Tavola rotonda elezioni 2013. Innovazione e Tecnologia, la parola ai candidati

L’innovazione tecnologica è un fattore abilitante per ogni strategia di crescita economica e sociale; sarà uno degli asset principali su cui impostare le prossime politiche per lo sviluppo dell’Italia. Abbiamo deciso di intervistare alcuni candidati alle prossime elezioni che rappresentano, per passato professionale o per cultura, dei riferimenti nei loro schieramenti. 

Abbiamo inviato le nostre domande a tutti i principali schieramenti fino ad ora hanno risposto: Salvo Mizzi, Candidato alla Camera per Scelta Civica – Con Monti per l’Italia, On. Nicola Formichella – Capogruppo PDL in Commissione Politiche dell’Unione Europea, Gianfranco Mascia, Candidato alla Regione Lazio di Rivoluzione Civile, Marco Meloni Candidato alla Camera per il Partito Democratico. 

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Non appena perverranno in Redazione ulteriori contributi, sarà nostra cura darne pubblicazione.

Perché ha deciso di candidarsi?

Salvo Mizzi: Si tratta di una candidatura di “testimonianza”, non credo di avere alcuna possibilità concreta. Una testimonianza non si pone il tema del risultato entro poco tempo, nasce perché hai deciso di iniziare un percorso.

Ci sono alcune cose che sento fortemente, da qualche tempo a questa parte: il desiderio di servire il nostro Paese e di mettere a disposizione del bene comune l’esperienza e le competenze che ho maturato nel mio viaggio personale e professionale; la necessità di disintermediare diverse incompetenze diffuse sul terreno dell’innovazione, delle startup e della crescita “digitale” e tecnologica – di Internet tout court – dell’Italia; l’urgenza di cambiare le cose che non vanno a favore dei talenti italiani, dell’imprenditorialità e dello sviluppo della Rete.

Infine, ma non ultimo, il Mezzogiorno. Sono nato in Sicilia, da cui manco ormai da quasi trent’anni, e trovo struggente e criminale allo stesso tempo lo spreco di risorse e di idee che il Sud è in grado di produrre, benché ci siano segnali di riscossa, di speranza e iniziativa. È qui che mi candido, peraltro. In una regione dove, come in tutto il Sud, è ripresa la tragedia della fuga di cervelli, crescono gli abbandoni nelle università, cediamo talenti verso gli altri Paesi OCSE a ritmi forsennati. Questa non è più emigrazione, è il suicidio di una nazione. Non a caso tutto questo ci costa circa 1 miliardo di euro ogni anno. Dobbiamo cambiare tutto, cominciamo da questo. E dal peso che abbiamo o non abbiamo in Europa, che è la nostra unica via di salvezza.

Quali sono le attività svolte a supporto dell’innovazione?

Nicola Formichella: Credo sia utile sfogliare la proposta di legge sull’Agenda Digitale varata dal Pdl qualche mese fa. Per la prima volta in Italia, abbiamo introdotto il tema dell’attivazione di un mercato del venture capital per le startup innovative, attraverso il cosiddetto “Fondo per l’Italia”, insieme alla possibilità di detassare i ricavi del commercio elettronico internazionale delle micro e piccole imprese.

Posso citare poi la semplificazione dell’accesso web per i portali della pubblica amministrazione e la pubblicazione online degli atti ufficiali degli enti come i Comuni, a completa disposizione dei cittadini. Certo, c’è ancora tanto da fare, ma posso affermare con sicurezza che il Pdl da tanto, e prima di tutti, sta lavorando sull’Agenda Digitale e sull’innovazione del Paese.

Marco Meloni: Con Pierluigi Bersani abbiamo presentato l’11 febbraio il documento “L’Italia giusta, l’Italia digitale”, che raccoglie le proposte del PD su innovazione e Agenda Digitale. È un programma costruito in modalità “open” sul territorio e in rete. Il documento finale è infatti il prodotto di seminari svolti fra luglio e dicembre a Roma, Torino e Bologna, che hanno coinvolto esperti nelle diverse regioni, oltre che della consultazione pubblica online su www.partitodemocratico.it/italiadigitale, con l’obiettivo di ottenere commenti e proposte di integrazione da tutti i soggetti interessati a contribuire al programma del PD per una “innovazione popolare”.

Il documento, grazie anche alla sua promozione e circolazione sui social network, ha ricevuto più di 300 proposte di modifiche online, recepite in gran parte nella stesura finale. È stato un grande esempio di partecipazione: oltre 4.000 accessi al documento dal sito del PD, 60.000 visualizzazioni su Facebook, centinaia su Twitter, Ideascale, oltre ai numerosi contributi pervenuti via e-mail.

