Quale sarà il futuro dell’Europa e dell’euro?

World Business Forum, Joseph Stiglitz: «Fiscal policy is the only hope». Se l’avidità non trionfasse sulla prudenza…

Ottimismo della volontà, pessimismo della ragione. Si può riassumere così il keynote di Joseph Stiglitz, che ha chiuso l’ottava edizione del World Business Forum di Milano. Stiglitz, come sempre, non elargisce predizioni rassicuranti, ma massicce dosi di realismo illuminante. Data Manager lo aveva già incontrato nel 2007 al Centro Congressi di Bergamo in occasione del convegno annuale della Fondazione Italcementi, dedicato allo “Sviluppo Sostenibile” e nel 2009 a Roma, per la tavola rotonda dell’Aspen Institute, sui temi della governance globale (vedi intervista – Data Manager/ Fuori Pagina/ Lug-Ago09).

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Joseph Stiglitz ha sempre avuto un giudizio molto critico sulla globalizzazione, i mercati finanziari e il ruolo del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il Nobel per l’economia ha lanciato il suo sguardo sul panorama mondiale della crisi, che morde le imprese ed erode il potere di acquisto della middle-class, minando le basi del benessere occidentale. Analisi lucida e spietata, quella di Stiglitz, che ha tenuto sul filo della tensione la platea dei manager. Una cosa è certa. A questo punto, tutti sanno di non sapere o di non sapere abbastanza su come sarà il futuro, non solo dell’Europa e dell’euro, ma del mondo.

LE REGOLE E LA FIDUCIA

Nell’intervista del 2009, Stiglitz ci aveva raccontato che «soltanto l’adozione di regole chiare e condivise di controllo avrebbe permesso di ripristinare la fiducia». Ad oggi, però la situazione non è cambiata. Le regole sono rimaste sul tavolo, insieme al progetto di trasformare il Fondo Monetario in nuovo strumento di riserva monetaria internazionale e alla proposta di riforma del sistema di voto del FMI e della Banca mondiale. Nel 2009, gli avevamo chiesto quando ci sarebbe stata la ripresa e ci aveva risposto che «il sistema finanziario globale avrebbe toccato nei mesi successivi il momento peggiore della recessione» – ma che dalla seconda metà del 2009 – ci sarebbe stato spazio per la ripresa, anche se non un pieno recupero». Il recupero non c’è stato. Nel frattempo, il titolo del suo ultimo libro (“Bancarotta – L’economia globale in caduta libera”, Passaggi Einaudi), pubblicato a ottobre 2010, a molti è sembrato una rivelazione, che non lascia spazio a equivoci , soprattutto dopo il tonfo della Grecia. Anzi, a dieci anni da quella cerimonia, che gli conferì il Nobel, il mondo sembra aver fatto un giro su stesso.

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LE RICETTE DEI TECNOCRATI CI SALVERANNO?

Oggi, Stiglitz ha risposto: «Agganciarsi alla crescita dei Paesi emergenti, non basterà per salvare l’Europa e gli Stati Uniti. Serve una radicale presa d’atto della realtà, per costruire un nuovo ordine globale e un nuovo concetto di sovranità nazionale. La fiducia interbancaria non è stata ripristinata. Il sistema finanziario è ancora fragile. Una volta, il trade-off era tra rischio e rendimento. Oggi, abbiamo alto rischio e basso rendimento». Con qualche indugio sull’analisi delle colpe, Stiglitz – però – non ammette repliche: «la scienza economica deve essere riformata». Non solo. «Bisogna passare dalla ripresa globale alla prosperità globale, se vogliamo evitare di essere spazzati via». Lo sforzo è pensare alla crescita non come un’opzione possibile, ma come l’unica via possibile per la stabilità. «Il patto di stabilità siglato a Maastricht, è stato un patto per la decrescita. L’Europa politica non c’è perché all’Europa è stato posto un solo obiettivo: la stabilità economica. La politica monetaria non funzionerà da sola, per mettere le cose a posto. La politica fiscale è l’unica speranza per traghettare il mondo in questa fase».

MA COME SI FA LA CRESCITA?

Non ci sono cure miracolose nel breve periodo. «Istruzione, conoscenza, innovazione e una più equa distribuzione del benessere sono i punti su cui fondare la strategia della crescita. Il Pil procapite non è un indicatore valido per misurare il progresso sociale ed economico. Se Italia e Francia punteranno solo su misure di austerità, la crisi sarà ancora più lunga e dolorosa». Eppure, sappiamo come andrà a finire. Lo ha fatto Hoover, trasformando il crash del ’29 nella grande depressione. «Perché vogliamo ripercorrere quella strada»? L’interrogativo del professore della Columbia University, allievo di Franco Modigliani, rimane sospeso nell’aria. – «It’s the economy, stupid» – . Nell’auditorium cala il silenzio e c’è da chiedersi: se dopo ottant’anni ancora non esiste un giudizio condiviso sulla crisi del ’29, è possibile trovare una linea comune d’azione per comprendere e affrontare la crisi attuale?

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LA LIQUIDITÀ C’È, MA NON SI MUOVE

«Dal gold-standard siamo passati allo sterling-standard e poi al dollar-standard». Per l’ex vicepresidente della Banca mondiale, «la capacità degli Usa di impartire lezioni al mondo è messa in discussione dalla crisi, che non risparmia neppure il “maggiore azionista” del Fondo Monetario Internazionale. Negli ultimi venticinque anni, l’America ha perso la sua leadership e ha diffuso il suo sbilanciamento in tutto il mondo». La liquidità c’è, ma non si muove. «Il costo del denaro potrebbe finanziare una nuova rinascita del sistema, ma il denaro resta immobile o va dove non è necessario.

AVIDITA’ VS PRUDENZA

Se l’avidità non trionfasse sulla prudenza, un nuovo ordine sarebbe possibile. Occorre collaborazione tra Ue e Usa». Niente fatalismo. Solo realismo per fare le scelte giuste, che determineranno il futuro dell’Occidente nei prossimi cinquant’anni. «Oggi, le nostre risorse umane, materiali, finanziarie, di conoscenza e creatività sono le stesse di cinque anni fa» – ha detto Stiglitz. «La battaglia in atto è sulla rivendicazione delle risorse e la scelta dei fini da perseguire per decidere che tipo di mondo vogliamo costruire. Se facessimo lavorare queste risorse, che al momento sono bloccate, avremmo non solo stabilità, ma si aprirebbe un’era di prosperità senza precedenti».