Crescita lenta, investimenti record, tensioni globali: l’economia dell’innovazione entra in una nuova fase di discontinuità tecnologica e strategica. Il business deve imparare a leggere ciò che ancora non è visibile
Se un circuito superconduttivo, grande quanto una moneta, può comportarsi come una singola particella quantistica e mantenere gli effetti a livello macroscopico, allora tutto è possibile. Nel centenario della meccanica quantistica, il Premio Nobel per la Fisica è stato assegnato al trio Clarke, Devoret e Martins, per l’esperimento che ha portato il tunnel quantistico fuori dal dominio degli atomi, rendendo visibili i suoi effetti anche sul banco di un laboratorio di elettronica. Nel 1975 Gordon Moore formulava la previsione secondo cui il numero di transistor nei chip sarebbe raddoppiato ogni due anni. Oggi, invece, siamo noi a dover raddoppiare il nostro sguardo strategico, non più ogni due anni, ma ogni giorno.
L’evoluzione del business attraverso la lente dell’innovazione suggerisce un approccio che non si limita a osservare la realtà così com’è. L’innovazione diventa una lente per esplorare il cambiamento cogliendo anche quello che normalmente sfugge a occhio nudo. Ma la potenza di fuoco può distorcere la realtà: l’innovazione è un percorso che richiede capacità di orientarsi anche nell’incertezza. Il mercato digitale mostra segnali di crescita in quasi tutti i settori, ma a velocità diverse. In testa ci sono sanità, PA e banche. Seguono utility, telco e media. A seconda di chi li misura, i macroindicatori del mercato ICT italiano sono buoni: cloud, intelligenza artificiale, sicurezza e dati trainano gli investimenti. Sul lungo periodo, il quantum computing rappresenta un’area di forte innovazione. Il 2025 è sicuramente un anno di svolta per la spinta sistemica sull’AI e per i movimenti tellurici che stanno ridisegnando gli equilibri del mondo. I mercati sono buoni predittori, ma se le imprese sono avverse al rischio, i mercati tendono a sottostimarlo. Partendo dai dati Istat, OCSE e Fondo Monetario Internazionale, le stime per il 2025 del PIL italiano sono state riviste dallo 0,7% allo 0,5%. Non è una buona notizia. Se consideriamo che questo 0,5% rappresenta investimenti da PNRR, le previsioni di crescita sono a zero. Secondo il decimo Rapporto ASviS 2025 siamo su un sentiero di sviluppo insostenibile.
Il mondo ICT si prepara a dodici mesi in salita. Il mercato dei semiconduttori è sotto pressione. Il quadro competitivo dell’hardware AI ruota intorno a tre leve principali: il costo dei chip, i massicci investimenti in infrastrutture e la pressione esercitata dai modelli open source sui margini dei fornitori di GPU. La domanda legata all’AI e al cloud resta però un traino di lungo periodo, ma l’eccesso di finanziarizzazione del mercato ICT rappresenta un rischio. I fornitori cloud devono affrontare margini più sottili: energia e materie prime più care aumentano i costi dei data center. Le aziende clienti devono fare i conti con budget IT ridotti ma chiedono più efficienza. Ne emerge una spinta verso soluzioni multicloud e infrastrutture locali, in nome della resilienza e della sovranità digitale.
Progettare prima di trasformare
L’AI rimane il cuore degli investimenti tecnologici globali, alimentati da governi e big tech. Dalla digital transformation stiamo passando all’agentic transformation. Sotto il cofano, modelli linguistici e accesso in tempo reale tramite infrastrutture di AI distribuita. Saremo “raccomandati” dagli agenti e sarà più difficile capire perché un agente ha scelto un contenuto rispetto a un altro. Nella nuova dialettica tra capitale e lavoro, l’AI si appropria dei mezzi di produzione cognitiva: dati, modelli, infrastrutture. Il lavoro perde potere contrattuale nelle attività ripetitive e guadagna valore in competenze di supervisione.
Tuttavia, un guadagno di performance non è sempre un guadagno di affidabilità. Senza questa consapevolezza si rischia di scambiare per comprensione ciò che è soltanto riflesso statistico dei dati di addestramento. Negli ultimi mesi, molte imprese hanno accelerato l’introduzione dell’AI nei propri sistemi aziendali. La vera innovazione non sta nell’adottare l’intelligenza artificiale prima degli altri, ma nel fermarsi a progettare prima di trasformare. La tecnologia non è mai neutra: costruisce ambienti, plasma contesti di vita, modifica in profondità le relazioni tra individui, imprese, società e natura. Abbiamo imparato linguaggi diversi per comunicare con le macchine: oggi, le macchine parlano il nostro linguaggio: chi impara? Se gli agenti AI fanno il lavoro, i manager restano a prendersi la colpa. Il linguaggio è il sistema per leggere e pensare la realtà: non è solo questione di parole o codice.
Stiamo attenti quando diciamo che l’AI è solo uno strumento. La cybersecurity è anticiclica per definizione e sopravanza gli scenari bellici. La superficie di attacco si allarga, spingendo ad aumentare budget per la difesa, la compliance e la formazione delle persone. L’approccio “zero trust” sta diventando uno standard di fatto, dentro e fuori le aziende. La cybersecurity si trasforma da voce passiva nei bilanci IT a linea di investimento strategico direttamente sotto la supervisione del board: un singolo fornitore IT può fermare un intero paese. Il dato più preoccupante? Non l’importo del riscatto o del danno, ma la dipendenza.