Il documento ha riscosso l’interesse di Confindustria Digitale, FIMI, Camere di Commercio, importanti aziende del settore, la sezione italiana di IWA/HWG (International Webmasters Association/The HTML Writers Guild) degli Stati generali dell’Innovazione, di Assinter e Assinform, di intellettuali come Juan Carlos De Martin, di amministratori locali del PD e del centrosinistra, dei forum tematici del PD dedicati all’innovazione, all’economia e al lavoro in diverse regioni.

Su internet e sui social network sono stati inoltre coinvolti i rappresentanti dell’Associazione italiana per l’Open Government, di Spaghetti OpenData, Agorà Digitale, Era della Trasparenza, due dei network nati per le primarie del 2012 (SmartBersani, #ilpdchevorrei) e i gruppi Facebook più attivi nella discussione sul tema.

Gianfranco Mascia: Considerare l’infrastruttura di rete per il digitale come “bene comune” di interesse nazionale e favorire gli investimenti necessari per la sua modernizzazione in modo da facilitare la diffusione a tutto campo. Parallelamente bisogna portare avanti le tante azioni previste dall’Europa per abbassare il digital divide.

Leggi anche:  Giorgia Meloni, l’innovazione come forza trasversale per la competitività e lo sviluppo del Paese

Quale sarà il suo “programma” e le prime tre cose che secondo Lei è necessario fare per far ripartire l’Italia digitale?

Marco Meloni: Il programma si basa su quattro linee di azione (infrastrutture, cultura, sviluppo e pubblica amministrazione). Parte da una premessa: per noi il digitale è il motore a vapore del XXI secolo, non un settore industriale ma un mutamento di paradigma radicale, quindi trasversale all’economia, alla cultura, alla società, perché sta modificando il concetto di democrazia. Noi vogliamo che l’innovazione diventi una questione “popolare”, perché crediamo che digitalizzare l’Italia significhi migliorare le condizioni di vita (anche quotidiana) di tutti.

Le prime 3 priorità: 1) accelerare la realizzazione dell’infrastruttura in banda larga, puntando sulla fibra ottica e sulla realizzazione di reti strategiche come quella per le scuole; 2) puntare sullo sviluppo: rafforzare l’e-commerce come volano per la crescita e l’export, attraverso misure d’incentivazione fiscale; promuovere l’utilizzo della moneta elettronica e mobile payments, attraverso incentivi ai piccoli esercizi per l’acquisto dei dispositivi, un sistema di agevolazioni progressive per i consumatori e l’obbligo di transazione con moneta elettronica per PA e professionisti (medici, avvocati, ecc.); potenziare l’e-procurement, arrivando almeno al 30% degli acquisti di beni e servizi della PA in 3 anni, e introdurre anche in Italia il seed capital per le nuove imprese; 3) adottare un provvedimento analogo al FOIA (Freedom of information act) che assicuri ai cittadini il pieno diritto alla possibilità di consultare on line tutti i documenti della PA, all’insegna della massima trasparenza a tutti i livelli istituzionali e amministrativi.

Salvo Mizzi: Non esiste un “mio” programma. Internet in Italia ha contribuito a creare una comunità forte e aperta di scambio e condivisione. Con Stefano Quintarelli e Francesco Sacco, dopo avere lanciato nel lontano 2010 con molti altri protagonisti e pionieri di Internet, il primo manifesto per un’Agenda Digitale Italiana entrato da allora nel lessico e nelle priorità verbali della politica italiana, condividiamo anche la candidatura nelle liste del prof. Monti, con spirito civico. Il programma che stiamo preparando sarà presentato nei prossimi giorni e spero raccolga molte adesioni. Quello che posso anticipare è che ci muoviamo con questa logica: Internet e il Digitale non sono un silos separato, ma sono la matrice della trasformazione complessiva del Paese. Non è un vezzo né una pezza, si tratta di una rivoluzione che deve attraversare la nostra cultura, lo Stato e la sua amministrazione centrale e locale, i servizi e le opportunità per le famiglie e per le imprese. I principi ci sembrano chiari: apertura, trasparenza, semplificazione, lotta agli sprechi, investimenti reali su tutto il ciclo dell’innovazione – dalle università alle startup, dal venture capital ai grandi progetti di sistema. Servono capitali coraggiosi e persone oneste e competenti che abbiano nel cuore i valori del cambiamento. Diversamente, il nostro Paese non sarà più in grado di competere con il resto del mondo industrializzato.

