Twitter rileva l’epidemia due settimane prima

Secondo uno studio americano nel 2010 ad Haiti le informazioni sul colera sono state trasmesse più velocemente sul social network che dagli ufficiali della sanità

Gli operatori del settore sospettano già da tempo che i social media possono indicare precocemente un trend pericoloso, come può essere quello delle epidemie. La prova della supposizione arriva da uno studio pubblicato dal l’American Journal of Tropical Medicine and Hygiene nel quale si afferma come nel caso dell’epidemia di colera diffusasi dopo il disastro di Haiti nel 2010, il modo migliore per informarsi ed avere notizie è stato quello di rivolgersi a Twitter.

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Il gruppo di ricercatori guidati da Rumi Chunara della Harvard Medical School hanno analizzato i primi cento giorni durante i quali si è diffuso il colera analizzando i tweet postati dagli utenti della piattaforma sociale. Lo studio conferma come alcuni dei trend che viaggiano per la rete sociale possono effettivamente fornire utili indicazioni prima degli organi ufficiali.

“Possiamo utilizzare queste fonti per ottenere un’informazione in tempo reale su come una malattia si sta diffondendo, e di conseguenza aiutare a informare le autorità competenti ad agire tempestivamente” – ha sottolineato Chunara durante un’intervista al portale Mashable. Il prossimo passo potrebbe essere quello di incrociare i dati provenienti da diversi social network per ricostruire la diffusione di un’epidemia in maniera accurata e ben localizzata. Per condurre lo studio di Haiti è stata creata una linea temporale contenente i dati rilevati tramite la ricerca su Twitter di messaggi associati a diversi termini tra cui l’hashtag #cholera dal 20 ottobre al 3 novembre 2010. Quando i funzionari della sanità hanno ufficialmente lanciato la notizia della diffusione del colera, su Twitter erano già presenti più di 65 mila messaggi sull’argomento, che hanno anticipato di due settimane la conferma “istituzionale”.

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Chunara evidenzia come non tutti i dati possono essere presi per buoni: “C’è naturalmente il rischio di bufale e messaggi falsi, ma è proprio questa la sfida del lavorare con i social media”. Un esempio è l’eccessivo panico causato da alcuni messaggi diffusi a catena su Twitter riguardanti la diffusione dell’influenza suina nel 2009. Prendendo con le molle alcuni post e analizzandone trend e raggio d’azione si possono ricostruire situazioni molto vicine alla realtà, fornendo così un aiuto tempestivo e idonei interventi di sostegno.