L’Europa tra consolidamento e vulnerabilità
Anche la geografia delle fusioni e acquisizioni reagisce al cambiamento. Negli ultimi nove anni, le operazioni di operazioni di M&A nel settore tecnologico italiano sono aumentate del 92%. Il boom di attività è conseguenza delle strategie di consolidamento dei player lato software e servizi. L’Italia ha visto una crescita marcata dei deal su IT, media e telecomunicazioni, con forte impulso da parte del private equity: una crescita clamorosa, che però racconta solo metà della storia. Questo significa che le aziende italiane sono più “a buon mercato”, per i fondi di private equity, multipli bassi si traducono nella possibilità di comprare a poco e rivendere a molto. Manca un “campione” pure tech, e questo rende l’Italia e l’Europa vulnerabili. Rischiamo di disarticolare il concetto di indipendenza da quello di conoscenza. Con un mercato di 450 milioni di consumatori, l’Europa non può diventare periferia: la vera rivoluzione parte da qui. Se l’Italia non può competere con i giganti allora bisogna coltivare oggi il terreno della competizione futura. Abbiamo bisogno di costruire campioni europei lungo due direzioni: la prima è quella dello sviluppo del mercato interno, la seconda è quella tecnologica.
Nessun Paese europeo, da solo, può sostenere la scala industriale che oggi serve per restare competitivo. La capacità di costruire tecnologie strategiche – dalla difesa alla ricerca avanzata, dall’energia alle reti, fino alle infrastrutture per le tecnologie dirompenti – richiede capitali, talenti e filiere che nessun singolo stato possiede. L’Europa però ha un vantaggio unico: può mettere in comune risorse, know-how e capacità produttive. Solo così può sviluppare la massa critica necessaria per restare un attore tecnologico e industriale rilevante nel nuovo ordine globale. L’Italia è l’unico paese UE dove gli incentivi hanno privilegiato macchinari e hardware rispetto ai software gestionali: un paradosso in un’economia data-driven. La lente dell’innovazione deve aiutare a vedere attraverso la nebbia della retorica. Ma occorre anche la speranza nel cambiamento e la fiducia nelle capacità di attuarlo. La frammentazione spezza le supply chain globali, mentre la potenza muscolare e ibrida diventa metodo che influenza anche i rapporti di forza tra imprese, clienti e partner. Il successo non è dominio sul nemico o sul competitor di riferimento, ma capacità di collaborare: una risposta che deve partire anche dalle aziende, dai manager che guidano la trasformazione.
Costruire il cambiamento senza subirlo
Il dibattito è polarizzato sull’AI in tutte le sue declinazioni. La spinta è così forte che dovremmo farci i conti comunque. Dietro i dati c’è una verità che non può essere ridotta alla somma algebrica di energia, materia e informazione. Oggi possiamo scrivere linee di codice, fare una sintesi di un report di 1800 pagine come la legge quadro italiana sull’AI, ma dobbiamo stare attenti alle trappole e alle scorciatoie. L’intelligenza artificiale è disegnata da esseri umani, controllata da esseri umani e le conseguenze positive o negative saranno sempre, comunque e soltanto umane.
Ogni algoritmo, ogni dashboard, ogni profilo digitale restituisce solo una frazione della complessità. Il problema non è la tecnologia in sé, ma il momento in cui iniziamo a credere che quella frazione sia tutto ciò che serve. Accade negli ospedali, quando i medici guardano più agli schermi che ai pazienti. Nelle aziende, quando riduciamo le persone ai loro KPI. Nelle relazioni, quando sostituiamo la verità umana con metriche e analytics. La capacità di agire nell’incertezza senza dati, in ambienti non adatti, non è un bug ma una feature. Con l’aiuto dell’AI agentica potremo esprimere la parte migliore di noi stessi come giornalisti, manager e imprenditori. Dati, capacità computazionale, materie prime, energia, lavoro e demografia definiscono rapporti di forza e di potere. La tecnologia disarticola questi rapporti, azzera il concetto di massa e senza masse non c’è avanguardia ma un loop continuo.
Davanti si apre un bivio: da una parte c’è una specie di nuovo feudalesimo tecnocratico con prìncipi, vassalli, valvassini e valvassori. Dall’altra una nuova età dei Comuni. I mali del mondo non vengono dall’intelligenza artificiale. Siamo stati bravissimi da soli a cancellare 70 anni di multilateralismo. La velocità non è un valore assoluto. L’infallibilità non significa progresso. L’incertezza ci spinge a non dare tutto per scontato e a metterci in discussione. Anche il caos è un ambiente operativo. Mentre la politica per decidere guarda all’economia e l’economia corre dietro alla tecnologia, serve rimuovere le barriere inutili e trovare un accordo su come finanziare i giganteschi investimenti tecnologici che ci aspettano. Questa è la nostra più grande opportunità: costruire il cambiamento senza subirlo.


