Nicola Formichella: Innanzitutto credo sia necessario investire sulle infrastrutture digitali, eliminando il “Digital Divide” che limita ancora numerosi territori italiani. Di conseguenza, procedere alla digitalizzazione della burocrazia rendendola più snella e veloce, e insistere sugli incubatori d’impresa e le startup innovative.

Gianfranco Mascia: Affrontare e risolvere il problema del digital divide in termini d’infrastrutture e di accesso. Non trattando solo il problema delle “dorsali” ma soprattutto del cosiddetto “ultimo chilometro”. Lo Stato deve garantire che il mercato sia il più aperto possibile anche ai piccoli e in cui la concorrenza funzioni davvero, per evitare monopoli o oligopoli.

L’accesso a Internet deve diventare un diritto fondamentale del cittadino. Magari inserendolo anche in Costituzione, come suggerisce Rodotà, per rafforzare il principio di neutralità della Rete e la considerazione della conoscenza in Rete come bene comune.

Le pubbliche amministrazioni devono mettere in rete, disponibili a tutti i cittadini, tutti i dati e le informazioni in loro possesso. Il tutto deve avvenire in tempo reale e in formato aperto.

Così come i tribunali (e tutte le autorità svolgenti funzioni giurisdizionali) devono rendere accessibili ai cittadini, online e gratuitamente, i testi integrali di tutte le proprie decisioni.

Come si può risolvere il problema del digital divide, e sopratutto, dove trovare i finanziamenti per realizzare le infrastrutture necessarie?

Salvo Mizzi: La modernità compiuta del Paese è minacciata da molti lati. Il ruolo e le opportunità concrete delle donne in Italia sono un esempio tragico della nostra arretratezza culturale e strutturale. Parto da qui perché serve una sensibilità nuova, direi più femminile, per affrontare temi come il digital divide e l’evoluzione delle infrastrutture. Esiste una cultura tutta italiana che definirei “old ICT” che tende a risolvere tutto in capitoli di spesa hardware e software, e ragiona in termini di bandi, appalti e finanziamenti random. Questa logica non ci interessa più: si faccia un piano di Innovazione Nazionale dai bisogni dei cittadini e delle imprese, e dalla necessità di sospingere la crescita economica e delle opportunità, si definiscano i fabbisogni e si vada in Europa a disegnare il futuro. Da soli o con shortcut e accrocchi finanziari non si va da nessuna parte. In Europa e con l’Europa troveremo le risposte per fare partire investimenti all’altezza degli obiettivi più ambiziosi. Senza infrastrutture moderne non si comincia neanche a sognare.

Leggi anche:  Svolta digitale della PA. Lavori in corso

Marco Meloni: Dobbiamo completare l’infrastruttura fissa per la banda larga e dobbiamo puntare a una infrastruttura veloce in fibra ottica. Puntiamo al riutilizzo delle infrastrutture esistenti, attraverso l’istituzione del “Catasto del sottosuolo”, all’utilizzo di fondi europei, pari ad almeno 3 miliardi di euro nella prossima programmazione 2014 – 2020 (sia i fondi di coesione sia quelli del programma Horizon 2020), per portare connettività in fibra a quei servizi universali la cui infrastrutturazione non può essere ulteriormente rimandata, come la scuola e le strutture sanitarie.

C’è poi da risolvere un problema in sede europea: il bilancio appena approvato riduce gli investimenti, penalizzando l’Agenda Digitale europea. Va invertita la rotta: ci batteremo per l’ampliamento del Fondo “Connecting Europe Facility”, per facilitare gli investimenti in reti fisse ad alta velocità, garantendo agli operatori la sicurezza dell’investimento.

Nicola Formichella: Credo sia necessario fare come la Regione Campania che, a oggi, si trova a fare i conti con ben 303 Comuni limitati dal digital divide, e dove la domanda per l’abbattimento dello stesso, comprende 10.251 aziende. Il governo Caldoro, qualche mese fa, ha chiesto all’Europa il finanziamento di 122,4 milioni di euro per il progetto denominato “Allarga la rete: banda larga e sviluppo digitale in Campania”, e il progetto è stato definito “ricevibile” dalla commissione. Dunque, dico: “Guardiamo all’Europa”.  Il Sud deve necessariamente ripartire dalla tecnologia. Il divario che oggi esiste con le regioni più sviluppate del Nord Italia, infatti, può essere colmato proprio grazie a essa. Sviluppare le infrastrutture digitali può permettere alle aziende del Sud di interagire in modo immediato con il resto d’Italia e del mondo, e sfruttare tutti gli strumenti diventati oggi indispensabili per le imprese, come ad esempio l’e-commerce. Nel mio territorio, dove l’economia è prettamente agricola, mi piace utilizzare lo slogan “Meno muretti a secco e più computer per gli agricoltori”.

