PA Digitale? Solo se semplice

Sandro Frigerio, GrandangoloIl mio portafogli ha preso irrimediabilmente il volo su un treno frequentato da pendolari. E con esso una serie di documenti. Il sito della Polizia di Stato dedica una sezione alla “Denuncia via web”, ma c’è poco da illudersi. Via web si scaricano le istruzioni, ma la denuncia si fa in Questura, quando l’ufficio è presidiato. Chiamo alle dieci di sera CartaSi per bloccare la mia MasterCard e, quasi per miracolo, sul tavolo dell’ufficio trovo già la sostituta 36 ore dopo. Con le stesse password di quella vecchia. Rinnovare la tessera ferroviaria impegna solo dieci minuti. La mia foto è già negli archivi. Record, cinque minuti, per la SIM del cellulare. Eppure, dietro ciascuno dei 100 milioni di utenti degli operatori mobili solo in Italia, c’è un database di chiamate fatte, di fatture, di localizzazioni, di storie di reclami con il call center. Le cose si complicano con la Tessera Sanitaria – Carta Nazionale dei Servizi. Telefono, la blocco e a cose fatte, chiedo ingenuamente: «Dove mi mandate la nuova»? Dall’altra parte, l’operatore risponde: «Ah! No, deve recarsi alla sede ASL». E così faccio: coda di un’ora e passa in mezzo a chi chiede prenotazioni per bronchiti e fisioterapisti. Chiedo di inserire il codice PIN per gli ulteriori servizi. Tanto – oso – sono sempre i miei dati. «Ah! No, per quello deve andare in Comune». Ci andrò (capoluogo di provincia) tre volte in un mese, perché, spiegano, lì pur “leggendo” tutti i dati di mia competenza, i collegamenti con il server della Regione non funzionano. Per inciso, anche sulla carta regionale si può “caricare” l’abbonamento ferroviario, ma in tal caso occorre portare con sé un altro documento, perché la foto del viaggiatore non è prevista. Il quadro è istruttivo di quanto – a dispetto di investimenti non trascurabili – il problema principale dell’informatica nella pubblica amministrazione sia quello di una ragionevole interoperabilità. Un complesso schema – che sfugge ai non addetti ai lavori – sovrintende il futuro sistema che governa l’identità digitale, che costituisce uno dei tre pilastri dell’Agenda Digitale formato Caio. Sono passati 17 anni dalla prima legge di semplificazione (Legge Bassanini L.59/1997) che impone all’amministrazione pubblica di non richiedere i dati dei cittadini di cui è già in possesso, ma la realtà è stata molto inferiore alle attese. Codice fiscale e PEC dovevano essere la chiave per semplificare l’accesso del cittadino agli uffici della PA. Abbiamo inventato strumenti sconosciuti al resto del mondo e di cui gli “altri” non sembrano sentire la mancanza. Al momento in cui scriviamo, le notizie da Bruxelles sugli standard europei non sono confortanti e tra poco si andrà al voto.

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L’altro pilastro è la fatturazione elettronica, obbligatoria dal sei giugno per le transazioni verso la pubblica amministrazione centrale e successivamente per quella locale. Non si è ancora capito se ci guadagneranno le aziende, la PA, o forse le aziende che forniscono strumenti e servizi. In fondo, questo è un settore dove anche il cloud può svolgere il suo compito (Olivetti è tra le aziende che hanno lanciato un servizio). Le stime europee parlano di potenziali risparmi per decine di miliardi di euro, ma solo se il sistema fosse generalizzato. Per le piccole aziende sarà un problema in più. Per le grandi, significa modificare procedure, spesso a forte integrazione gestionale, che hanno il loro costo. Uno dei più grandi “generatori di fatture” verso la PA, Telecom Italia (si tratta di molte decine di migliaia di fatture ogni anno) conferma di essersi adeguata alle nuove disposizioni con un intervento che non è certo stato indolore: investimenti definiti “rilevanti” e una task force dedicata. Ce la caveremo forse meglio con il “terzo asse” dell’Agenda, l’anagrafe dei residenti. Saremo incompetenti, ma verrebbe da dire: datela a un operatore telefonico e forse, con i volumi di dati che è abituato a gestire, saprà dare una mano.

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Il premier Renzi ha esordito chiedendo un briefing sull’Agenda Digitale e confermando gli impegni. Avremmo un suggerimento. I soldi pubblici per il digitale sono pochi: indirizziamoli secondo un unico criterio che fa risparmiare tempo e soldi ai cittadini e alle aziende.

Il resto verrà poi.