c’è sovranità digitale. Geopolitica, perché il mondo multipolare non attende i ritardatari. Demografica, perché un continente senza giovani è destinato alla marginalità. Cognitiva, perché l’emergere di agenti artificiali riscrive le condizioni del giudizio, del sapere e del lavoro. Non è che “siamo nati ieri”. Ma il rischio è di ritrovarci come lo scettico e il cinico: uno che non sa cosa fare, l’altro che non vuole farlo perché tanto non serve a niente.

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