Gianfranco Mascia: Il 5% della popolazione italiana risiede in aree di digital divide, ma deve essere chiaro che la competitività, il benessere e la trasformazione di una Nazione sono direttamente legati al fattore “connettività” che consente di aumentare sia le transazioni sia le interazioni tra persone e tra gruppi di persone, che semplifica le complesse interazioni tra persone e gruppi di persone con le informazioni, che consente di diventare un volano per l’economia in rete e tradizionale. Per questo abbiamo scelto questo come il primo dei temi da affrontare per consentire che l’innovazione diventi un fattore fondamentale per lo sviluppo dell’economia italiana.

Questo perché il sistema produttivo e della ricerca ha estrema necessità di strumenti all’avanguardia, di reti potenti e affidabili. Bisogna quindi completare il piano nazionale della banda larga e proporne uno per quella ultralarga. Per farlo, bisogna evitare di promuovere duplicazioni di reti (che continuerebbero a favorire solo il 95% delle zone che l’accesso l’hanno già) e consentirebbero che il gestore dominante mantenga la sua posizione di privilegio.

Per questo lo Stato si deve preoccupare di incoraggiare progetti che non riguardino solo le “dorsali”, ma gli incentivi per garantire “l’accesso” su tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle zone che adesso non sono coperte.

Si deve immediatamente mettere mano a un piano che obblighi i vari gestori a coprire il digital divide con cavo in rame e, se non possibile, utilizzando le frequenze tv libere che dovrebbero essere assegnate imminentemente.

Il piano deve promuovere consorzi tra i Comuni delle zone non coperte e accordi con i fornitori di servizio.

I finanziamenti possono arrivare dall’utilizzo ottimale dei fondi strutturali europei, garantendo una velocità di connessione a due Mbps a tutti i cittadini e alle imprese per poi arrivare al traguardo 2020, quello fissato dall’Agenda Digitale Ue, con connessioni a trenta Mb per tutti i cittadini italiani e a 100 Mb per il 50% della popolazione. Bisogna fare presto, i fondi dovranno essere rendicontati dalle Regioni entro il 2015.

Il riferimento è l’Open Reach britannico che con una governance direttamente gestita dall’autorità e quindi dal pubblico, con tariffe trasparenti e discusse pubblicamente, offre a tutti gli operatori la struttura di accesso in fibra, consentendo che gli investimenti e i proventi del programma di Open Reach siano chiaramente segregati dalla parte “competitiva” di British Telecom che invece compete con gli altri operatori.

Siete dei tecnici, non Vi spaventano i meccanismi e i tempi della politica?

Salvo Mizzi: Sono un tecnico, certo, ma soprattutto sono un cittadino italiano. E la politica avrà pure i suoi tempi, ma oggi non c’è più tempo. Dobbiamo crescere e cambiare tutto, anche i tempi della politica. Chi ostacola lo sviluppo del nostro Paese si rilegga Pericle o cambi mestiere.

Gianfranco Mascia: Il fatto che molti di noi non siano politici di professione, a partire da Ingroia, in realtà è il nostro vantaggio. Sono proprio i “professionisti” della politica che hanno reso difficile l’accesso alle istituzioni per i cittadini. D’altro canto la soluzione “tecnica” si è rivelata una vera e propria truffa ai danni degli italiani: sono “tecnici” i tagli al welfare? È “tecnica” la riforma Fornero? Sono tecnici gli acquisti degli F35?

Leggi anche:  PA Digitale, in continua crescita nel mercato privato

Tra i prossimi membri del Parlamento vi saranno numerosi parlamentari di Rivoluzione Civile che porteranno la loro esperienza “sul campo” a disposizione di un progetto “politico” che è tutto scritto nel nostro programma:

Io personalmente penso di portare la mia esperienza nei campi in cui mi sono battuto in questi anni (innovazione, abolizione conflitto di interessi, trasparenza, accesso ai cittadini) diventando consigliere regionale del Lazio.

Quali sono le esperienze positive da importare in Italia e quali sono i vostri ispiratori?

