Paolo Tommasino Sfide globali e azioni locali


L’incontro tra le culture e la scintilla del progresso.

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Anche questa è innovazione 

Ricorderemo il 2011 come la fine o l’inizio di un’epoca. Mentre facciamo i conti con l’Europa per trovare la quadra tra stabilità e crescita, l’attenzione si concentra sul fatidico spread. La sfida, però, non sta nei numeri e la speranza non sta nella capacità contabile dei plutocrati. La sfida vera è: «Sette miliardi di persone nel mondo ce la faranno a vivere insieme»? Lasciare il comando per avere il controllo è la via della leadership aperta: le multinazionali lo hanno capito, la UE no.

Dalla democrazia dello stato-nazione, forse stiamo andando verso la democrazia globale, simile al modello aristotelico del “governo dei migliori”. Il trade-off tra stabilità e crescita si può tradurre in un altro modo: avidità o generosità, collaborazione o egoismo. Imprese e manager si fanno domande sul futuro. Milioni di persone nel mondo non hanno mai avuto un futuro. Alcuni di loro raggiungono le nostre coste dal Nord Africa, a bordo di barconi per avere la possibilità – o almeno l’illusione – di costruirsene uno. Per queste persone, l’Europa è il futuro, ma qualcuno invece di giocare in squadra, vorrebbe tirare i remi in barca. Mentre chiudiamo questo numero di Data Manager (30 novembre), arriva la notizia dei morti a largo di Brindisi per il naufragio di un barcone partito cinque giorni fa dalla Turchia: trentanove sopravvissuti su ottanta.

Questo pezzo d’Italia tra i due Mari è crocevia di popoli e civiltà. In particolare, sulla via che porta dal Nord Africa al cuore dell’Europa, la bella terra di Manduria è diventata il proseguimento di Lampedusa. Nel campo allestito a 40 chilometri da Taranto, in contrada Tripoli – ironia della sorte – l’emergenza clandestini, ha avuto inizio la primavera scorsa. Le immagini dei giovani tunisini che scavalcavano le recinzioni hanno fatto il giro del mondo.

Dalla vecchia torre dei colombi, sul terreno della masseria, dove mio nonno nacque all’inizio del Novecento, si può ammirare il colpo d’occhio della macchia mediterranea e del filo spinato, che delimita il campo e circonda le tende blu. Il campo sorge sull’area dismessa dell’aeroporto militare in appoggio alla flotta americana durante la Seconda guerra mondiale. La gente di Manduria ha serbato la memoria della miseria di quegli anni, lenita dagli aiuti degli alleati e davanti alla disperazione di chi scappa, verso un futuro migliore, non può, non riesce a restare indifferente.

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Oggi, l’emergenza è rientrata. Nel campo c’è una calma irreale. Gli immigrati sono diventati ospiti, chiedono protezione e non vogliono più scappare. All’esuberanza incontenibile dei giovani tunisini, che volevano proseguire il viaggio verso Francia e Germania, e che si sentivano in gabbia, si sono alternati soprattutto profughi provenienti dalla Libia, uomini, donne e bambini con la guerra civile negli occhi. Tutti sono liberi di entrare e uscire dal campo. I giornalisti non possono entrare. Dal prefetto di Taranto, Carmela Pagano, riusciamo a sapere che la situazione è sotto controllo, ma nessuna informazione sulle modalità di gestione del campo o sull’utilizzo di tecnologie o soluzioni informatiche. Quello che la stampa nazionale aveva bollato come uno “tzunami” si è rivelata una tempesta, che i cittadini di Manduria e della vicina Oria hanno saputo affrontare con cuore e intelligenza, anche se le polemiche e le strumentalizzazioni non sono mancate. Il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha vissuto la scelta del campo di Manduria come «una provocazione politica». Per il portavoce del Pdl cittadino, Graziano Massari, si è trattato di «una risposta responsabile e solidale di fronte a una decisione calata dall’alto e in un clima di emergenza».