Salvo Mizzi: Mi occupo di Internet e di Innovazione. Credo nel talento e nel merito, nell’uguaglianza sociale che interpreto come eguaglianza delle opportunità. Non ho un pantheon dogmatico né un approccio ideologico. Credo che in questa fase vada seguito l’esempio e l’ispirazione di chi vuole andare avanti e non è più interessato a leggere la realtà con lo specchietto retrovisore. A luglio mi laureo (in tarda età) con la Kauffman Society, di cui sono fellow dal 2011. Conosco la Silicon Valley e mi sembra un ecosistema da continuare a studiare e adattare al nostro contesto locale. I riferimenti culturali personali sono troppo complessi e li eviterei in questa sede, andremmo troppo lunghi. Diciamo che Steve Jobs e Obama possono dare un’idea della direzione di marcia.

Nicola Formichella: Penso che in Italia esistano già esperienze positive importanti, soprattutto nel Nord-Est. Mi riferisco agli incubatori d’impresa che aiutano chi ha un’idea a trasformarla in business. Tuttavia, anche in questo caso, credo sia utile guardare all’Europa, e soprattutto ai Paesi più a Nord, che sperimentano sempre nuove strategie di sviluppo. Pochi giorni fa, ad esempio, sono rimasto affascinato da un progetto nato in Finlandia e denominato “Start-Up Sauna”. Un acceleratore d’impresa gestito da giovani entusiasti, e finanziato da governo, aziende e atenei che occupano un magazzino abbandonato nei pressi dell’università.

Gianfranco Mascia: Sicuramente in Italia il Prof. Rodotà è uno dei nostri punti di riferimento, con le sue battaglie civili per le libertà e i diritti dei cittadini digitali.

Per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, io non credo ci sia bisogno di guardare all’estero. E’ solo necessario mettere in rete i ricercatori e le imprese ICT presenti. Per farlo, ad esempio, le regioni possono fare molto, anche attingendo ai fondi comunitari.

E’ fondamentale creare veri e propri “Poli di ricerca e innovazione” per raggruppare imprese indipendenti – “start-up” innovatrici, piccole, medie e grandi imprese, nonché organismi di ricerca e università per stimolare l’attività innovativa incoraggiando l’interazione intensiva, l’uso in comune di installazioni e lo scambio di conoscenze ed esperienze, nonché contribuendo in maniera effettiva al trasferimento di tecnologie, alla messa in rete e alla diffusione delle informazioni tra le imprese, gli istituti universitari e di ricerca che costituiscono il “polo”.

Marco Meloni: Oggi guardiamo all’Europa in maniera un po’ strabica: non vanno seguite con scrupolosità solo le regole di bilancio, ma anche le azioni espansive e positive. Per questo vogliamo anche in Italia un Digital Champion, un “evangelizzatore digitale” in grado di trasferire competenze e cultura, attraverso azioni mirate di comunicazione sociale e di alfabetizzazione. È una figura che ha ottenuto notevoli risultati in Europa, in molti Paesi. E poi voglio citare una coppia che ha cominciato a lavorare sull’innovazione 20 anni fa: Bill Clinton e Al Gore. il programma “reinventing government” che lanciarono nel marzo 1993, da noi è noto perché abbinato allo slogan del web come autostrada dell’informazione. Non era questo il punto centrale, ma l’aver intuito che la missione di un’amministrazione si concretizza sempre più spesso al di fuori di essa, attraverso complesse connessioni tra molte organizzazioni pubbliche e private che devono essere coordinate. Perciò, bisogna dare spazio a team di lavoro con obiettivi misurabili e interazione continua con l’esterno, senza torri d’avorio. In rete trovano voce nuovi bisogni e nuove soluzioni a problemi annosi. Si governa assieme. Le misure sul “Governo Aperto” adottate dall’amministrazione Obama ci incoraggiano nell’affermare che non stiamo parlando di costi ulteriori per la PA, ma di un investimento con ricadute benefiche. A fronte di costi marginali, le potenzialità sono molteplici: dalla lotta alla corruzione fino all’integrazione delle statistiche prodotte da singoli enti e amministrazioni. E, soprattutto, una diffusione capillare delle nuove tecnologie e della nuova cultura digitale che porta crescita, competitività e lavoro.

La programmazione intelligente del Fondo Europeo di Coesione per il prossimo settennio sarà una straordinaria opportunità e un banco di prova. Per il Mezzogiorno, le infrastrutture sono un tema non più rimandabile. Moltissimi settori ne potranno beneficiare: dal turismo, al terziario, all’agroalimentare. In ogni caso, la trasparenza è la via maestra: la diminuzione dell’uso del contante – attraverso una seria politica di promozione della moneta elettronica e dell’e-commerce – è un potente strumento contro le mafie. Inoltre, una maggiore trasparenza della PA attraverso la pubblicazione e l’accesso a tutti i dati sarà cruciale nella lotta alla corruzione.