A poche settimane dal Natale, dopo la nomina dei sottosegretari del governo Monti, siamo tornati a vedere. Abbiamo incontrato il sindaco Paolo Tommasino, manduriano-meneghino, con un pessimo rapporto con la tecnologia (ma con un padre quasi novantenne, vera istituzione culturale e cybernauta), che si divide tra la professione di psichiatra a Milano e quella di primo cittadino a Manduria. Devoto a Sant’Ambrogio, quanto al santo patrono, San Gregorio Magno. Del resto, Manduria era feudo dei Borromeo. «La distanza lo aiuta a chiamare le cose con il loro nome e a evitare i condizionamenti». Classe 1957. Immigrato a suo modo, negli anni dopo l’università. «Ufficiale medico, con uno stipendio modesto e una casa ammobiliata a Monza, che si mangiava metà dello stipendio, ma niente macchina e la primogenita in arrivo». Per trovare la sua strada – non ha esitato a lasciare tutto – lui, che nella sua terra, avrebbe potuto godere della rendita sociale di un cognome rispettato – e non ha mai accettato di rassegnarsi a un certo fatalismo, tutto meridionale. E da sindaco, con l’appoggio dell’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, ha saputo governare l’emergenza del campo, non da contabile, ma con «le armi della mediazione politica» e «la protezione di un padre di famiglia». In questo momento di crisi, in cui tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, si tratta di una lezione, che vale la pena tenere a mente, anche se viene da un piccolo centro agricolo del Salento, profondo sud, terra di formiche, più che di giganti. 

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Data Manager: In Italia, l’agricoltura rappresenta il 2,63% del Pil (dati Istat) e ha un proprio ministero. L’industria del Web rappresenta il 2% del Pil (dati McKinsey) e qualcuno ha già pensato di chiedere un ministero ad hoc. Se il 10% del Pil nazionale è opera degli immigrati (dati Istat 2010), perché – allora – nessuno chiede un ministero dell’Immigrazione?

Paolo Tommasino: Non sono un tecnico e non parlo come un tecnico. Credo che dipenda dal fatto che la questione dell’immigrazione è considerata solo dal punto di vista della sicurezza, tanto che resta competenza del ministero dell’Interno. Manca una riflessione sulle opportunità, che l’immigrazione può rappresentare per un Paese in grado di accogliere manodopera specializzata e attrarre intelligenze. Anche l’innovazione può nascere dai futuri cittadini, che con noi condividono l’amore per questo Paese, ma non il colore della pelle.

Dall’incontro tra le culture, nasce la scintilla per il progresso. Anche questa è innovazione?

L’innovazione nasce dal confronto. Bisogna capovolgere la prospettiva. Il fenomeno migratorio riguarda tutte le nazioni e quando usiamo la parola extracomunitario dovremmo pensare che in questa accezione umana rientrano anche gli svizzeri e i turisti australiani. Se la mancanza di governance dell’euro ci pone davanti alle sfide della globalizzazione economica, la mancanza di governance dei flussi migratori ci interroga sul tipo di mondo che vogliamo costruire.

Secondo un sondaggio della primavera 2009, il 70% degli italiani ritiene che l’immigrazione abbia un impatto negativo sul Paese…

Questo basta per capire che il tema dell’immigrazione serve solo per fare opinione. Forse per questo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto ribadire che «gli immigrati sono la linfa vitale di cui l’Italia ha estremo bisogno».

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Dopo l’annuncio di Berlusconi dell’arrivo di nuovi immigrati a Manduria, insieme all’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano decise di rassegnare le dimissioni, poi ritirate. Perché?

Perché il territorio si difende anche con gesti simbolici, e nelle sedi opportune, battendo i pugni sul tavolo. Manduria ha dato risposte chiare e disponibilità. Era giusto pretendere dall’altra parte lo stesso comportamento. Il mancato rispetto dei limiti sugli arrivi non poteva essere tollerato.

Anche dall’UE abbiamo ricevuto lezioni di comportamento, ma nei fatti siamo stati lasciati soli.

Qual è il futuro del centro di Manduria?

Nel campo ci sono circa mille e duecento ospiti. Il numero è molto variabile in base ai trasferimenti. Una struttura del genere non può avere caratteristiche di stabilità. La prospettiva è la chiusura. Questo è quello che ci aveva assicurato fino a un mese fa l’ex sottosegretario Mantovano. Oggi, non saprei rispondere. La Puglia, negli ultimi due decenni, ha dato molto sul fronte dell’immigrazione. Esistono centri di richiedenti asilo a Bari, a Foggia e a Brindisi. Ci sono i centri di identificazione ed espulsione a Brindisi e a Taranto. A Otranto, c’è il centro di prima accoglienza. Manduria, dal primo momento, ha fatto un grande atto di generosità, anche quando c’erano preoccupazioni e situazioni di incertezza. Oggi, la città vive in grande serenità e con partecipazione questa situazione. Vorrà dire che condivideremo il Natale anche con chi il suo Natale non ce l’ha.